Francesco Solimena è considerato uno degli artisti che meglio incarnarono
la cultura tardo-barocca in Italia. Si formò presso la bottega del padre
Angelo, a Nocera Inferiore, città originaria della madre, Marta Resigniano,
dove viveva la sua famiglia, rifacendosi dapprima alle opere di Francesco
Guarini (1611-1651) e successivamente, trasferitosi a Napoli e resosi autonomo
nello stile, cominciò a guardare con interesse alla pittura scenografica e
fantasiosa di Luca Giordano
(1634-1705) ed a quella tenebrista di Mattia
Preti (1613-1699).
Fu
avviato alla pittura durante una visita a Nocera de' Pagani del cardinale Pietro Francesco Orsini (1650-1730), il
futuro papa Benedetto XIII, che osservate alcune opere del giovane consigliò al
padre Angelo (che lo ospitava nel suo palazzo) di avviarlo alla pittura perché
il ragazzo dimostrava un talento poco comune. In questo periodo
Francesco
realizzò alcune opere architettoniche molto importanti come: l’altare di San
Nicola nell’Abbazia di Santa Maria Maddalena in Armillis a Sant’Egidio del
Monte Albino (1606), la facciata della chiesa di San Domenico Napoli
(1283-1324), il suo palazzo di San Potito Napoli (1600), il portale di San
Giuseppe dei Vecchi Napoli (1614), chiesa di San Nicola alla Carità
Napoli(1647).
Le
opere tra il 1670 e il 1680 – tra cui si ricordano La gloria del Paradiso nella Cattedrale
di Nocera Inferioredel 1671 – un affresco caratterizzato dal concentrico
rincorrersi dei corpi di angeli, di Santi e apostoli in cui il gioco dei
panneggi delle vesti crea contrasti di luce e di ombre ed i colori sono chiari
e la luce si diffonde dall’alto – la Visione
di San Cirillo d'Alessandria nella Chiesa
di San Domenico a Solofra e Maria
Vergine bambina sempre nella Chiesa di San Domenico (1675-77) e Maria Vergine bambina e Sant’Anna della Chiesa di Sant’Antonio Nocera Inferiore (1657-1747)– furono eseguite in collaborazione col padre.
Dal
1680, Francesco Solimena si appropriò della sperimentazione cromatica di Luca Giordano (1634 – 1705), allievo di José de Ribera (1591-1652), che aveva
assimilato le esperienze pittoriche più diverse dell'Italia del momento e ha
permesso la fioritura della pittura barocca napoletana.
Francesco
Solimena fu il suo erede e tramandò tale stile ai suoi allievi Corrado Giaquinto (1703-1765), Sebastiano Conca (1680-1764) e Nicola Maria Rossi (1690-1758).
Le
opere eseguite dopo al 1680, manifestarono sempre più il distacco dalla pittura
naturalista che divenne progressivamente adesione al gusto barocco.
Vanno
menzionate a questo proposito gli affreschi di San Giorgio a Salerno del 1680,
le tele delle Virtù della sacrestia di San Paolo Maggiore a Napoli (1689-90) e
la Caduta di Simon Mago nella sacrestia di Solimena a Napoli
(1689-1690).
La cosiddetta
Sacrestia di Solimena è un
ambiente presente nella Basilica di
San Paolo Maggiore a Napoli, interamente affrescato da Francesco
Solimena tra il 1689 e il 1690.
La sacrestia
si trova in fondo alla navata centrale della basilica, alle spalle dell'altare
maggiore, accessibile tramite una porticina sulla parete a destra. Si tratta di
una delle principali opere espressive di Solimena. Eseguiti tra
il 1689 e il 1690, il ciclo di affreschi rappresenta Angeli, Allegorie
e Virtù, e la Caduta di San Paolo e
la Caduta di Simon Mago. L'opera
è eseguita secondo i più tipici canoni del barocco napoletano, in piena
maturità artistica raggiunta dal Solimena. Gli affreschi, sono dunque
caratterizzati da incorniciature decorate con motivi fitomorfi e floreali,
attraverso stucco e dorature di Lorenzo Vaccaro eseguiti
appena due anni prima. Sulle pareti
di fondo sono raffigurate due grandiose scene quali La Caduta di Simon Mago, firmato e datato 1690 e la Caduta di San Paolo, firmato e
datato 1689; nella volta e nelle centine laterali, sono mostrate invece
le Allegorie delle Virtù; in
posizione bassa e ruotante intorno al ciclo di affreschi, infine, vi sono dei
medaglioni contenenti i ritratti dei quattro fondatori dell'ordine dei
Teatini: San Gaetano, Paolo IV, Bonifacio da Colli, Paolo
Consiglieri.
La
storia costruttiva della sacrestia non è del tutto nota. Di certo si
sa che essa è stata caratterizzata da numerose ridefinizioni degli spazi
architettonici dovute al continuo adattamento con gli edifici circostanti la
sala che alterava l'ambiente della basilica.
Dal
1690, Solimena tornò agli esempi di vigorosa ed espressiva pittura barocca di
Mattia Preti con l'introduzione a Napoli, all'inizio del Settecento, di un
periodo di maggiore interesse artistico: il rococò, quale esaurimento del
Barocco.
Nella
tela di San Francesco rinunzia al
sacerdozio nella Chiesa di Sant'Anna dei Lombardi (1691-1692) è invece
evidente l'influenza di Mattia Preti.
Nel Trionfo della fede sull’eresia ad opera dei
Domenicani, affresco collocato sulla volta della sacrestia della chiesa
di san Domenico Maggiore di Napoli, eseguita in un arco temporale che
va dal 1701 al 1707 e si sviluppa centralmente con una serie di personaggi che
si mostrano caoticamente nella scena. Posto in alto a sinistra vi è il
crocefisso sorretto da alcuni putti, mentre nel resto della scena si
possono riconoscere: nella parte superiore dell'affresco vi sono l'Eterno Padre,
il Cristo, la colomba dello Spirito Santo e la Vergine con San
Tommaso D'Aquino con il sole in petto.Nella parte centrale invece sono in
evidenza San Pietro Martire, Santa Caterina da Siena, Santa
Caterina de' Ricci e Santa Rosa da Lima. Sulla sinistra invece abbiamo San
Domenico che riceve una stella da un angelo accompagnato dalle Virtù.Nella
parte inferiore (più vicina alla parte anteriore della cappella), infine, vi
sono i corpi caduti nell'eresia.
L’Adorazione dei pastori nella Chiesa di Sant’Antonio a Nocera Inferiore
del 1716, Storie di San Nicola Apostoli e
Virtù Napoli del 1696, il Miracolo di
S. Giovanni di Dio Museo civico di Castel Nuovo del 1691, Gloria di Maria Assunta e santi, Madonna con il Gonfalone e San Bonaventura, Adorazione dei pastori Napoli Chiesa
di San Girolamo delle Monache (1705), Ultima
cena ad Assisi (1717).
La Gloria di Maria Assunta e santi è
un dipinto olio su tela (17 m² circa) eseguito nel 1705 circa e
conservato presso la Chiesa di San
Girolamo delle Monache di Napoli. Fu la famiglia Carafa (è,
infatti, visibile ai due angoli bassi della tela lo stemma dei Carafa della
Stadera) a commissionare a Solimena il grande dipinto da destinare al
monastero delle monache francescane terziarie regolari; forse perché una
rappresentante della famiglia Carafa era in quegli anni badessa proprio in quel
monastero. La grande tela di 17 m², dall'alto in basso, raffigura in
un’architettura fantastica, caratterizzata da colonne, fuga d’archi, lesene e
balaustre: la Vergine gloriosa assunta in cielo, tre figure di santi
all’altezza della balaustra (si tratta di san Girolamo, in rosso a
sinistra, un papa domenicano o San Benedetto, in nero al centro, e San
Giovanni da Capestrano, a destra con una bandiera; Francesco d’Assisi che
in piedi consegna la Regola ad un gruppo di Sante Clarisse
(con Elisabetta d'Ungheria, donna con la corona); una coppia in
conversazione (forse un D'Angiò con Leopoldo d’Ungheria).
Lo
stile pittorico nuovo, con l'avvicinamento all'Arcadia, ebbe la sua
consacrazione ne La cacciata di
Eliodoro dal tempio al Gesù Nuovo a
Napoli del 1725, che raffigura un episodio biblico raccontato nel terzo capitolo
del secondo libro dei Maccabei. Il tema fu tanto caro ai Gesuiti che vollero
riprodurlo sulla controfacciata della Chiesa del Gesù Nuovo. È semplicemente un
capolavoro della pittura del settecento napoletano, grandioso quanto insolito, infatti,
è rarissimo trovarne uno del genere in un ambiente di preghiera in un qualsiasi
edificio religioso di rito cattolico. Eliodoro fu uno dei ministri di Seleuco
IV, inviato nel 176 a. C. a Gerusalemme per impadronirsi del Tesoro del Tempio.
Dopo aver preso la refurtiva si allontana lasciando alle sue spalle il
"popolo di Dio" indignato per il sacrilegio commesso. La faccenda gli
costerà cara: il popolo, inferocito e desideroso di giustizia, a furia di
percosse e mazzate, costringono il povero Eliodoro a lasciare il bottino. E' il
tema del furto ed è ampiamente trattato sia nel nuovo che nell'antico
testamento.
Il D'Anelli afferma che il quadro proviene dalla chiesa dei
Celestini di Vasto (oggi distrutta), insieme con l'altro dipinto raffigurante La presentazione del Camauro a Papa
Celestino V e che entrambi sono stati attribuiti dal Betti a Solimena e
trasportati nella Chiesa di Santa Maria Maggiore a Vasto. Sulla scalinata di un tempio c’è la Madonna seduta,
circondata dagli Apostoli disposti in vari atteggiamenti; in alto, tra nuvole,
sono cherubini e la Colomba dello Spirito Santo.
In La presentazione del camauro a Papa
Celestino V, a sinistra su un'altra scalinata siede il pontefice
attorniato da cardinali, mentre ai suoi piedi sono inginocchiate due figure:
uno dei quali sostiene un vassoio su cui poggiano due chiavi. A destra è un
personaggio in abiti regali che conversa con un cardinale. A sinistra sono
altri due cardinali seduti. In alto a destra uno squarcio luminoso di nubi con
serafini e la colomba dello Spirito Santo.
La due
opere sono del 1727.
Fra il
1727 e il 1730 Solimena realizzò gli affreschi della cappella di San Filippo
Neri ai Gerolamini a Napoli.
Nel
1728 gli fu commissionato dal cardinale Michele Federico Althann (1682-1734),
viceré di Napoli e vescovo nella città ungherese di Vác, una tela raffigurante
il prelato nell'atto di offrire all'imperatore d'Austria Carlo VI il catalogo
della pinacoteca imperiale 1728 oggi al Kunsthistorisches
Museum di Vienna, che suscitò un vero
entusiasmo.
Dal
1730, circa, Solimena ritornò al suo entusiasmo giovanile, con una pittura
barocca, caratterizzata da uno stile classico barocco, governato quindi da
un'inquietante intensità visiva.
Tra il
1684 e il 1734 Solimena realizzò Giuditta
con la testa di Oloferne Kunsthistorisches Museum, l’Immacolata (1728-1733), San
Filippo Neri che adora la Vergine col Bambino affidandole la protezione di
Torino nella Chiesa di San Filippo
Neri (1733), il Trionfo di Carlo III
di Borbone alla battaglia di Gaeta del 1735 a Caserta, la Madonna del Rosario del 1750 del Museo civico di Teramo, l’Annunciazione (1730-1735) nella Chiesa di San Rocco a Venezia e S. Michele Arcangelo (1707-1736) della Cattedrale di Nardò.
Un
ritorno ai lavori giovanili si andò evidenziando a partire dal 1735 come ad
esempio nei dipinti realizzati nella Reggia di Caserta su committenza di Carlo
III di Borbone.
Lavorò
per le maggiori corti europee, pur senza muoversi quasi mai da Napoli.
Francesco
Solimena morì nella sua villa di Barra il 5 aprile 1747, ed i suoi resti sono
conservati all'interno della chiesa di San Domenico. Fra i suoi allievi vi
furono Paolo Gamba (1712-1782), Ferdinando Sanfelice (1675-1748) e Domenico
Antonio Vaccaro (1678-1745), Romualdo Formoso e Michele Foschini. Il Comune di
Napoli, la circoscrizione di Barra, e i padri Domenicani, nel 250º anniversario
della sua morte, apposero una lapide sulla sua tomba all'interno della Chiesa
di San Domenico. La composizione dei quadri di Francesco Solimena è spesso
sottolineata da elementi architettonici (scale, archi, balaustre, colonne) che
focalizzano l'attenzione sui personaggi, come le ombre e tessuti leggeri. Gli
storici dell'arte hanno avuto il piacere di individuare i tanti modelli che
aveva imitato nelle sue composizioni. I suoi numerosi studi preparatori, spesso
combinazione di diverse tecniche quali disegni a inchiostro e penna, gesso e acquerello.
Un
esempio tipico dello stile della sua prima maturità è la Allegoria di un regno (1690), collezione di libri Stroganov ora
custodito nel Museo dell'Ermitage di
San Pietroburgo.
Nel
primo Settecento, si rivolse a grandi solenni composizioni, soggetti sacri e
profani. Francesco Solimena ha esercitato una notevole influenza sui pittori
delle generazioni più giovani e future di Napoli, ma anche di tutta l'Europa
centrale.
È
servito come esempio per la generazione emergente, in particolare Jean-Honoré Fragonard (1732-1806), Francisco Goya (1746-1828) e François Boucher (1703-1770), il quale
si è ispirato a molte delle opere di Solimena. Grazie a Francesco Solimena e
alla pittura eroica del chiaroscuro
di Caravaggio (1571-1610) e di Giovanni Battista Caracciolo (1578-1635) che
hanno caratterizzato Napoli in quel secolo, la città ha raggiunto lo status di
centro di dispositivo artistico, tanto da diventare una capitale europea della
pittura.
Serena Di Ruocco
Salve Serena, sono uno appassionato studioso del Solimena, e da poco ho finito di scrivere una monografia interamente dedicata ad eso, completa di catalogazione delle opere (sono nell'attesa che qualche editore possa mostrare interesse sull'argomento) ho letto per caso questo tuo articolo e se ti interessa approfondire la cosa puoi tranquillamente contattarmi alla mia mail che è nello.valente69@gmail.com.
RispondiEliminaciao