Il Futurismo è stato il primo movimento artistico legato a un’ideologia globale che ha coinvolto tutti i settori dell’esistenza: arte, politica, costume, morale, progresso scientifico, divenendo nel giro di pochi anni uno dei più importanti fenomeni artistico-letterari sviluppatisi in età moderna, sia in Italia sia nel mondo. I Futuristi ebbero il merito di percepire per primi la necessità di un rinnovamento culturale profondo e radicale, all’altezza dei nuovi tempi.
«La
letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi
vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di
corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno». F. T. Marinetti,
Il manifesto del Futurismo.
Filippo Tommaso Marinetti – il cui vero nome è Emilio
Angelo Carlo Marinetti – nacque ad Alessandria d'Egitto il 22 dicembre 1876.
Marinetti rappresentò una sorta di icona nel
clima d’avanguardia novecentesco. Egli
raccontò così il momento del suo incontro col mondo: «Cominciai in rosa e in nero, pupo fiorente e sano fra le braccia e le
mammelle color coke della mia nutrice sudanese. Ciò spiega forse la mia
concezione un po' negra dell'amore e la mia franca antipatia per le politiche e
le diplomazie al lattemiele».
Il padre Enrico era uno stimato avvocato civilista del
vogherese, che decise di trasferirsi in Africa per pura avventura; la madre,
Amalia Grolli, era milanese, figlia di un professore di lettere.
Due anni prima di Filippo Tommaso, Amalia aveva concepito
Leone. Entrambi i ragazzi dimostravano un evidente amore per le lettere e un
temperamento esuberante del quale restò vittima Leone.
Afflitto da un'artrite con complicazioni cardiache, Leone
non si risparmiò nell'attività fisica e nel 1897, a ventidue anni, morì in
seguito agli effetti dei ripetuti tuffi e delle infinite nuotate che si
concedeva nel lago di Como, anche sotto piogge torrenziali. La famiglia, dopo
aver fatto ritorno in Italia, si era trasferita a Milano.
Marinetti, tre anni prima di quella tragedia, conseguì il
baccalaureato a Parigi, quindi, si iscrisse, come Leone, alla facoltà di
Giurisprudenza dell'università di Pavia. La morte del fratello ne alimentò un
cupo pessimismo, venato da profondi sensi di colpa. In seguito, però, su quel
cupo pessimismo prevalse un ottimismo tutto fondato sull'uomo meccanizzato e
quindi invincibile e immortale.
Dopo un trasferimento all'università di Genova, terminati
gli studi di Giurisprudenza nel 1899, Marinetti si dedicò completamente alla
poesia. Ma già l'anno che precedette la laurea fu, per lui, denso di
soddisfazioni: collaborò all'Anthologie
Revue de France et d'Italie, una
rivista milanese stampata in italiano e in francese e, soprattutto grazie al
poemetto Le vieux marins, vinse il
concorso parigino dei Samedis populaires,
diretto da Catulle Mendès e Gustave Kahn.
Se Parigi fu il suo primo palcoscenico – le
collaborazioni alle riviste della città aumentarono sempre di più –, Milano fu
invece l'officina delle sue idee. Il capoluogo lombardo si stava trasformando,
lasciandosi alle spalle la sua natura di centro artigianale e agricolo, per
diventare una metropoli industriale. Marinetti che, nonostante gli anni di
Parigi, aveva ancora negli occhi il deserto e le piramidi di Alessandria
d'Egitto, fu affascinato dall'evoluzione tecnologica che si affermò a Milano.
L'estetica del Futurismo nacque proprio in questi anni e,
con essa, quell’ammirazione, come scrisse nel Manifesto del 1909, per «...le
grandi folle agitate al lavoro, dal piacere o dalla sommossa... », che gli
venne dai tumulti del maggio del 1898, repressi dai cannoni del generale Bava
Beccaris. Ma la riflessione politica era ancora lontana dal compiersi, mentre,
in quell’anno, fu portato a termine il suo primo libro in versi.
Nel 1902 quando Marinetti pubblicò La conquete des
étoiles, poema in versi liberi dedicato a Gustave Kahn.
Di
questo poema non è errato parlare di protofuturismo infatti Martinetti, in
quest’opera, raffigura un sogno in cui il mare va alla conquista delle stelle
ingaggiando con esse una lotta di tifoni e di ondate.
In
questo poema si possono notare accenni al dinamismo e forza, in un vortice di parole in libertà che diventeranno il
segno distintivo della poetica futurista.
La conquete des étoiles fu il primo di tre lavori che avevano
annunciato la nascita del movimento: ad esso seguirono Destruction nel
1904 e La ville charnelle nel 1908, nei quali trovarono spazio altri
simboli: l'automobile, la locomotiva, la città.
Marinetti si incamminò definitivamente verso il suo
futuro. Fu un cammino lento che ebbe il suo inizio dalla poesia e si diresse
alla vita sociale e politica.
Nel primo decennio del secolo, il movimento socialista era dinamico, come dimostravano da un lato il
successo degli scioperi dei primi del secolo e dall'altro il dialogo continuo
tra il governo di Giovanni Giolitti e
quella parte dei socialisti guidati da Filippo
Turati (1857-1932).
Ma all'interno del partito non c'era unità di intenti. I
dibattiti, spesso violenti, tra il riformista Turati e il rivoluzionario Antonio Labriola (1843 – 1904), erano frequentissimi. Proprio uno di
questi dibattiti, cui Marinetti assisté nel 1904, fece da spunto per una
riflessione politica in forma satirica. Nacque così Re Baldoria, pubblicato
in Francia nel 1905 e tradotto in italiano
da Decio Cinti ( ) con la revisione
dello stesso Marinetti con il titolo di Re Baldoria o Re Gozzoviglia, nel quale la dialettica tra i due
personaggi principali (Besciamella e Famone, alter ego di Turati e Labriola)
portò ad un cupo pessimismo, dovuto alla constatazione dell'impossibilità di
cambiare le sorti di un mondo condannato all'alternanza di vita e morte.
Re Baldoria piacque soprattutto a Labriola che ne
pubblicò un'entusiastica recensione sull'Avanti!
e che rafforzò i contatti sempre più frequenti di Marinetti con la sinistra.
La
pubblicazione del Re Baldoria, segna
contemporaneamente un punto d'arrivo nella formazione di Marinetti poeta e un
punto di partenza nella sua attività drammaturgica.
Tuttavia, il suo patriottismo esasperato che gli derivava
dal difetto di essere nato in Egitto
e dal contatto con la cultura francese, e l'ammirazione per lo scrittore Umberto Notari (1878 – 1950), campione nella denuncia della
corruzione politica, lo allontanarono dall'area del Partito Socialista.
Il 1905 fu anche l'anno della nascita di Poesia, rivista internazionale fondata
con Sem Benelli (1877 – 1949) e Vitaliano
Ponti e della quale Marinetti
divenne, l'anno dopo, direttore unico.
Graficamente la rivista
si presentava ai lettori con un formato rettangolare. La lussuosa copertina
riportava il motto “Ma
qui la morta poesia risorga”.
Dopo quattro anni di
eclettismo argomentativo, nei quali il rotocalco si impegnò soprattutto a dare
visibilità a poeti simbolisti francesi e belgi – sulla rivista furono infatti pubblicati
solo inediti dei grandi nomi della letteratura italiana e francese di quegli
anni, tra i quali Kahn, Mendès, Laforgue, Pascoli, D'Annunzio, Gozzano.
Nel 1909 scelse un
prestigioso giornale parigino, Le Figaro
per lanciare il Manifesto del Futurismo che costituisce l’atto ufficiale
della fondazione del gruppo: in esso Marinetti espose i principi ispiratori del
movimento, basati su un rifiuto radicale del passato e proiettati verso
l’edificazione di una cultura completamente rinnovata che guardasse al futuro
ed al progresso.
Sempre nel 1909 pubblicò
l’Enquete internationale sur le vers
libre e la rivista Poesia diventò
l’organo istituzionale del Futurismo italiano, ufficialmente con la pubblicazione,
nel numero 1-2, febbraio-marzo 1909 del Manifesto futurista,
precedentemente apparso come editoriale sul quotidiano francese Le Figaro del 20
febbraio scorso.
Nel numero 7/8/9,
agosto-settembre-ottobre 1909 Marinetti divulgò un secondo manifesto futurista,
dal titolo Uccidiamo il Chiaro di Luna!
Tra i collaboratori più
stretti della rivista citiamo Paolo
Buzzi, Auro d’Alba, Federico De Maria, Luciano Folgore, Corrado Govoni ed Aldo Palazzeschi.
L’esperienza di Poesia si esaurì nel 1909. Ecco quel che
scrisse il fondatore sedici anni dopo, nel 1925, nell’Introduzione all’antologia I
nuovi poeti futuristi: «Fondai
Poesia, rivista internazionale che, prima fra tutti i fogli d’Italia, portò il
nome e le poesie di Paul Claudel, accanto alle prime poesie di Buzzi, di
Cavacchioli, Folgore, Palazzeschi, Govoni. Nasceva così il movimento futurista,
con un largo e frenetico amore per l’arte nuova e per molti ingegni lirici
italiani soffocati dallo scetticismo misoneista. Nasceva il movimento futurista
antiscuola, antiaccademia, che doveva sgomberare l’Italia dal passatismo
ruderomane, dal professoralismo pessimista e preparare l’attuale rinascenza
italiana…»
Alla guida di Poesia,
Marinetti affinò quelle doti che, in seguito, gli consentirono di far spaziare
il movimento futurista anche nel campo delle arti figurative, della musica e
dell'architettura.
Marinetti era un maestro nel farsi pubblicità: a Natale
inviò, come omaggio, panettoni confezionati con la carta intestata di Poesia, attirandosi le critiche da parte
dell'ambiente letterario che giudicò troppo sfrontati i suoi modi di fare. Ma
non fu con questi che Marinetti dovette confrontarsi, bensì con i tre grandi
nomi della poesia italiana: Carducci,
Pascoli, D'Annunzio (gli ultimi due suoi collaboratori).
Le sue simpatie erano per i due toscani, dei quali tradusse alcuni lavori per riviste francesi. Nei
confronti di D'Annunzio, invece, cambiava spesso atteggiamento: dapprima
favorevole, poi sempre più ironico e sarcastico, soprattutto quando, in seguito
alla morte di Carducci, il poeta pescarese si autoproclamò Vate nazionale.
Tramite la rivista Poesia,
Marinetti continuò la battaglia in favore del verso libero, che però incontrò
un'ostilità diffusa. Pascoli, cauto, indicò, come limite, l'endecasillabo
sciolto; D'Annunzio non si pronunciò. Ad ogni modo, le dispute sul verso libero
furono il sintomo di un'inquietudine che animò Marinetti. Consapevole che il
mondo stava diventando un immenso spettacolo, egli comprese che il poeta non
poteva limitarsi a comporre versi, ma doveva trovare un suo ruolo nella
società.
Il fermento di quegli anni generò, in ambito letterario,
una crisi che sfociò in due direzioni: quella dei Crepuscolari, chiusi in un pessimismo che li relegava ai margini
della società; quella, opposta, di D'Annunzio, tutto azione e protagonismo.
Marinetti cercò invece una terza via e la trovò creando
un movimento rivolto a quelle masse di uomini che sentivano i cambiamenti di
una società sempre più industrializzata.
A ciò si aggiunsero tre episodi personali: prima la morte
della madre nel 1902, poi del padre nel 1907, infine un incidente
automobilistico che gli occorse nel 1908. Se i primi due episodi gli
rinnovarono quella paura della morte che lo aveva assalito in occasione della
prematura scomparsa del fratello, il terzo episodio, invece, agì da trauma
liberatorio: Marinetti visse l'incidente come un viaggio all'inferno, dal quale
però riuscì a far ritorno.
Strettamente a contatto
con la cultura parigina del periodo, Marinetti orientò la propria attività letteraria
verso un’edificazione della cultura rinnovata. Così, nel febbraio del 1908, Le Figaro pubblicò il Manifesto
del Futurismo che sancisce in modo ufficiale la nascita del
movimento stesso (già in
precedenza, però, Marinetti, sfruttando le sue indiscusse capacità
pubblicitarie, inviò il programma a intellettuali, giornalisti, politici).
«Esaltazione del progresso tecnico e
scientifico e delle prospettive affatto nuove che esso apre, passione per il
nuovo valore, la velocità, corsa verso il futuro e bisogno di liberarsi dei
limiti, dei retaggi che la vecchia cultura impone».
Erano
questi gli elementi base del Manifesto del futurismo, esasperati in
asserzioni dogmatiche quanto quelle della cultura che si voleva distruggere,
tanto che dalla letteratura nuova il Manifesto passò ad appoggiare
l'interventismo, il nazionalismo, la guerra, intesi come valori e come
realizzazione dell'uomo nuovo. Così le giuste istanze contro una letteratura
accademica, noiosa, immobile, furono fuorviate, strumentalizzate dal Fascismo
cui, il Futurismo, si era associato in un progetto politico che ne raccoglieva
le immagini e le forze superficiali.
L'ideologia futurista fu
animata da una concezione vitalistica dell'esistenza che congiunse strettamente
arte e vita. L’estetica futurista mirava all'elaborazione di modi espressivi,
capaci di adattarsi alle nuove realtà della civiltà industriale e determinate
da una evoluzione tecnica accelerata. Spinti da una forte esigenza di
rinnovamento, i futuristi esaltarono il progresso in violenta polemica con il
tradizionalismo accademico e con il passatismo
benpensante della cultura borghese.
Nel
1909 fu scritto e pubblicato per la prima volta il romanzo di Mafarka.
Marinetti ne preannunciò l’uscita nel 1902 prima con il titolo le Porteurs du soleil, poi le Roi Chaudes infine Mafarka le futuriste roman africain, tradotto in italiano da Decio
Cinti.
Questo
romanzo fu dedicato da Marinetti ai poeti incendiari
come Gian Pietro Lucini, Enrico Cavacchioli, Federico De Maria, Paolo
Buzzi, Corrado Govoni, Libero Altomare, Aldo Palazzeschi. In Italia Mafarka fu
sequestrato per oltraggio al pudore.
Il
libro inizia con un episodio che Mafarka e suo fratello hanno assistito
spiacevolmente, una soldataglia di drogati di haschish stupra quattromila
negre. Questa è la parte meno delirante del romanzo che si presenta come un
miscuglio di esibizionismo e priapismo che atterrirono intellettuali e
borghesi. In questo libro non mancava nulla, dalla follia all’uxoricidio,
passando per l’antropofagia. Ma il culmine del romanzo è la creazione del
figlio che Mafarka partorisce senza il concorso della donna, Mafarka gli dona
la vita baciandolo sulla bocca e muore felicemente.
In
una lettera del 23 agosto 1910 indirizzata a Luigi Bertolotti, Marinetti
scrive:
«Vi mando ‘Mafarka il Futurista’, la mia opera capitale, la più sincera e la più ispirata che io abbia scritto, ed anche la più significativa, come ebbero a giudicare parecchi illustri critici di Parigi, dove l'edizione francese (originale) non sequestrata è giunta in sei mesi al dodicesimo migliaio. Vi sarò infinitamente grato se vorrete consacrare un vostro articolo a questo romanzo, tanto più che fra due o tre mesi si svolgerà a Milano il processo, con un formidabile collegio di difesa e di perizie».
«Vi mando ‘Mafarka il Futurista’, la mia opera capitale, la più sincera e la più ispirata che io abbia scritto, ed anche la più significativa, come ebbero a giudicare parecchi illustri critici di Parigi, dove l'edizione francese (originale) non sequestrata è giunta in sei mesi al dodicesimo migliaio. Vi sarò infinitamente grato se vorrete consacrare un vostro articolo a questo romanzo, tanto più che fra due o tre mesi si svolgerà a Milano il processo, con un formidabile collegio di difesa e di perizie».
In
Italia il romanzo fu sequestrato e Marinetti processato per oltraggio al
pudore: dopo il sequestro e prima del processo d'appello Marinetti pubblica in
italiano e francese un volantino che riproduce l'articolo di Rachilde su Mafarka, pubblicato il 1°
luglio 1910 sul «Mercure de France»: «Vi
ripeto che ho trovato veramente bello questo romanzo perché F.T. Marinetti è
veramente riuscito a farmi vedere il suo enorme sogno. Ora, se uno scrittore mi
fa vedere realmente un'esistenza pazza, riesce realmente a darmi la visione
dello stravagante, io non domando di più per trovare in lui del genio...».
Ma l'Italia non era la Francia e l'8 ottobre 1910 iniziò il processo d'appello.
Perito della difesa era Luigi Capuana che tenne «un discorso sulla libertà
letteraria, citando i Promessi Sposi, la letteratura classica e il verismo.
Conclude sostenendo che l'opera di Marinetti è forse sovrabbondante ma morale.
Fra il pubblico sono presenti molti futuristi, che alla sentenza di assoluzione
inscenano una manifestazione».
Marinetti
fu assolto e per l'occasione pubblicò il volantino La Clamorosa assoluzione di
Marinetti che faceva la
cronaca del processo.
Il
testo delle arringhe e della sentenza invece furono pubblicati nel gennaio 1911
col titolo Il processo e
l'assoluzione di Mafarka il Futurista col discorso di F.T. Marinetti, la
perizia di Luigi Capuana e le arringhe dell'On. Salvatore Barzili, di Innocenzo
Cappa e dell'Avv. Cesare Sarfatti, nella prima edizione italiana di Distruzione.
Ma poco dopo, il 29 gennaio 1911, l'opera verrà definitivamente condannata in Cassazione, come documenta un altro volantino: Un procès contre le Futurisme. Le Poète Marinetti condamné à deux mois de prison, in cui si invitano gli intellettuali a scrivere sulle riviste a proposito del processo per Mafarka, e sottoscritto da una lunga lista di poetes, peintres e musiciens futuristes.
Ma poco dopo, il 29 gennaio 1911, l'opera verrà definitivamente condannata in Cassazione, come documenta un altro volantino: Un procès contre le Futurisme. Le Poète Marinetti condamné à deux mois de prison, in cui si invitano gli intellettuali a scrivere sulle riviste a proposito del processo per Mafarka, e sottoscritto da una lunga lista di poetes, peintres e musiciens futuristes.
Saranno
numerose le traduzioni all'estero, in Russia (1916 e 1917), Spagna (1921),
Argentina (1927), Messico (1927) ecc. In Italia verrà ristampato solo nove anni
dopo ma con numerosi tagli: Mafarka
il Futurista. Romanzo processato. Nuova edizione, Milano, Casa Editrice
Sonzogno, s.d. (1920).
«Ricordati di amare te stesso più di ogni cosa al
mondo. Serba sempre il tuo ardore, non già per le gioie future, ma per lo
splendore del momento che passa. Ama te stesso profondamente, tanto da darti
alla morte per colorarti di una bellezza più intensa, in un solo gesto. Ama te
stesso al punto di darti ad uno spasimo qualunque, per uccidere il passato ad
ogni istante e per render vana l'attesa dell'avvenire che devi sorpassare. Fa
in modo che la realtà di oggi sia più bella del sogno realizzabile di domani...»
In questo
romanzo, di futurista non c'è ancora lo stile tipico, ma
c'è l'ostentata deformazione, ci sono invenzioni fantastiche e paradossali
che non potevano non scandalizzare il gusto del lettore medio, abituato a
immergersi nelle atmosfere sensuali dei romanzi dannunziani. Eppure c'era
molto in Mafarka che ricordava un certo D'Annunzio: linguaggio immaginifico,
esaltazione superomistica dell'aggressività e dell'audacia, il tutto però
stravolto in chiave grottesca.
Dopo il 1909 Marinetti fu
impegnatissimo nella realizzazione di eventi spettacolari e diede il
meglio di sé come scrittore nella stesura dei manifesti del Movimento.
Il Futurismo godette di
una rapida diffusione in Italia ed i suoi maggiori centri propulsori furono
Milano, Roma e Firenze, ma anche all'estero grazie soprattutto alle esposizioni
presentate a Parigi ed a Berlino.
Del Futurismo, Marinetti
disse: «È un
movimento anticulturale, antifilosofico, di idee, di intuiti, di istinti, di
schiaffi, pugni purificatori e velocizzatori. I futuristi combattono la
prudenza diplomatica, il tradizionalismo, il neutralismo, i musei, il culto del
libro».
Della
scultura, Marinetti disse: «La scultura nei monumenti e nelle
esposizioni di tutte le città d'Europa offre uno spettacolo così
compassionevole di barbarie, di goffaggine e di monotona imitazione, che il mio
occhio futurista se ne ritrae con profondo disgusto! Nella scultura d'ogni
paese domina l'imitazione cieca e balorda delle formule ereditate dal passato,
imitazione che viene incoraggiata dalla doppia vigliaccheria della facilità.
Nei paesi latini abbiamo il peso obbrobrioso della Grecia e di Michelangelo...».
Marinetti propose un
rifiuto radicale del passato, servendosi delle tecniche più evolute come la réclame, la diffusione editoriale,
facendo appello, in alcuni casi, a provocazioni e scandali. Il clima nel quale fu partorito il
programma futurista era certamente stimolante: nello stesso anno fu pubblicato
il primo Manifesto del Raggismo, una
corrente di avanguardia dell'arte russa che si sviluppò nel
secondo decennio del Novecento (1912-16) ed ebbe come punti di riferimento
parte delle caratteristiche del Futurismo russo, particolarmente affermato in
quel periodo a Mosca e nato sulla scia di quello italiano: si pensi ai
soggiorni russi di Boccioni che certamente giovarono allo sviluppo
di un Futurismo simile al nostro di cui ne ebbe conferma, nel 1914, Filippo
Tommaso Marinetti nei suoi viaggi a San Pietroburgo e nella stessa Mosca.
Il Raggismo aveva come
fine l'integrazione delle istanze futuriste con quelle del movimento
neoprimitivista. La nuova pittura acquisiva più forza nella rappresentazione
della luce e dei suoi effetti, nel conglobamento dello spettro cromatico, nella
diffusione, rifrazione e diffrazione dei raggi luminosi sui vari oggetti.
Sul Manifesto del
movimento si legge: «lo stile raggista
mira alle forme spaziali, che possono derivare dall’intersecazione dei raggi
emessi dai vari oggetti, quali vengono rilevate dalla volontà dell’artista […]
Il raggio viene convenzionalmente raffigurato in piano con una linea di colore».
Lo spunto che dette
origine al Raggismo era il bisogno russo di staccarsi dagli schemi occidentali,
principalmente da quelli francesi, mantenendosi tuttavia ancorati alle varie
forme dell'arte d'avanguardia. Il movimento era sostanzialmente basato su una
serie di esperienze locali: si ricordano, per esempio, l'esposizione del 1910
ad Odessa e le Improvvisazioni di Vasilij
Kandinsky.
Questa nuova corrente
prese forza a Mosca nel 1912 quando un gruppo di artisti – tra i quali Marc Chagall – organizzarono una serie
di manifestazioni pittoriche. Michail Fedorovich Larionov, animatore del gruppo
e organizzatore delle mostre, fra tutti l'artista più sensibile alle teorie del
futurismo e quindi al nuovo linguaggio pittorico, divenne il teorico del
movimento. Nel 1913 furono pubblicati Manifesto
ed il saggio Raggisti e Futuristi,
entrambi scritti dallo stesso Larinov.
Nel secondo erano proposte composizioni relative all'irradiazione di linee
cromatiche basilari.
Anche le scienze furono messe a soqquadro dal saggio di
Einstein "Elettrodinamica dei corpi
in moto", del 1905. Da questo rinnovamento generale nacque nei
futuristi quell'idea globalizzante che li portò ad occuparsi di ogni forma
d'arte.
Contro Venezia, inesauribile fonte di romanticismo, si
scatenò l'invettiva di Marinetti, che aspirò alla creazione di un uomo
meccanizzato, «nel quale saranno aboliti
il dolore morale, la bontà, l'affetto e l'amore, soli veleni corrosivi
dell'inesauribile energia vitale».
L'anatema colpì anche la famiglia, officina di sentimenti
destabilizzanti: a parere del letterato, con la donna era possibile solo una
meccanica funzione riproduttiva
Tuttavia, le attenzioni per le donne non vennero meno: il
personale di servizio, a casa Marinetti, fu tutto femminile e alle pareti
c’erano fotografie che ritraevano belle signore. Un altro segno, questo, di
un'ambiguità tipicamente marinettiana, confermata dal dichiarato «disprezzo della donna» che è uno dei
punti del programma futurista.
Ma c’era un campo nel quale Marinetti si dimostrò
tutt'altro che ambiguo: quello pubblicitario. Non è azzardato affermare che,
con il Futurismo, nacque il moderno concetto di pubblicità.
Con qualche decennio di anticipo sul massimo teorico di
comunicazioni sociali, Marshall McLuhan,
Marinetti intuì che «il mezzo è il
messaggio» e diede vita a metodi pubblicitari radicalmente innovativi. In
passato, i futuristi lanciavano foglietti di carta rossa privi di testo,
secondo un criterio che oggi i professionisti della pubblicità considerano tra
i più sofisticati.
Fu però il teatro il veicolo principale per la diffusione
del movimento, grazie a quelle serate futuriste
che destarono scandalo. Solitamente gratuite, le serate si svolgevano in un
teatro affittato; lo spettacolo comprendeva letture di poesie e di manifesti,
musica, presentazione di quadri ed era preceduto da volantinaggi. Chi stava sul
palco sfidava e provocava il pubblico, che, quasi sempre, reagiva con lancio di
oggetti vari.
La situazione, quindi, degenerò con l'intervento delle
forze dell'ordine e, il giorno successivo, i giornali riferirono dei
tafferugli: un altro modo per farsi pubblicità.
Lo showman per
eccellenza, inutile dirlo, fu proprio Marinetti. Con consumata abilità seppe
dominare una platea estremamente variegata: aristocratica, borghese,
proletaria.
In uno spettacolo tenutosi a Napoli, uno spettatore
lanciò sul palco un'arancia: Marinetti la afferrò al volo e, flemmatico,
cominciò a mangiarla, scatenando un uragano di applausi.
Le serate non erano però uno spettacolo fine a se stesso,
ma avevano ogni volta un contenuto diverso. Si partiva dalle dichiarazioni
patriottiche e si giungeva a quelle demolitrici del culto del passato, queste
ultime recitate provocatoriamente in città affollate di monumenti quali Roma,
Firenze e Venezia.
Dopo un anno durante il quale il Futurismo era
appannaggio di soli poeti, un gruppo di pittori si affiancò a Marinetti: Carlo Carrà (1881 – 1966), Umberto
Boccioni (1882 – 1916) e Luigi
Russolo (1885 - 1947). A loro seguirono, poi, Gino Severini (1883 - 1966) e Giacomo Balla (Torino 1871
- Roma 1958).
Dopo una fase di rodaggio, anche per i pittori giunse il
momento di provocare. Durante un'esposizione a Milano, nel 1911, il dipinto La
risata di Boccioni fu sfregiato da un visitatore. La stessa mostra fu
violentemente attaccata da Ardengo Soffici sulle colonne de La voce: ciò fornì il pretesto per due
risse tra futuristi e vociani che si conclusero al commissariato, ma che
gettarono le basi per una futura collaborazione.
Il cammino del Futurismo era ormai inarrestabile: investì
la musica, rappresentata nel gruppo dal maestro Francesco Balilla Pratella (1880 –1955),
e l'architettura, con Antonio Sant'Elia.
Non fu risparmiata neppure la politica.
Fin dagli esordi il
futurismo è per sua natura politico: "Noi vogliamo glorificare la guerra - sola
igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei
libertari, le belle idee per cui si muore…"
Siamo nel 1909 e
Marinetti lancia già il primo proclama politico ispirato al nazionalismo.
Obiettivo: l'orgoglio, l'energia e l'espansione nazionale contro i vecchi e i
preti, per una rappresentanza in Parlamento che deve essere "sgombra da mummie e libera da
ogni viltà pacifista". Anche in questo caso il vitalismo irrazionale è
il collante e la molla delle posizioni interventiste e irredentiste di
Marinetti e i suoi. Un altro elemento politico
del primo futurismo è la guerra al parlamentarismo: "Quasi tutti i Parlamenti
d'Europa - scrive Marinetti - non sono che pollai rumorosi, greppie e fogne".
La campagna di Tripoli è
l'occasione migliore per ribadire il panitalianismo: Marinetti dirà che "la parola Italia deve
dominare sulla parola libertà" e
proprio il nazionalismo costituirà il motivo di radicale disaccordo coi
futuristi russi.
Nel 1913, Marinetti
insieme a Boccioni stila il Programma
politico futurista.
Nel 1914 sono promosse
manifestazioni interventiste dei futuristi contro l'Austria. La campagna interventista offre
l'occasione per manifestazioni antiaustriache che esplodono in forme
spettacolari. Il 15 settembre del '14, al Teatro
Dal Verme di Milano, Marinetti sventola da un palco una grande bandiera
tricolore mentre l'orchestra suona la Marcia Reale; devono intervenire i
questurini per sedare il tumulto. Anche nei cosiddetti vestiti neutrali
disegnati da Balla e indossati dai futuristi nelle manifestazioni negli atenei
di Roma contro i professori definiti "tedescofili" c'è il
gesto simbolico, importante, che caratterizza il futurismo.
Sempre nel 1914 si
verificarono delle dimostrazioni interventiste a Milano: in piazza Duomo i
futuristi bruciarono otto bandiere austriache, poi Marinetti venne arrestato e
rimase cinque giorni nel carcere di S. Vittore.
Lo stesso Mussolini,
appena cacciato dal Partito socialista, scrive a P. Buzzi ricordando di aver
parlato con Boccioni delle sue simpatie per gli innovatori e per i demolitori,
per i futuristi, ammettendo che i futuristi avevano manifestato prima di lui
intenti rivoluzionari e interventisti.
Il ruolo dei futuristi
nel distruggere le fondamenta della società borghese a cavallo tra i due secoli
è riconosciuto peraltro anche da Antonio Gramsci: «I futuristi hanno svolto
questo compito nella cultura borghese: hanno distrutto, distrutto, distrutto;
hanno avuto la concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista,
quando i socialisti non si occupavano neppure lontanamente di simile questione».
I proclami a sfondo patriottico di Marinetti rivelarono
un nazionalismo che, negli anni immediatamente precedenti la grande guerra, si
trasformarono in acceso interventismo. Ma agli inizi, il movimento era aperto a
tutte le idee: i compagni di viaggio di Marinetti provenivano da un'area che
andava dal socialismo umanitario all'anarchia.
Lo stesso Marinetti non si sentì troppo lontano da certi
atteggiamenti della sinistra massimalista e irregolare, anche se imputò agli
anarchici ed ai socialisti riformatori un'azione eccessivamente prudente. Egli,
quindi, partorì un programma rivoluzionario diretto a tutto il mondo operaio,
stimolandolo all'insurrezione, come scrisse nel 1910 su un giornale anarchico La demolizione, contro «il peso enorme della macchina sociale».
Nei suoi discorsi ricorreva il concetto di guerra come sola igiene del mondo, che
diventò preponderante alla vigilia dell'impresa libica. Nel 1911, Marinetti
partì per la Libia come corrispondente per il giornale parigino L'intransigeant;
tuttavia, l'invito a trarre ispirazione0 direttamente dalla guerra non fu
raccolto dagli altri futuristi che preferirono continuare ad ispirarsi altrove.
Eppure, l'intuito di Marinetti diede i suoi frutti. Proprio dai campi di
battaglia arrivò la definitiva consacrazione della parola in libertà come simbolo del futurismo.
Del 1912 è La battaglia di Tripoli, cantata in
presa diretta dell'evento che presentava vistosi elementi di ciò che poi fu
codificato: quest’opera è una raccolta di elzeviri, o meglio di reportage poetici dalla guerra di Libia, che Filippo Tommaso Marinetti scrisse nel 1911. Redatti in francese, i testi
furono pubblicati dal 25 al 31 dicembre a cadenza quotidiana sulla rivista, e
solo successivamente tradotti in italiano e raccolti in un volumetto delle marinettiane Edizioni
futuriste di Poesia. Benché il nome del traduttore non sia citato, è
probabile che la traduzione sia opera di Decio Cinti, segretario di Marinetti
che, cresciuto in Egitto, aveva
ancora scarsa dimestichezza con la lingua letteraria italiana, che cominciò a
impiegare a partire dal 1913, con Zang
Tumb Tumb, redatto in francese ma poi pubblicato in italiano nel 1914.
Sempre nel 1912, nel Manifesto
tecnico della letteratura futurista, Marinetti enunciò i
principi fondamentali della poetica futurista. Il suo scopo era essenzialmente
quello di liberare la poesia dagli schemi e dai modelli arcaici e vincolanti
della cultura tradizionale. Rinnegando il passato Marinetti intendeva rivolgere
la poesia al futuro. Anche il linguaggio deve essere rivoluzionario, se si
vuole condurre fino in fondo il processo di definitiva rottura con la
tradizione: la parola deve essere foneticamente, graficamente e sintatticamente
liberata. Di qui i punti cardine della poesia futurista: l'abolizione della sintassi, vista come
una gabbia che impedisce la piena adesione della letteratura alla realtà, e
come il grado zero dal quale partire per creare la nuova letteratura futurista,
e la disposizione a caso dei
sostantivi; il verbo
all'infinito, per dare il senso della durata e della continuità
della vita, evitando l'individualità dell'azione; l'abolizione dell'aggettivo e
dell'avverbio, inutili ornamenti che limitano la visione dinamica
del mondo, per lasciare intatto il significato essenziale del sostantivo; l'abolizione
della punteggiatura, sostituita da segni matematici e musicali, che
insistono sull'aspetto fisico e quindi dinamico dell'oggetto, mentre la pagina
è vivacizzata da spazi bianchi, linee, cerchi, caratteri tipografici diversi
disposti con una massima libertà e originalità; l'analogia, intesa
come sostantivo-doppio,
per cogliere la vita della materia ed esprimere le intuizioni senza i
condizionamenti della logica.
Nascevano così le parole
in libertà, cioè senza alcun legame grammaticale-sintattico fra
loro, senza organizzarle in frasi e periodi, collocate a caso sulla pagina,
così come nascono nella mente dello scrittore, il quale accosta le immagini non
vincolate da alcun filo logico, dando vita alla scrittura analogica, all'immaginazione
senza fili, mediante le quali veniva abolita ogni mediazione fra
ispirazione ed espressione. Per questo il poeta futurista doveva usare i più
disparati elementi linguistici (espressioni dialettali, neologismi, onomatopee
di suoni animali e meccanici), per esprimere immediatamente il meccanicismo
psichico dell'impressione.
All'ordine dell'arte
tradizionale si contrappone un massimo di disordine, fino alla proclamazione di
una vera e propria estetica del brutto. All'intelligenza, infine, è
sostituita la divina intuizione.
Marinetti intende dare
voce alla realtà della materia, nelle sue risonanze profonde: di qui il
tentativo di riprodurre il rumore, il
suono, l'odore, inserendoli in un processo sinestetico, in quanto le
sensazioni, per il loro movimento e la loro mutevolezza, tendono a confondersi
e a compenetrarsi le une nelle altre.
Nel Manifesto tecnico della Letteratura Futurista del 1912, le critiche
erano rivolte ai valori tradizionali, alla poetica corrente, giudicata
sentimentale e nostalgica. Questo
manifesto tecnico, accluso alla prima antologia dei poeti futuristi pubblicata
dalle edizioni di Poesia, propose di regolare l'intervento sulle forme
letterarie.
I punti del programma erano sempre undici, cifra che
Marinetti considerava scaramantica, il primo dei quali recita: «Bisogna distruggere la sintassi, disponendo
i sostantivi a caso, come nascono».
La compiuta espressione di quanto il letterato si
predisponeva, arrivò due anni più tardi con Zang tumb tumb... che è
un'opera letteraria di Marinetti.
Venne
pubblicata a Milano a cura delle Edizioni futuriste di Poesia, nel 1914. In questo poemetto, ispirato
all'assedio di Adrianopoli durante
la guerra bulgaro-turca, l'autore utilizza metodi di stampa particolari
inserendo caratteri tipografici di varie dimensioni, nonché grassetto
e corsivo creando in tal modo un effetto visivo in grado di riportare il
lettore al centro della battaglia del 1912. Il testo, dal forte carattere
visivo, si compone delle parole
in libertà, tecnica di scrittura futurista che prevede l'abolizione dei nessi
sintattici tradizionali, il rifiuto di articoli, avverbi e aggettivi e l'uso di
termini onomatopeici per riprodurre i suoni della guerra.
Questo è il primo libro parolibero, che può essere considerato
il punto di partenza di tutta la moderna sperimentazione. La fonte di
ispirazione dell'opera era la guerra, in particolare, il conflitto bulgaro-turco del 1912, vissuto in prima persona
dall'autore, il quale, però, nella sua ricerca di un segnale totalmente nuovo,
si lasciò ispirare anche dall'estetica della pittura futurista, i cui esponenti
lavoravano sulle tele cercando di esprimere la simultaneità degli stati d'animo.
Era loro intenzione rappresentare «ciò che si ricorda e ciò che si vede»:
su questa strada s'incamminò Marinetti, aiutato dalla roboante scenografia
delle battaglie e deciso più che mai a scombinare i canoni del linguaggio
tradizionale. L'impatto, ovviamente, non fu dei più morbidi: all'interno dello
stesso movimento c'era chi ne era entusiasta e chi invece, scandalizzato, se ne
andava.
Il 1912 fu anche l'anno del debutto
internazionale dei pittori futuristi, con una mostra a Parigi che la stampa
francese, complice il pubblicitario
Marinetti, seguì con attenzione.
Le reazioni, anche qui, furono contrastanti: ad un Gustave Kahn favorevole si opposero i detrattori Guillaume Apollinaire e Andrè Salmon. L'effetto, comunque, era quello voluto: se ne parlava e la
risonanza era forte. Nel 1913, due ex vociani, Giovanni Papini (1881 -
1956) e Ardengo Soffici (1879 – 1964), protagonisti qualche anno prima
della rissa con i futuristi, fondarono la rivista Lacerba (1913-1915).
Stanchi del rigorismo di Giuseppe Prezzolini (1882 - 1982) e favoriti dalla costante
intermediazione di Palazzeschi, i due ex vociani abbracciarono le idee di
Marinetti e, tramite la rivista, agitarono l'ambiente culturale fiorentino. Al
di là dell’Italia, invece, la macchina
futurista arrivò fino in Russia, dove già autonomamente si affermarono autori
quali Majakovsij e Kamenskij. Su invito di Genrich Tasteven, studioso di passaggio a Parigi, Marinetti partì per un
ciclo di conferenze tra Mosca e San Pietroburgo.
Il bilancio fu però deludente: egli giudicò negativamente
le miriadi di correnti (cubofuturisti, egofuturisti e altro ancora) che
caratterizzarono il movimento russo; dal canto loro, gli artisti locali
considerarono Marinetti troppo borghese, distaccato da quel contatto con la
terra che connotava la loro opera e la veste di eccessivo orgoglio etnico.
Tornato in Italia, Marinetti si dedicò alla promozione
del futurismo musicale, favorendo le esibizioni di Balilla Pratella e dei suoi intonarumori,
strumenti che producevano fischi, stridori, bisbigli, rombi e che
accompagnavano l'orchestra.
Al solito, fischi e applausi: tra questi ultimi c'era
quello di Igor Stravinskij che si dimostrò interessato alla novità. Insomma,
cominciava a soffiare il vento del Futurismo, ma con esso anche altri venti e
ben diversi: quelli del primo conflitto mondiale. Coerenti con l'idea che la guerra è la sola igiene del mondo, i
futuristi pensavano che l’intervento era la cosa più giusta da fare. Essi
indovinarono una forza in grado di spazzare, come scrive Marinetti, diplomatici, professori, filosofi,
archeologi, (...) greco, latino, storia, senilismo, musei, biblioteche (...).
Nel mese di febbraio del
1915 venne ancora arrestato a Roma di fronte a Montecitorio. In quell’anno
partecipò ad una manifestazione interventista con Mussolini e Balla. Scrive
nelle sue memorie: "Il patriottismo
milanese proiettato a Roma riunisce in Piazza di Trevi 150 repubblicani e 100
poeti pittori scultori musicisti futuristi. Sono frettolosi nell’insorgere
quanto i duecento predisposti carabinieri in agguato con carrozzelle pronte.
Crudo sussultante scambio di cazzotti legnate intorno ai due discorsi iniziati
sui gradini della piccola vecchia chiesa che sotterfugia la messa. Noi
agitatori siamo incarozzellati e portati in prigione cherubini ammanettati di
raggi."
Convinti che il Futurismo abbia significato l'irrompere
della guerra nell'arte, i futuristi si adoperarono affinché essa irrompesse
anche nella società. Quindi, organizzarono comizi durante i quali lanciarono
volantini che raffiguravano un cuneo che trapassava figure austro-tedesche,
apportando un grande contributo all'entrata del Paese nel conflitto. Anche i
futuristi andarono in trincea: Marinetti, Boccioni, Sironi ed altri compagni si
arruolarono nel Battaglione Lombardo
Volontari Ciclisti e Automobilisti per poi passare nel
settembre negli alpini. Partecipò
a combattimenti sull’Altissimo e alla presa di Dosso Casina.
Nel 1918 il poeta,
comandante di una blindata durante le operazioni militari di Vittorio Veneto,
ottenne una medaglia al valore. Nello stesso anno fondò con Settimelli e Carli
il giornale del partito politico futurista "Roma futurista".
L'esperienza del fronte, però, fu, per alcuni, di una
tale violenza da indurli a ripensamenti.
Durante quegli anni, tuttavia, il movimento non si fermò
e, nel 1916, nacque a Firenze la rivista L'Italia futurista, fucina di
nuovi poeti paroliberi, tra i quali
un giovane Salvatore Quasimodo.
L’Italia
futurista fu una rivista letteraria uscita
per la prima volta il 1° giugno 1916, sotto la direzione di Emilio Settimelli e Bruno Corra. Il giornale, che al suo interno
annoverava personalità di spicco della cerchia futurista fiorentina, nacque
dalla costola della rivista Lacerba. Tra gli argomenti maggiormente
trattati, come ovvio del resto in quegli anni, la politica e la guerra. In
questo senso, il maggior contributo non può che essere rappresentato dalle
seguenti parole di Marinetti, pubblicate il 4 luglio 1916, sul numero quattro
del rotocalco:
«La GUERRA è una grande e sacra legge della vita. Vita = aggressione.
Pace universale = decrepitezza e agonia delle razze. Guerra = collaudo
sanguinoso e necessario della forza di un popolo».
Parole nude, cruente,
violente, tipiche del fondatore del Futurismo. Parole che rispecchiano alla
perfezione la tendenza abbracciata dalla rivista, quella di un interventismo
nazionalista che dimostrasse tutta la forza rampante della sacra patria
italica.
Nel numero sei, del 25
maggio 1917, L’Italia futurista ripropone il Programma politico futurista già pubblicato quattro anni prima
nelle colonne de Lacerba. Un modo per
ribadire la forza e l’attualità delle proposte rivoluzionarie, a tratti dispotiche del movimento, che con
l’adesione dell’Italia alla Grande Guerra, si illude di aver conquistato un
consenso non solo artistico, ma anche, e soprattutto, politico a livello
nazionale.
Sempre nel 1917, dopo la
terribile disfatta di Caporetto, Filippo Tommaso Marinetti, Mario Carli ed
Emilio Settinelli fondano una rivista di carattere del tutto politico, dal
titolo Roma futurista, che dirigono direttamente dal fronte. Fondazione
che, di fatto, segnò la fine del giornale L’Italia
futurista.
Di seguito, proponiamo
un passo estrapolato dalle pagine del giornale. Un passo intitolato No a
Lacerba!, dal quale riusciamo a comprendere con grande chiarezza le distanze
che divisero le due riviste, pur appartenenti entrambe al variopinto universo
futurista.
«L’ITALIA FUTURISTA non continua assolutamente “Lacerba” di Papini
e Soffici. “Lacerba”, poco interessante e poco diffusa prima della conversione
dei suoi fondatori al futurismo, acquistò grande valore e popolarità quando gli
uomini come Marinetti, Boccioni, Russolo, Balla, Pratella,
Buzzi, Cangiullo, ecc., le regalarono le loro stupende energie. Ma poi,
essendosi ritirati questi vivificatori, Lacerba riprese la sua meschina vita
fino alla morte che fu di tisi. L’iniezione futurista nel suo corpo fradicio di
passatismo dette risultati per un certo tempo, poi il morbo congenito finì per
trionfare».
Marinetti rivolse la sua attenzione al cinema: nel 1917
girò, con alcuni colleghi, il film Vita
futurista. C'era quindi fermento, ma c'era anche un cambiamento all'interno
del gruppo dei futuristi.
La guerra si portò via Boccioni e Sant'Elia, mentre
Palazzeschi, Carrà e Severini abbandonarono il nucleo storico. Marinetti,
tuttavia, continuò nella sua frenetica attività a tutto campo; solo con la fine
del conflitto, concentrò le sue forze sulla politica.
Da questo momento iniziò un periodo di flessione
dell'artista e dell'uomo, incapace di imprimere al movimento una precisa
direzione, grazie anche alla confusione politica che regna nel triennio
1918-1922.
Nel gennaio del 1918 Marinetti elaborò l'idea di fondare
un partito futurista che potesse razionalizzare i fermenti politici e sociali
che animarono la fine del conflitto Nel 1918 esce il
Manifesto del Partito politico futurista e il Partito politico futurista, che voleva essere
nettamente distinto dal movimento artistico futurista.
Il programma era ambizioso e articolato in una miriade di
temi che partivano dall'educazione patriottica del proletariato e giungevano a
quella militare nelle scuole, dalla riduzione degli effettivi nell'esercito ad
un parlamento formato di soli tecnici.
Il manifesto del partito
futurista italiano mette a fuoco le coordinate politiche del movimento
futurista. Al primo posto ci sono l'educazione patriottica del proletariato, la
lotta all'analfabetismo, la lotta all'insegnamento classico, l'educazione
sportiva, l'insegnamento tecnico obbligatorio nelle officine, la libertà di
sciopero, di riunione, di organizzazione, l'abolizione della polizia politica,
la giustizia gratuita, la trasformazione della beneficenza in assistenza e
previdenza sociale. Il
programma prevedeva anche una decisa rivalutazione della donna, ammessa al
voto, parificata all'uomo nelle retribuzioni e non più soggetta
all'autorizzazione maritale. Ciò significava anche la disgregazione della
famiglia: Marinetti chiese il divorzio e la svalutazione graduale
dell'istituzione matrimoniale per arrivare al libero amore.
Più che un programma di
partito il Manifesto del Partito politico futurista era lo
specchio dello spirito vitalistico ed estetico dell'avanguardia futurista che
per molti aspetti alimentò il fascismo. Marinetti a buon diritto dirà nel '24
che "il fascismo nato dall'interventismo e dal futurismo si nutrì di principi
futuristi". Benedetto Croce ribadì che "per chi abbia
il senso delle connessioni storiche, l'origine ideale del fascismo si ritrova
nel futurismo".
Nel 1919 Marinetti
promuove la costituzione dei Fasci politici futuristi che nasceranno in diverse
città italiane. La politica marinettiana oscilla tra nazionalismo ed anarchismo,
libertarismo e socialismo, tanto che alcuni critici parlano, soprattutto tra i
seguaci di Marinetti, di un futurismo di destra e di un futurismo di sinistra.
Gli intenti rivoluzionari marinettiani, diretti a colpire
quegli ex neutralisti, socialisti e borghesi che, secondo l'autore, infettavano
la politica italiana, catturarono l'attenzione di Benito Mussolini. Marinetti,
dapprima, ne rimase affascinato, convinto che fosse pieno di idee futuriste. Ma dopo la nascita dei
fasci futuristi, Mussolini organizzò i suoi fasci per la scalata al potere.
col tempo, Marinetti cambiò opinione, deluso dalla sete
di potere e dal temperamento napoleonico che segnavano il carattere di
Mussolini. Il legame iniziale tra i due, però, era forte e le collaudate capacità
organizzative del futurista andavano tutte a vantaggio della formazione del
Fascismo, grazie all'apporto della rivista Roma
futurista, organo del partito marinettiano, fondata nel febbraio 1919. Marinetti
partecipò all'adunata milanese di Piazza Sansepolcro durante la quale nacquero
i fasci di combattimento, ma i metodi
mussoliniani non gli piacevano. Nell'aprile dello stesso anno, Marinetti fu
coinvolto nei tumulti che si conclusero con l'incendio della redazione dell'Avanti!, distinguendosi però per aver
protetto un operaio socialista dalla violenza dei fascisti.
Nel 1920, Marinetti si
allontanò dal Fascismo, accusandolo di reazionarismo e di passatismo, rimanendo
comunque una personalità rispettata e piena di considerazione da parte di
Mussolini. Fu inevitabile,
a questo punto, l’unione con la fazione opposta, quella comunista, che però
rimase allo stadio del tentativo.
Nell'estate del 1920, Amedeo Bordiga espresse interesse
per gli elementi rivoluzionari dell'interventismo. Tuttavia, i punti di contatto
tra i futuristi e i comunisti si limitarono a poche cose: nel testo Al di là
del comunismo, pubblicato
nel 1920 ma elaborato durante i ventuno giorni di carcere che Bordiga scontò a
San Vittore all'indomani della sconfitta elettorale, in seguito ad una
perquisizione della polizia nella sede del comitato elettorale fascista, nel
quale era nascosto un deposito di armi, Marinetti,
considerando il comunismo "un'esasperazione del cancro burocratico che
ha sempre corroso l'umanità", disapprovò le aspirazioni di livellamento sociale
bolsceviche, sostenendo che la rivoluzione russa era un fenomeno estraneo agli
italiani, popolo inguaribilmente individualista.
Di contro Marinetti manifestava apprezzamento per l'apertura
dei bolscevichi alle avanguardie artistiche. Al di là del comunismo era il punto di partenza di una revisione,
all'interno del Futurismo, che non portò a risultati politici. Dopo alcune
iniziative comuni, anche i rapporti con la sinistra si lacerarono: Antonio Gramsci da un lato ne identificò
l'impatto distruttivo nei confronti della cultura borghese e al contempo
rivoluzionario nell'arte, nel costume e nel linguaggio, dall'altro, con
Bordiga, ne contestò l'inattività sul piano dell'azione politica.
Marinetti, quindi, si ritrovò da solo.
Nel 1920 i futuristi uscirono
dal movimento fascista.
Nel 1922, quando
Mussolini ricevette l'incarico di formare il governo e cominciò a trasformare
la rivoluzione in "regime",
i futuristi sentirono subito di essere stati traditi.
Giuseppe Prezzolini, in
un articolo intitolato Fascismo
e futurismo, pubblicato il 3 luglio del 1923, scrive: "Evidentemente
nel Fascismo c'è stato del Futurismo e lo dico senza alcuna intenzione. Il
futurismo ha rispecchiato fedelmente certi bisogni contemporanei e certo
ambiente milanese. Il culto della velocità, l'amore per le soluzioni violente,
il disprezzo per le masse e nello stesso tempo l'appello fascinatore alle
medesime, la tendenza al dominio ipnotico delle folle, l'esaltazione di un
sentimento nazionale esclusivista, l'antipatia per la burocrazia, sono tutte
tendenze sentimentali passate senza tara nel fascismo dal futurismo". Ma
lo stesso Prezzolini, più avanti, spiega che nello sviluppo del Fascismo non
c'era più posto per il Futurismo. Il ribollire di forze per Prezzolini andava
bene per la rivoluzione, ma "stona
in un periodo di governo". "Se il fascismo vuol segnare una
traccia in Italia - continuava
Prezzolini - deve
espellere ormai tutto ciò che vi rimane di futurista, ossia di indisciplinato e
anticlassico. Sarei troppo seccante se ai miei conoscenti del movimento
futurista chiedessi un franco giudizio sulle riforme classiciste del ministro
Gentile?".
Marinetti era un irregolare: contestava la pachidermica
pigrizia politica e parlamentare di quegli anni, ma era lontano dalla protesta
dei fasci e si allontanava sempre più da Mussolini, pur non distaccandosene
completamente. Infatti, a novembre, Marinetti si candidò alle elezioni
politiche nel listone del blocco
fascista: non fu eletto e la sua delusione si manifestò prima con un ritorno
all’arte, poi con la rottura con i fasci
di combattimento.
Durante gli anni di rapporto con la sinistra comunista,
comunque, non mancò lo slancio artistico: nel 1921 nacque il tattilismo, forma d'arte e di vita che
permise di migliorare i rapporti interpersonali, favorendo la comunicazione del
pensiero attraverso il tatto.
Un ruolo importante, in questo nuovo aspetto, giocò Benedetta Cappa, detta Beny, una ragazza conosciuta nello
studio di Balla della quale Marinetti s’innamorò perdutamente. I due si
sposarono nel 1921 e, grazie a quell'unione, dalla quale nacquero Vittoria nel 1927, Ala nel 1928 e Luce nel
1932, Marinetti abbandonò la concezione di un amore fatto solo di rapporti
fisici, riscoprendo le virtù dei sentimenti. Gli amplessi con Beny, conditi
però da robustissime dosi di romanticismo, convinsero Marinetti delle
inesplorate capacità del tatto, in grado di aumentare la percezione di
qualsiasi esperienza: «La stretta di
mano, il bacio e l'accoppiamento sono forme di trasmissione del pensiero».
Nacque così l'opera d'arte da toccare, per meglio
intendere l'idea del suo creatore: ma si trattò solo di un'impennata. La
delusione politica fu intensa, ampiamente manifestata in due scritti del 1922:
il romanzo Gli Indomabili e il manifesto L'inegualismo che ne
segnarono l'abbandono per tornare all'arte. L'imporsi del Fascismo, però,
indusse Marinetti a una svolta all'indietro
per chiedere a Mussolini di considerare il futurismo come arte di regime. Mussolini lo appoggiò; tuttavia, la congenita irregolarità
di Marinetti ne complicò la posizione in seno al Fascismo.
Il giornale L'impero diede spazio ai futuristi, ma
proprio per questo fu criticato. Mussolini era però legato a Marinetti da una
sincera amicizia e, proprio grazie ad essa, quest'ultimo si permetteva
iniziative antifasciste, quali la liberazione di Ferruccio Parri dal confino di
Lipari.
Durante i primi anni del regime, l'attività artistica
rallentò, mentre quella pubblicitaria continuava a espandersi. Marinetti portò
a termine continui viaggi all'estero, esportando il verbo futurista e
influenzando numerose correnti d'avanguardia. Tra un viaggio e l'altro, però,
Marinetti si inventò anche un nuovo tipo di teatro: lo spettacolo multiplo,
regno del caos. L'orchestra era sparpagliata tra il pubblico in sala, alcuni
suoi membri intonavano a voce il suono degli strumenti, sul palco, nella
nicchia del suggeritore, c'era il dimenticatore,
col ruolo di confondere gli attori e far loro sbagliare le battute.
Lo scandalo, questa volta, fu minore rispetto alle
vecchie serate futuriste; ciò dimostrò, però, che l'inventiva marinettiana non
si esauriva. Anzi, nuovi stimoli arrivarono dallo sviluppo dell'industria
aeronautica. L'aeroplano incarnò un mito e Marinetti ne fu totalmente
coinvolto.
Con la consueta indipendenza da tutto, nei primi anni del
1930, Marinetti propose il rivoluzionario Dizionario Aereo. Mentre il
regime si adoperava alacremente per l'eliminazione dalla lingua italiana delle
parole straniere, Marinetti, ispirato dagli apparecchi, propose l'adozione di
termini che ne imitassero la velocità.
Marinetti, nel 1931, scrisse: «Distruggere il tempo mediante blocchi di parole fuse, mediante
un'alogica miscela dei vari tempi dei verbi, esprimere la varietà delle
posizioni dell'apparecchio».
Le ali sulle quali viaggiava il nuovo messaggio
linguistico erano quelle della radio, che, appunto, con l'aereo, dominò la
tarda stagione futurista. Una stagione durante la quale il movimento ebbe fama
mondiale che incoraggiò il suo creatore a una continua sperimentazione:
fotografia, danza, fino alla gastronomia con gli inconsueti accoppiamenti di
sapore dei bocconi simultanei.
Nemmeno la moda riuscì a evitare il ciclone futurista e,
anche in questo settore, Marinetti confermò il suo spirito innovatore, proponendo
soluzioni che erano agli antipodi dei canoni fascisti del fez e dell'orbace. Erano
trasgressioni che il regime gli perdonò, data la risonanza internazionale del
movimento, che contribuì a esportare elementi italiani. Il clima politico,
però, si fece via via più teso e condizionò la libertà di cui, in quel momento,
godeva Marinetti.
Durante la metà del 1930, Marinetti si trovò tra due
fuochi, l'Asse e i suoi avversari.
Da un lato, il Nazismo ne combatté l'avanguardia;
dall'altro, gli ambienti internazionali, soprattutto quelli francesi, a lui
molto vicini, ne contestarono l'appoggio al regime. E proprio dalle frange
estremiste di quest'ultimo, arrivarono gli attacchi più dolorosi.
I contrasti, però, furono rimossi con l'inizio della
guerra, che spostò l'attenzione su altri problemi. L'epoca del Futurismo, a
questo punto, si deve considerare conclusa.
Marinetti visse gli anni del conflitto studiando, quasi
da semiologo, nuovi sviluppi della parola
in libertà e curandosi da ripetute crisi cardiache, una delle quali, il 2
dicembre 1944, gli fu fatale. Morì a Bellagio, sotto
la Repubblica di Salò e fu tumulato del cimitero monumentale di Milano.
È difficile tracciare un bilancio sul futurismo e sulla
figura di Filippo Tommaso Marinetti. La sua ambiguità, in particolare, causò
una vera spaccatura in seno all'ambiente letterario.
Carlo Bo scrisse: «Quella
che doveva essere l'illimitata libertà del futurismo è stata annullata da un
sincero ma inutile patriottismo. Noi possiamo rendere omaggio a Marinetti, ma
allo stesso tempo non possiamo dimenticare che egli ha sciupato una delle rare
occasioni offerte alla letteratura italiana di lavorare fuori dei pregiudizi e
delle regole morte».
Invece, Ezra Pound scrisse: «Marinetti e il futurismo hanno dato un grande impulso a tutta la
letteratura europea. Il movimento al quale Joyce, Eliot, io stesso e altri
abbiamo dato origine a Londra non sarebbe esistito senza il futurismo».
I posteri, che siamo noi, non hanno ancora dato l'ardua
sentenza.
Alessandro Somma
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