Giocattoli su un
tappeto, abiti a terra, libri, scodelle per apparecchiare una tavola, pavimenti
a scacchiera, sedie come troni reali, porte chiuse. Oggetti della realtà
quotidiana sbalzati in ambienti di un soffocante silenzio.
Oggetti, non
simboli di una scenografia misteriosa, né allusioni incomprensibili ad un
mistero oscuro, nature morte che chiudono ermeticamente fuori l'esterno e
vivono immobili ed incantate in interni avvolti da un'atmosfera sospesa e indefinita.
Sembrerebbe un fraseggio adatto a De Chirico, ma in questo caso non c’è nulla a
che vedere con l'enigma e il mistero, con quello stato intermedio tra il sonno
e la veglia in cui sorgono quasi spontanee le immagini di Giorgio De Chirico.
Gli oggetti che
dipinge sulla tela Felice Casorati (1883-1963), figura di punta
dell'avanguardia intellettuale del primo Novecento, padre di quel realismo magico
che conferì un tocco di audace e raffinata sperimentazione nell'ondata del ritorno all'ordine, sono semplici oggetti.
Sono davvero
giocattoli quelli disposti sul tappeto della bambina, non c'è nessun mistero da
scoprire in quegli oggetti che amplificano solo la solitudine dell'attesa. E
non c'è racconto né possibilità di svolgimento narrativo o di epilogo che
giunga a risolvere la situazione, a sciogliere in ritmo più accostabile quella
nota troppo trattenuta, quella tensione senza tregua. La metafisica di Casorati
è la metafora della metafisica del museo: nello spazio della tela, figure e
oggetti sperimentano il tempo assoluto non relativo, istituito dai capolavori. E
al museo rimandano le memorie quattrocentesche della Silvana Cenni, de Le due sorelle o della scandalosamente blasfema
fanciulla addormentata nella stessa prospettiva di scorcio del Cristo morto, ma è soltanto una
ridondanza, il segno palese della volontà del pittore di inserirsi nella
continuità, di riconfermare la sua appartenenza a una civiltà antica, di
straordinaria ricchezza e fecondità. La stessa sulla quale andavano riflettendo
anche gli altri artisti, italiani ed europei, nell'ambito di quella generale
riscoperta dei fondamenti culturali che sono alla base del Ritorno all'ordine.
È questo il segreto
dell'arte di Casorati che voglio raccontare, durante la sua lunga carriera,
dagli esordi secessionisti di inizio Novecento alle composizioni
neoquattrocentiste, dal realismo magico alle nature morte che ricordano
inequivocabilmente Cezanne degli anni Cinquanta.
La parabola
artistica di Casorati fu complessa ed il maestro sperimentò e seppe
metabolizzare in un linguaggio del tutto personale, quasi tutti i più
significativi momenti creativi della prima metà del secolo, attraversando, in
un primo momento, varie fasi poetiche in chiave secessionista, al seguito di un
apprendistato veneziano strettamente legato al Gruppo di Cà Pesaro, al fianco di Martini e Rossi, e torinese del
gruppo di Rivoluzione liberale, in
stretta sinergia col critico Piero Gobetti (1901 – 1926), quando mise a fuoco una ricerca cromatico-lineare
e un figurativismo idealizzante a metà tra il romanticismo virtuosistico dei
preraffaelliti e l'esuberanza suggestiva di Klimt.
Felice Casorati, discendente di una famiglia
di matematici e di scienziati di fama, nacque
a Novara il 4 dicembre 1883 da Francesco, ufficiale e pittore
dilettante, e da Caterina Borgarelli. Nei suoi primi anni di vita, a
causa del lavoro paterno, la famiglia Casorati fu costretta a frequenti
spostamenti, Milano, Reggio Emilia, Sassari, fino al 1895, quando il nucleo familiare
si stabilì, infine, a Padova, dove Casorati compì i suoi studi.
Molto dedito anche agli studi musicali, il diciottenne
Casorati rimase vittima di un esaurimento nervoso. Durante il periodo di riposo
sui colli Euganei senza l'adorato
pianoforte, scoprì la pittura quando, suo padre, per consolarlo, gli regalò una
grande scatola di colori.
Casorati cominciò a
dipingere, eseguendo la prima opera nota, un Paesaggio padovano del 1902. I suoi lavori iniziali hanno un sapore vagamente
espressionistico, per la maggior parte sono ritratti della madre e delle
sorelle, eseguiti a matita ed a pastello.
Agli
studi universitari Casorati accompagnava, in maniera sistematica, quelli
artistici e musicali: nel luglio del 1906 si laureò in Giurisprudenza nell'università
di Padova,
con un’interessante tesi dal titolo Studio
sulla Corte d'Assise, ma decise di dedicarsi alla carriera artistica e, prima di raggiungere la sua più nota maniera metafisica,
passaggio indispensabile per la nascita del Surrealismo, visse un lungo periodo
liberty: Ritratto di signora, un'elegante
immagine della sorella Elvira, fu accolto favorevolmente e ammesso dalla Commissione
Internazionale della Biennale di
Venezia nel 1907.
In questo Ritratto di Signora, Casorati, allora
ventiquattrenne, debuttava con un'opera aristocratica, di un registro mondano
ed elegante, per il quale aveva posato la sorella maggiore, Elvira, figlia di
primo letto della madre del pittore, soggetto prediletto di altri intensi
ritratti, con una fisionomia particolare segnata da un imponente naso aquilino.
La modella di profilo vi appare come una dama dell'alta società, in un abito
nero di raso, spezzato dallo jabot di garza bianca e dal lungo guanto di pelle
crema, mentre la cupola del cappello nero è inglobata nella trasparenza di
un'ampia veletta bianca.
«Partecipe
del gusto del passaggio di secolo –
scrive Maria Mimita Lamberti - il
debuttante Casorati ne padroneggia in questa prima opera due componenti
essenziali: la capacità di trarre ispirazione dai maestri antichi adattandoli
alla moda contemporanea entro una matrice colta, allusa più che citata per un
pubblico di sottili conoscitori; ma soprattutto la verifica del dato reale e il
suo piegarsi al modello voluto dall'artista».
Nel
1908 fino al 1911 la famiglia Casorati si trasferì a Napoli, una città il cui
clima esaltante
lo depresse producendo sulla sua natura umana e spirituale una singolare
reazione di malinconia, di tristezza, di pessimismo, ma che gli diede la possibilità di studiare a
fondo l'opera di Pieter Brueghel il
Vecchio, nella collezione del Museo
Nazionale di Capodimonte: e
sono questi gli anni di "Le
vecchie" e di "La
cugina" caratterizzate dalla sua intonazione
prediletta, bruno-grigia, che sembra ispirarsi ad un dipinto più volte citato
dalla critica come fonte casoratiana, la straordinaria Parabola dei ciechi di Bruegel.
Nel 1910 Casorati partecipò
alla IX Biennale con "Le ereditiere".
In quell'anno la Biennale dedicò una grande sala individuale a Gustav Klimt con
l'esposizione di 22 bellissimi quadri. In questa occasione il giovane pittore
rimase molto impressionato dalla sala
dedicata a Klimt che evolse il
suo stile verso la linearità decorativa dei suoi lavori successivi,
evidentemente influenzato dallo stile simbolico e decorativo della Secessione Viennese.
Dal
1911 al 1915 la famiglia Casorati si trasferì a Verona, dove il pittore
lavorò intensamente. Nel 1911, Felice
Casorati, scriveva «Vorrei saper
proclamare la dolcezza di fissare sulla tela le anime estatiche e ferme, le
cose immobili e mute, gli sguardi lunghi, i pensieri profondi e limpidi, la
vita di gioia e non di vertigine, la vita di dolore e non di affanno». I lavori
di questi anni riflettono opere stilisticamente affini al simbolismo
secessionista di Klimt: soggetti allegorici e spirituali, la cui raffigurazione
è affidata in prevalenza a figure femminili, ampio ricorso a motivi decorativi
bidimensionali - vere e proprie strutture
ripetitive con cui riempire lo sfondo dei dipinti, alla maniera di
Klimt, appunto come quadri come Il sogno del Melograno del 1912 o La Preghiera del 1914, fortemente connotati già nei
titoli.
In questo “Sogno del melograno” del 1912, si
ritrova lo stile decorativo di Klimt che
Casorati rielabora in modo personale. Con il soggetto della donna dormiente in
mezzo alla natura, Casorati sintetizza i due filoni principali
dell’opera di Klimt: la donna, protagonista di ritratti ed opere mitologiche, e
la natura che caratterizza i numerosi paesaggi dipinti nei mesi estivi sull’Attersee. Per Casorati questo rappresenta solo un momento
di passaggio nell’evoluzione del suo linguaggio artistico che denota però una
eccezionale sensibilità compositiva.
Il 1912
fu un anno importante per Casorati che realizzò opere in cui è evidente la
ricerca di una sintesi tra simbolismo e realismo tradotta in forme nitide,
psicologicamente straniate, accompagnate da un aspetto tecnico complesso ed
elaborato: il pittore usava infatti colori stemperati con glicerina che velava
con cera trasparente. Questo è il periodo de Le signorine, opera con la quale
partecipò nel 1912 alla XI Biennale di Venezia, dei celebri La ragazza sul tappeto rosso.
La voglia di una pittura non confinata
nei musei, libera dai vecchi canoni, portò Casorati ad avvicinarsi a un gruppo
di artisti e amatori d'arte che lavoravano per rendere quotidiana ogni immagine
artistica: nel 1913 , infatti , Casorati tenne una mostra personale alla Mostra degli artisti della Galleria Ca' Pesaro, dove partecipò per la prima volta con 41 opere. La
Galleria
Ca' Pesaro era un luogo di estrema importanza nel panorama artistico
italiano di quegli anni, che ebbe il merito di riunire e dare ampio spazio alle
ricerche sperimentali di giovani artisti, in opposizione all'arte accademica vigente e che aveva nella
Biennale la sua roccaforte superba ed inaccessibile.
Durante questa
esposizione veneziana, Casorati entrò in contatto con gli artisti di Ca' Pesaro Arturo Martini, Gino
Rossi, Umberto Moggioli, Pio Semeghini, il cui
orientamento europeo lo introdusse ai recenti sviluppi artistici
di Parigi e Monaco e realizzò una serie di tempere, acqueforti,
acquetinte e puntesecche di impronta visionaria, aderenti al dettato
Secessionista.
Nel
1914 a Verona fondò la rivista La Via Lattea, alla quale
collaborò con illustrazioni di stile art
nouveau alla maniera di Jan Toorop e
Aubrey Beardsley. Del 1914 è anche La preghiera soprattutto quest’ultimo rivela il picchiettio pullulante dei
fiori, sua caratteristica, e la stilizzazione lineare della figura femminile; l’anno successivo
tenne una mostra individuale alla Secessione
Romana.
Con l’entrata dell’Italia nella Prima
guerra mondiale, Casorati fu richiamato alle armi e, nei tre anni di guerra, riuscì
a dipingere solo due grandi pannelli per la mensa ufficiali e l'inquietante
dipinto antimilitarista Giocattoli. Nonostante
il suo sostanziale allineamento con le correnti in auge, Casorati si garantì sempre
ampi spazi di autonomia, portando avanti una riflessione solitaria e disposta ad
improvvisi, frequenti e imprevisti cambiamenti di stile come per esempio accade per i dipinti Giocattoli del 1915 e Tiro al bersaglio del
1919, entrambi in collezioni private, che, nonostante la giocosità dei soggetti e la vivida
esuberanza dei colori, comunicano all'osservatore una sensazione di
desolazione, di abbandono e di imperscrutabile solitudine.
Nel frattempo, nel
1918 cinque diversi trattati di pace concludevano gli scontri della Prima
guerra mondiale. Il lento e difficile ritorno alla normalità portò con sé un profondo
bisogno di quiete, della rassicurante familiarità delle cose conosciute, in una
sola parola c’era bisogno di ordine.
Il panorama culturale
ed artistico recepì questa profonda bisogno collettivo: l'esuberanza sfrenata
delle avanguardie artistiche maturate prima della guerra – Espressionismo,
Cubismo, Futurismo, Dadaismo –, la loro carica irrazionale e violentemente
eversiva talvolta perfino distruttiva, la loro smania di novità a tutti i costi,
cominciavano ad essere considerate come qualcosa da seppellire in fretta, quasi
fossero esse stesse responsabili di avere fecondato quel terreno su cui il seme
della guerra non faticò ad attecchire.
Ecco allora che alla
tensione esasperata verso il futuro e all'imperativo della sperimentazione che
avevano caratterizzato l'arte del primo quindicennio del Novecento, si sostituì,
negli anni Venti, un movimento opposto,
passato alla storia come il Ritorno all'ordine.
L’antico diventava
così una sorta di rifugio verso il quale lo sguardo degli artisti si volse
all'unisono, in cerca di calme certezze, di sobri equilibri, nei quali riscoprire
e rimettere in pratica i valori tradizionali
dell'arte; fu questa una tendenza generale che percorse l'Europa, ma che
raggiunse la sua massima espressione proprio in Italia.
Nel 1918, morto tragicamente
suicida il padre nel 1917 e finita la guerra, Casorati si trasferì con la famiglia a Torino in Via Mazzini 52.
Torino era una città
culturalmente viva, ma allo stesso tempo riservata, venata di una sottile
malinconia e ordinatamente composta, che rifletteva puntualmente la personalità
di Casorati. Da poco congedato dall’esercito,
Casorati era già un artista relativamente affermato, ma già vicino
all'inaugurazione della sua stagione creativamente più significativa e matura,
che lo vide non a caso tra i massimi esponenti dell'arte italiana degli anni
Venti.
In questi anni Casorati,
diventò una figura centrale nei circoli intellettuali ed il centro della vita artistica di Torino, sensibile
al lavoro dei giovani artisti, mentre il suo stile continuò nella sua
evoluzione ispirandosi ai grandi maestri del Quattrocento Italiano, come Mantegna e
Raffaello, realizzando opere di grande limpidezza e misura, nelle quali affiora
l'immobilità tipica di Piero della Francesca, decisamente antidecadenti: al dettaglio
decorativo si sostituì la meditazione di una forma essenziale, influenzata
dalle costruzioni spaziali matematiche della pittura quattrocentesca e
dall'atmosfera di immobilità tipica dell'opera di Piero.
La sua pittura
cominciò a semplificarsi, a diventare severa, rinchiusa in uno
spazio prospettico sottolineato da un assoluto equilibro cromatico. Nelle opere
della maturità, in particolare nel periodo post bellico, Casorati diede vita ad alcune delle sue opere più mature,
veri e propri manifesti di un'arte intenta a riscoprire i valori dimenticati
dell'antichità classica come l’armonia delle forme,
la geometrica partizione degli spazi e le nitide volumetrie.
Nel corso di questo decennio andò sempre più assumendo
un ruolo guida nella vita culturale italiana: lo
raccontano opere della sua maturità artistica.
La donna e
l'armatura del 1921 è uno dei
dipinti più noti del primo periodo torinese di Casorati. Il dipinto è giocato
su una serie di contrasti: la luce fredda della finestra e la luce calda della
carne, il caotico e rigido dell'armatura e il tondeggiante e molliccio della
figura come già notava Piero Gobetti nel 1923. In quest’opera Casorati sembra
aver risolto le tensioni espressive che affiorano – seppur rigidamente
controllate – nella Ragazza con la
scodella o nel L'uomo delle
botti, degli anni immediatamente precedenti. Rimane il senso di fissità dell'immagine
– amplificato dallo sguardo immobile della donna –, ma il chiaro scuro, pur
molto accentuato non crea un effetto drammatizzante.
Del 1922 è il Ritratto di Riccardo Gualino il mecenate e imprenditore delle arti,
fondatore del Teatro di Torino.
Ancora del 1922 è un
capolavoro: il Ritratto di Silvana
Cenni.
Del
1923 è un altro capolavoro: Meriggio.
La maestosa
composizione verticale dedicata alla figura di Silvana Cenni rimanda
immediatamente al recupero di nitidezza e misura
compositive tipiche della pittura quattrocentesca italiana, il
cosiddetto Neo-quattrocentismo, che contraddistinse
la poetica di non solo di Casorati, ma di molti altri pittori.
Nel Ritratto di Silvana Cenni il riferimento
è chiaramente individuabile: la posa solenne ed immota, l'espressione severa
del volto e lo sguardo rivolto verso il basso rimandano incontrovertibilmente alla
figura della Madonna rappresentata da Piero della Francesca nella Sacra Conversazione; il pesante
panneggio della stoffa che occulta la sedia su cui è seduta la donna,
rendendola simile ad un trono ci parlano di una pittura che persegue una limpidezza plastica assoluta, raggiunta grazie ad un
sapiente uso di effetti di luce radente, tersa e cristallina, e di geometrie
rigorose evidenziate anche dall'essenzialità incorruttibile della veduta
architettonica che si scorge dalla finestra.
Tutti questi elementi
si possono rilevare anche in Meriggio,
in cui la luminosità tagliente e chiarificatrice di un pomeriggio che immaginiamo afoso
e sonnolento modella con la nitidezza di uno scalpello i corpi nudi delle
donne, una delle quali, ricalca nella posa l'ardito scorcio prospettico che fu
del celebre Cristo Morto del Mantegna, quasi come una citazione.
In tutti e due i
dipinti si notano oggetti quotidiani abbandonati sul pavimento in maniera
apparentemente distratta e casuale; si tratta di elementi che concorrono
consapevolmente al raggiungimento di quell'atmosfera tipica di un altro
fondamentale tassello del fenomeno artistico del Ritorno all'ordine nell'ambito del quale Casorati fu maestro: il Realismo magico.
La poetica del Realismo magico si espanse a macchia
d'olio in ambito internazionale – dalla letteratura al cinema –, in pittura il
Realismo magico raggiunse esiti davvero magici
soprattutto in Italia dove il maggior interprete fu probabilmente Antonio
Donghi e in Germania.
Il recupero dei valori classici
del primo Rinascimento si accompagna qui ad una indifferenza magica e
vagamente opprimente di stampo metafisico:
nelle rappresentazioni non c’è mai niente che contraddica palesemente la
plausibilità e la verosimiglianza del reale; eppure, grazie a minimi
accorgimenti, i due dipinti comunicano sensazioni di attonito incanto, di lieve inquietudine, discreta e appena
suggerita, fino a somigliare talvolta a visioni stralunate; conservando tuttavia
una tecnica pittorica del tutto connessa alla tradizione, contraddistinta da
un'estrema lucidità e limpidezza rappresentative.
Osservando dipinti
come Silvana Cenni e Meriggio, si comprende come il fenomeno del Ritorno all'ordine, al di là delle
implicazioni politiche con il Fascismo, sia stato in grado di superare
ampiamente i confini della tradizione per dar vita ad opere innegabilmente
moderne nel loro essere in grado di svelare il lato meraviglioso ed enigmatico
del più banale vivere quotidiano, in cui una donna seduta può tramutarsi in
misterioso e regale oracolo in procinto di emanare chissà quale vaticinio, e un
pomeriggio abbagliante e immobile può diventare teatro di un convegno di ninfe appena
sorte dalle acque.
L’attività di Casorati era instancabile: nel 1923 nel suo stesso studio aprì una scuola
di pittura per giovani artisti, un'esperienza completamente nuova e lontana da ogni
sistematicità d'accademia, la scuola di via Mazzini: nasceva la scuola
di Casorati[1].
Tra
gli allievi ebbe Francesco Menzio, Carlo Levi, Gigi Chessa
e Jessie Boswell, che in seguito fecero parte del gruppo dei Sei pittori di Torino.
Della
scuola di Casorati, che creò uno scandalo nei confronti degli ammirati maestri
locali Giacomo Grosso (1838- 1930), Pietro
Canonica (1869 – 1959), Leonardo
Bistolfi (1859 – 1933), Vittorio
Cavalieri (1860-1938), ha lasciato vivissima
testimonianza Lalla Romano (1906 –
2001), che fu sua allieva dal 1928 al 1931, nel romanzo Una giovinezza inventata del 1979.
Scrive
la Romano: «Quando mi vide la prima
volta, Casorati disse soltanto, fissandomi con gli occhi neri penetranti, sotto
le sopracciglia folte: Qui facciamo sul serio». E ancora: «Gli allievi erano sparsi, coi loro
cavalletti, nelle varie stanze imbiancate a calce, vuote: qualche sedia impagliata,
qualche busto di gesso, in terra. In uno stanzino erano appesi i grembiuli di
tela grigia».
La
scuola di Casorati, il cui magistero s’improntava all’ordine e alla
razionalità, rifletteva la misura e l’equilibrio rigoroso della sua pittura,
secondo il motto scelto a insegna del suo lavoro: Numerus, Mensura, Pondus. Ben si comprende come Casorati
si legasse d’amicizia, cementata dal comune antifascismo, con un personaggio
come Piero Gobetti, che gli dedicò un saggio nel 1923 cercando di dimostrare «che la sua pittura non è decorativa, né
letteraria, né manca, come alcuni gli rimproverano, di umanità. Si sente una
classicità vera, non le intenzioni dei metafisici».
Nel 1924 Casorati tenne una personale alla Biennale,
accompagnata da un autorevole saggio di presentazione in catalogo di Lionello
Venturi.
Nel Duplice
ritratto del 1924 il dettaglio decorativo è sostituito da un preciso
disegno e da un rigore formale ispirato alla pittura quattrocentesca, in
particolare a Piero della Francesca.
Nel
1925 fu
tra i fondatori della Società di Belle Arti Antonio Fontanesi
della quale egli fu anche Presidente per promuovere mostre di artisti
italiani e stranieri dell'Ottocento e contemporanei. L'amicizia con
l'industriale e collezionista Riccardo Gualino incoraggiò l'interesse di
Casorati per il design di interni. Sempre nel 1925 lavorò con Alberto Sartoris al
teatrino di casa Gualino.
Del 1925 è un altro capolavoro: la Conversazione platonica. Nel muto riflettere di quell’uomo senza volto sul corpo nudo di una donna vi è
qualcosa di molto più forte e conturbante delle provocazioni sociali di Gustave Courbet, si pensi a L’origine
della vita e al Sogno. In questa bellissima immagine che mostra il corpo nudo di una
donna sdraiata su un letto che con aria invitante osserva l'uomo seduto vicino
a lei, in abito scuro, il volto coperto da un cappello che lascia scoperto solo
il mento su cui poggia una mano in atteggiamento pensoso ed incerto. Il senso
di attesa è la prima sensazione che si prova, osservandolo, ma il contrasto tra
i due corpi, l'uno completamente vestito, scuro, composto, l'altro nudo,
rilassato e in primo piano, provocano una sorta di disagio misto a stupore. Il
messaggio di lei è esplicito, eppure lui è trattenuto. Questo strano contrasto
attrae lo spettatore, lo sconcerta e ne cattura un'attenzione carica di
curiosità e ricca di ipotesi. Ogni opera racchiude significati nascosti, in
chiave metafisica questi si moltiplicano all'infinito. Ognuno può dare la
spiegazione che crede. Tra le più immediate senza dubbio spicca un'evidente
dualità, dei sessi, innanzi tutto. La donna è senza dubbio di natura più
istintiva e fisica, l'uomo invece tende a razionalizzare. Può essere quindi
un'allegoria dei due modi diversi di essere.
Quello femminile e quello maschile. O una pura e semplice raffigurazione di
istinto e ragione resi attraverso le forme del femminile al naturale e del maschile in sembianze
civilizzate, molto borghesi. Ma è anche una critica, nei confronti di un
atteggiamento repressivo dettato dal pensiero che non permette di assecondare
il desiderio, facendo perdere all'uomo l'opportunità di essere felice. La
donna(istinto) infatti ha nel contesto una preminenza sia fisica (è in primo
piano e padrona della scena) che mentale (perfettamente rilassata e
propositiva). L'uomo invece è defilato, quasi nascosto e trattenuto, dubbioso, passivo.
Il grande effetto
dell'opera è dato proprio dal punto interrogativo che metaforicamente l'autore
ha messo in evidenza: resterà una semplice conversazione
platonica, o si evolverà in qualcosa di più carnale?
Ad ogni buon conto Casorati mostra un
controllo formale filtrato attraverso una visione intellettuale che annulla
nell’artificio l’impressione di naturalezza e così apre al mistero. Non
illustra niente, descrive con rara facoltà di percezione situazioni
psicologiche turbate. Vi è in lui una mestizia metafisica che respinge. Fa
venire in mente una Torino fosca, niente affatto solare.
Tuttavia questi erano
anche gli anni in cui ogni istanza di Ritorno
all'ordine finiva inevitabilmente per confluire nel gruppo Novecento italiano, guidato
dall'instancabile vivacità organizzatrice di Margherita Sarfatti: un gruppo
approvato dal Fascismo nel quale coesisteva però una moltitudine di stili,
linguaggi, intenzioni e fedi politiche, più o meno disposta al compromesso
dalla necessità di mantenere una visibilità nell'ambito del panorama culturale
italiano di quei difficili anni.
Alla Prima Mostra del Novecento italiano tenuta
a Milano nel 1926 parteciparono oltre cento artisti, da Sironi a De Chirico, da
Carrà a Casorati. Il pittore, pur partecipando alle mostre di Novecento italiano del 1926 e
del 1929, Casorati si
mantenne tuttavia autonomo rispetto al movimento di Margherita Sarfatti. Nella sua evoluzione novecentista, Casorati cominciò a
stemperare la sua nota malinconica freddezza in una luminosità emozionale alla
luce di una rigorosa attenzione alla struttura compositiva, alla misura e
all'armonia dei valori plastici e cromatici. La purezza cristallina e il
tono enigmatico delle composizioni di Casorati contribuirono a delineare il realismo magico, condiviso in origine dal gruppo di Novecento.
Nel
1927, Casorati organizzò una mostra d'arte contemporanea ospitata dal Museo Rath di Ginevra. Dal 1928 fu incaricato della cattedra di Arredamento e decorazione di interni
presso l'Accademia Albertina di
Torino e nel 1933 iniziò una collaborazione con il Maggio Fiorentino come
scenografo e costumista. Nel luglio
del 1930 sposò Daphne Maugham (1897 – 1982), che
frequentava la sua scuola dal 1926.
A partire dal 1928 la malinconica freddezza
delle opere di Casorati lasciò il posto ad un disegno più fluido e ad una
ricerca cromatica più intensa, assumendo quella
compostezza nitida e straniata che è stata definita realistico-metafisica,
mentre il colore si arricchisce di tonalità più calde e contrastate,
dando ai dipinti nuove implicazioni emozionali evidenti in opere come Vocazione del 1939.
Gli anni Trenta il
suo lavoro subì un'ulteriore evoluzione. Sono
gli anni in cui lavora sollecitamente per il teatro che accompagnò per molti
anni l'attività di scenografo a quella di pittore. Progettò inoltre l'atrio della Mostra dell'architettura alla Triennale di Milano del 1933. Il 2 luglio del 1934 nacque il figlio Francesco che diventò pittore
anche lui nello stesso anno disegnò
le scene e i costumi per Orfeo, di
Claudio Monteverdi.
Nel 1935 Felice
Casorati, sottolineando le sue preferenze, ospitò nel proprio studio la prima Collettiva d'arte astratta italiana alla
quale parteciparono tra gli altri Fontana, Melotti e Licini.
Alla fine degli anni trenta Casorati ottenne riconoscimenti
ufficiali anche alle grandi esposizioni
di Parigi, Pittsburgh e San Francisco: nel 1937 ricevette il Premio
Carnegie a Pittsburg, nel 1938,
Casorati
vinse il Premio per la pittura alla
Biennale di Venezia ed Grand prix a Parigi, nel 1939 gli fu
conferito il Premio Pittura all'Esposizione Internazionale
d'Arte di San Francisco.
Il
1° ottobre 1941 fu nominato titolare della Cattedra di Pittura all'Accademia
Albertina di Torino, della quale diventò Direttore nel 1952.
Ancora Casorati vinse Premio per la
pittura alla Biennale di Venezia del 1942.
Fu particolarmente attivo nella creazione di scene e costumi
per il Teatro dell'Opera di
Roma, per il Teatro alla Scala di
Milano e per il Maggio musicale fiorentino, attività che proseguì anche
nel dopoguerra.
Nel 1948 fece parte
della commissione d'accettazione della sezione italiana della Biennale di
Venezia.
La fama che allora lo circondava indusse l’imprenditore
Giuseppe Verzocchi, a contattarlo alla fine degli anni Quaranta, per
contribuire alla sua collezione sul lavoro nella pittura
contemporanea: nel clima operoso della ricostruzione
postbellica, ideò e promosse la raccolta che prese il suo nome, invitando circa
settanta pittori italiani, appartenenti alle più varie
scuole artistiche, a realizzare un quadro, di dimensioni prefissate, sul tema
del lavoro. Nelle composizioni
realizzate, come egli aveva richiesto, era sempre presente il tipico prodotto
dell'azienda: un mattone refrattario con il logo V&D.
Nel 1952 tenne
una personale alla Biennale con Ottone Rosai, e con Ottone Rosai, ricevette il premio speciale della Presidenza.
Nel 1961 un embolo gli arrestò il flusso
della gamba sinistra: i medici furono costretti ad amputare l'arto. Nonostante gli avessero amputato una gamba, Casorati continuò
a lavorare e ad esporre: approntò quattro dipinti per una mostra itinerante in
Germania e 17 opere per la XXXI Biennale
di Venezia del 1962, nella sezione dedicata alla
Grafica Simbolista Italiana.
Il 1° marzo 1963, dopo
un'agonia di oltre 20 giorni, Felice Casorati morì nel suo studio, assistito
dalla moglie Daphne, dal figlio Francesco, dalla sorella Pina, dal Dott. Tullio
Grassi, dal Dott. Giuseppe Bartasso e altri fedeli amici.
Casorati è stato il pittore torinese per eccellenza, capace di descrivere
con le sue figure atmosfere riconducibili agli interni della realtà sabauda. «È difficile oggi capire cosa significasse, nella
Torino di allora, del tutto aliena dalla conoscenza di che cosa potesse essere
l’arte moderna, l’arrivo di Casorati. Era l’arrivo di un grande maestro, di un
essere di un altro mondo, di natura diversa da quella nota, di qualcuno che
parlava un’altra lingua, i cui suoni meravigliavano». Con queste parole Carlo
Levi ricordò Casorati in occasione della sua scomparsa. Una metafisica
da stanza chiusa dove i soggetti dialogano muti solo grazie a pochi ma
significativi gesti, nel pieno rispetto della forma e dell’equilibrio.
Parlando della sua scuola scrisse: «Sentivo come un dovere di mettermi al
servizio di chi cerca una strada e stenta a trovarla. Cercavo di fare una
penitenza al peccato di aver riguardato il mio lavoro sotto l’aspetto della
solitudine, dell’incomprensione, dell’eccezionalità».
Massimo Capuozzo
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[1] Più tardi Casorati accolse
anche il pittore piemontese Enrico Accatino e la pittrice modenese
Ida Donati Formiggini, moglie del deputato socialista Pio Donati.
A Torino allievi con cui esporrà nel
1929 alla mostra "Casorati fra i
discepoli", accompagnata da un testo di Giacomo Debenedetti in cui
sono ricordati, tra gli allievi, Silvio Avondo, Nella Marchesini, Daphne
Maugham, Marisa Mori, Andrea Cefaly junior, Sergio Bonfantini, Albino
Galvano, Paola Levi Montalcini, Lalla Romano, Riccardo Chicco.
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