L’iconografia di San
Girolamo è una delle più ricorrenti dell’arte cristiana e spesso grandi artisti
si sono cimentati nel rappresentarlo lasciando evolvere la sua iconografia a
seconda della sensibilità dell’artista nella lettura della sua agiografia.
Sofronio Eusebio
Girolamo, nato a Stridone (l’odierna Croazia) verso il 341 da una ricca
famiglia cristiana che gli assicurò un’accurata formazione inviandolo a Roma a
perfezionare i suoi studi, è venerato come santo, padre della chiesa, monaco e
dottore della Chiesa. A Roma provò i piaceri della vita mondana, ma
ricevuto il battesimo verso il 366, crebbe il desiderio e l'interesse per la
vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si inserì in un gruppo di ferventi
cristiani riunito attorno al Vescovo Valeriano.
Studiò per tutta la vita,
viaggiando dall’Europa all’Oriente con la sua biblioteca di classici antichi,
trascrivendo codici e opere dei Padri della Chiesa.
Nel 375, dopo una malattia,
Gerolamo passò alla lettura della Bibbia e, convinto che per interpretarla fosse
necessario passare attraverso la lingua in cui fu scritta e tradotta per la
prima volta, studiò il greco ad Antiochia, poi, si dedicò all’ebraico.
Ad Antiochia nel 379
Gerolamo ricevette il sacerdozio e qualche anno dopo si trasferì a Roma, dove
Papa Damaso I, lo assunse come segretario e consigliere e lo incaricò di
riscrivere in latino il testo di una diffusa versione della Bibbia, detta
Itala, realizzata non sull’originale ebraico, ma sulla versione greca detta dei
Settanta.
Per fare questo lavoro
Gerolamo rimase a Roma dove avvertì il contrasto tra mentalità pagana e vita
cristiana e presto si scontrò e polemizzò con i nuovi cristiani,
stigmatizzandone vizi e ipocrisie, dopo che l’imperatore Teodosio ebbe fatto
del cristianesimo la religione di Stato. Nel 384, intraprese un
pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa, poi in Egitto, fermandosi per
costruire un monastero a Betlemme di Giuda, per continuare a scrivere testi
storici, dottrinali, educativi, corrispondendo con gli amici di Roma e
proseguendo il lavoro sulla Bibbia, traducendola e commentandola nelle sue
opere, per il resto della vita. La Bibbia di San Gerolamo, detta Vulgata, fu
accolta e usata da tutta la Chiesa.
Nonostante il carattere
difficile, San Gerolamo si impegnò
concretamente nella fede cristiana anche attraverso le polemiche dottrinali,
perfino con sant’Agostino. Gli ultimi suoi anni sono rattristati dalla
morte di molti amici e dal saccheggio di Roma compiuto da Alarico nel 410; un
evento che angosciò la sua vecchiaia.
Esistono due iconografie principali
di San Girolamo: una con l'abito cardinalizio e con il libro della Vulgata in
mano, oppure intento alla scrittura e un'altra nel deserto, o nella grotta di
Betlemme, senza l'abito e con il cappello cardinalizio gettato in terra a
simbolo della sua rinuncia agli onori.
Spesso è raffigurato un
leone simbolo della forza bruta vinta con la pietà. Si trova anche un
crocifisso a cui rivolgere l'adorazione o con un teschio, segno di penitenza.
La fortuna iconografica di Girolamo fu assicurata da una serie di quattro vite
composte e diffuse tra il sec. VI e il XII come: il Chronicon Marcellini (sec. VI),
che descrive dettagliatamente l'ambiente familiare di Girolamo, la sua
formazione intellettuale, l'insediamento a Betlemme e le opere principali; la
Vita Hieronymus noster (secoli VI - VII), che descrive il sogno in cui Cristo
lo apostrofò chiedendogli se fosse cristiano o ciceroniano e lo condannò a
essere frustato dagli angeli, facendogli giurare di non leggere più libri
profani, e tra tanti altre rappresentazioni
troviamo l'episodio leggendario del leone ammansito dopo che Gerolamo
gli aveva tolto una spina dalla zampa ferita. L'iconografia geronimiana si
ricollega all'antica raffigurazione dell'evangelista seduto a uno scrittoio o
di fronte a un leggio in un interno e sullo sfondo di un paesaggio. Nel secolo
XIII il tipo iconografico si arricchì di altri apporti. Sulla base dello
Hieronymianus di Giovanni d'Andrea, si venne elaborando una nuova iconografia:
Girolamo divenne Dottore e Padre della Chiesa latina, rivestito della porpora
cardinalizia e con il capo coperto dal cappello a larghe falde, con presso di
sé come attributo un piccolo leone.
La figura di San Girolamo nel corso degli anni è stato raffigurata in modi differenti da molti artisti tra cui personaggi molto importanti come: Colantonio, Antonello, Van Eyck, Leonardo da Vinci, Michael Pasher, Ambrogio da Fossano e Caravaggio.
La figura di San Girolamo nel corso degli anni è stato raffigurata in modi differenti da molti artisti tra cui personaggi molto importanti come: Colantonio, Antonello, Van Eyck, Leonardo da Vinci, Michael Pasher, Ambrogio da Fossano e Caravaggio.
San Girolamo nello
studio è un dipinto, tecnica mista su tavola (125x150 cm), del
pittore napoletano Colantonio, un tempo parte di uno smembrato polittico
per la chiesa di San Lorenzo Maggiore ed oggi conservato
nel Museo nazionale di Capodimonte. L'opera è databile al 1444 circa.
La ricostruzione grafica del polittico si deve al Prof. Ferdinando Bologna che
già nel 1950 avanzò l’ipotesi, attualmente valida, che si arricchisce oggi di
un contributo critico e storiografico, pubblicato nella famosa serie dei
Quaderni di Capodimonte, nel quale lo stesso Bologna affronta le esperienze
maturate a Napoli in campo artistico alla metà del Quattrocento. In questo ambiente culturale, si inserisce
proprio Colantonio che alla luce di questi recenti studi è considerato un
protagonista della scena culturale napoletana di quegli anni e non solo il maestro
del giovane Antonello Da Messina.
Colantonio operò
a Napoli tra il 1440 e il 1460 circa, e visse sia
la stagione di re Renato (1438-1442), il colto ammiratore dell'arte
fiamminga, borgognona e provenzale, sia quella di Alfonso I
d'Aragona (al trono dal 1444), legato agli altri territori della corona
aragonese, in particolare la Catalogna, a sua volta ispirata ai modi
fiamminghi.
Le diversità di questi due
momenti di influenza franco-fiamminga sono visibili nei due pannelli principali
dell’ancona per la chiesa francescana di San Lorenzo, dipinta tra
il 1444 e il 1446 circa, in momenti diversi e completata in
seguito da Antonello da Messina con le tavolette laterali
dei Beati francescani. Il tema generale dell'ancona era la celebrazione
del pensiero francescano, di cui san Girolamo era stato, secondo le teorie
di san Bernardino da Siena, uno degli ispiratori alla radice.
San Girolamo è
rappresentato nel suo studio, mentre con un coltellino toglie dal piede di un
leone una spina, che tormentava l'animale. Secondo la leggenda la belva divenne
poi suo compagno fedele. La stanza, è riempita di oggetti che testimoniano la
vastità degli interessi culturali del santo-cardinale, il cui cappello è
adagiato su un ripiano a sinistra. Uno degli aspetti più interessanti del
dipinto è la straordinaria natura morta di libri e altri oggetti che riempiono
gli scaffali, che dimostrano i riferimenti alla pittura fiamminga.
La Legenda Aurea, di Jacopo da Varazze, narra, nel capitolo dedicato
a San Girolamo, la leggenda del leone.
Un giorno un leone ferito si
sarebbe presentato zoppicando nel monastero ove risiedeva San Girolamo. I
confratelli fuggirono spaventati ma San Girolamo gli si avvicinò accogliendo
l'animale ferito. Egli ordinò ai confratelli di lavare le zampe al leone e
curarle. Essi scoprirono che i rovi gli avevano dilaniato le piante delle
zampe. Quando il leone fu guarito, rimase nel monastero. Su di esso i monaci
confidarono per garantirsi la custodia dell'asino del convento. Un giorno,
mentre l'asino stava pascolando, il leone si addormentò. Alcuni mercanti, visto
il quadrupede da soma privo di custodi, se ne appropriarono. Tornato solo al
monastero, il leone fu accusato dai monaci di aver divorato l'asino, cosicché
gli furono addossati tutti i lavori che normalmente erano svolti da
quest'ultimo. Un giorno egli incrociò sul suo cammino la carovana dei mercanti
che avevano portato via l'asino affidatogli in custodia dai monaci e riconobbe
nella carovana il medesimo asino. Egli si precipitò verso di loro ruggendo
terribilmente e mettendoli in fuga. Dopo di che condusse l'asino ed i cammelli,
carichi di mercanzia, al convento. Quando i mercanti tornarono, si recarono al
convento a chiedere a San Girolamo il perdono e la restituzione delle loro
mercanzie, cosa che San Girolamo fece, raccomandando loro di non rubare più le
proprietà altrui.
L’altro evento celebre San
Gerolamo nello studio di Antonello che, formatosi sulla cultura fiamminga
importata nel regno di Napoli da Renato d’Angiò e da Alfonso d’Aragona, ritorna
dopo venticinque anni dalla sua formazione napoletana su un tema trattato dal
suo maestro. Il dipinto è una delle opere più note del primo Rinascimento in
Italia. L’artista messinese analizza meticolosamente i particolari della scena
dello studio, costruisce prospetticamente uno spazio multiplo, unificato dalla
luce, approdando quindi ad una matura sintesi prospettico-luminosa ben diversa
dallo spazio limitato e ingombro del San Girolamo di Colantonio.
San Girolamo nello studio è
un dipinto olio su tavola di tiglio (45,7 x 36,2 cm)
di Antonello da Messina, databile al 1474-1475 circa e
conservato nella National Gallery di Londra.
Nel dipinto di Antonello,
sono presenti allusioni simboliche, assenti nell'opera di Colantonio: la
Coturnice ed il Pavone simboli di purezza, il geranio simbolo di passione, il
bosso di salvezza divina. Straordinari le descrizioni degli interni del
palazzo del dipinto di Antonello che raggiungono virtuosismi vertiginosi nel
degradare della luce sul pavimento a piastrelle fino a raggiungere la penombra
e di nuovo un potente filtro di luce proveniente dal finto portale: la luce ha
una importanza fondamentale.
Ancora Antonello rappresenta
il santo in uno studio a sua volta contenuto in un altro edificio di marca
tardo-gotica, di cui vediamo la facciata esterna quasi in trompe l'oeil, un
genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell'osservatore
l'illusione di stare guardando oggetti reali e tridimensionali; anche
questo un modello iconografico molto frequente nel Nord-Europa.
Dal punto di vista
iconografico, in entrambi i dipinti il santo è rappresentato nel suo studio,
secondo un motivo diffuso in tutta Europa; ma in quello di Antonello, secondo
un modello non praticato in Italia, egli è intento alla lettura invece di
scrivere, mentre Colantonio ha scelto il momento in cui il santo estrasse la
spina al leone che gli rimase sempre fedele e lo seguì ovunque. Ma soprattutto
essi sono differenti nell'impianto spaziale e luminoso: il San Girolamo di
Antonello è descritto tramite una prospettiva di Brunelleschi, mentre nel dipinto
di Colantonio le linee di fuga non convergono ad un unico punto centrale.
Questi due importanti
dipinti sono una testimonianza dei rapporti fra pittura italiana e arte
fiamminga: basterebbe a questo proposito osservare il fatto che entrambi siano stati
ripetutamente attribuiti nel passato ad artisti non italiani. Queste opere
infatti presentano delle caratteristiche formali che li accomuna e che li pone
in stretto rapporto con l'arte fiamminga: si tratta della meticolosa e
raffinatissima descrizione degli oggetti conservati nella stanza, al punto che
il dipinto di Colantonio è uno dei primi esempi di natura morta nella pittura
italiana.
Il San Girolamo di
Colantonio in particolare registra l'influenza dei modi della corte
di Renato d'Angiò e di pittori come Barthélemy d'Eyck, come
dimostrano l'attenzione alla resa dei volumi e la profondità spaziale
realistica, nonostante negli spazi la prospettiva sia ancora incerta.
Barthélemy d'Eyck lavorò a
Napoli presso la corte angioina, un grande artista fiammingo che presenta forti
punti di contatto soprattutto con la pittura di Colantonio, basti confrontare
la bellissima natura morta posta sopra il Geremia di Bruxelles del 1444 oppure
l'identità della struttura compositiva.
Ma a Napoli erano conservate
molte altre opere di artisti fiamminghi fra cui un San Gerolamo di Van Eyck:
esso avrebbe potuto essere molto simile a questo conservato a Detroit del 1442.
A Firenze è presente un dipinto di San Girolamo penitente in piedi, in logora
veste bianca, che si batte il petto con un sasso. Purtroppo non sono riuscito a
reperire l’immagine di questo dipinto.
Sebbene l'abito rosso
da cardinale sia stato molto usato nelle rappresentazioni pittoriche
del santo, non è storicamente possibile che egli sia stato cardinale, poiché
l'istituzione è altomedievale.
Il San Girolamo
penitente è un dipinto a olio su tavola (103×75 cm)
di Leonardo da Vinci, databile al 1480 circa e conservato
nella Pinacoteca Vaticana. Si tratta di un dipinto non portato a termine.
Il dipinto viene datato agli ultimi anni del primo
soggiorno fiorentino di Leonardo, per le stringenti affinità con l'Adorazione
dei Magi. Il rocambolesco ritrovamento dell'opera è raccontato dal D'Archiardi
in una ricostruzione ritenuta oggi poco credibile: appartenuto ad Angelica
Kauffmann il dipinto sarebbe poi andato perduto, per essere ritrovato
dal cardinale Joseph Fesch segato in due parti, una delle quali
era usata da un rigattiere romano come coperchio per una panca, mentre l'altra
(un quadrato con la testa, ancora visibile) faceva da sgabello per un
calzolaio. In ogni modo è certo che il dipinto venne acquistato
nel 1845 da Pio IX dagli eredi del cardinale per la somma
di duemilacinquecento franchi e destinato da allora ai Musei Vaticani.
San Girolamo è
raffigurato nell'iconografia dell'eremita penitente nel deserto.
Vestito di pochi stracci è
inginocchiato con nella mano destra la pietra che usava per percuotersi il
petto e con la sinistra che indica se stesso in atto di umiltà. Il volto è
rivolto verso l'alto, tradizionalmente, verso un probabile crocifisso non
ancora dipinto, dove si trova il paesaggio appena abbozzato nel quale alcuni studiosi
hanno voluto vedere lo schizzo della facciata di Santa Maria Novella. La figura
dell'eremita è studiata con attenzione all'anatomia, testimoniando il
precoce interesse di Leonardo su questo settore, con muscoli
asciutti ma scattanti, tendini a vista. Spiccano il busto inarcato e scuro
dietro le clavicole, il gesto plastico del braccio disteso, che sembra
indagare lo spazio circostante, o la gamba protesa in avanti, con un
efficacissimo scorcio. La testa, scavata e ossuta, nonché scorciata nella sua
torsione verso destra, è resa con espressività e ricorda alcuni busti antichi
cosiddetti di "Seneca". La sua figura emerge con potenza anche per
effetto dello sfondo scuro, composto da rocce dalle forme bizzarre che si
ritroveranno anche nella prima versione della Vergine delle
Rocce (1483-1486).
In basso si trova il fedele
leone, appena disegnato, il cui corpo scattante crea giochi lineari rari in
Leonardo, che probabilmente sarebbero poi stati attenuati dalla pittura
atmosferica e dallo sfumato. L'animale è sulla diagonale che, attraverso
il corpo del santo, finisce nel paesaggio dello sfondo a sinistra, con le
tipiche rocce appuntite leonardesche. Un altro paesaggio, appena abbozzato, si
trova sulla destra, in cui si distingue una sorta di disegno di chiesa. Sono
presenti attributi quali il libro (ricordo della Vulgata e dei suoi scritti), la
clessidra e il teschio (momento mori), il leone. In queste rappresentazioni vi
è sempre un elemento che rimanda al (presunto) stato di cardinale del santo: o
il galero, o un manto rosso cardinalizio.
"San Girolamo" (1605-1606) - misure 112 X 157 Galleria Borghese.
"San Girolamo" (1605-1606) - misure 112 X 157 Galleria Borghese.
Questo quadro è stato
dipinto durante la controriforma nel quale i protestanti volevano avere il
diritto di poter leggere le scritture sacre senza, obbligatoriamente,
l'interpretazione cristiana.
Caravaggio dipinse il quadro
per il cardinale Scipione Borghese, per procurarsi la sua benevolenza nel
giudizio riguardante l'aggressione a un notaio, di nome Pasqualoni, e ottenere
la grazia.
Il vecchio San Gerolamo,
coperto da un manto rosso, è raffigurato come un povero eremita, per il quale
Caravaggio si servì di un modello reale ed è seduto a rozzo
tavolo ingombro di libri. In realtà il manto rosso non gli si addice,
poiché la porpora era molto preziosa e se la potevano permettere solo i ricchi.
Probabilmente esso costituiva un omaggio al cardinale Borghese che era stato
appena rivestito da quel manto in qualità di cardinale.
San Gerolamo è rappresentato
mentre scrive la "vulgata". Sul tavolo, si può notare un teschio,
simbolo della vanità del mondo, della morte, della precarietà della vita.
Il suo è uno studio molto
concentrato, traspare ed emerge la meditazione, il pensiero.
È concentrato sul libro, e
in particolare su un determinato punto; qui emerge una suggestione visiva,
poiché l'osservatore crede di intravedere gli occhi del santo, nonostante
l'inclinazione della testa, ma in realtà Caravaggio non ha dipinto gli occhi
dunque è impossibile vederli. Mentre è concentrato sulla lettura, il suo braccio
destro, la cui mano impugna uno strumento utilizzato per scrivere, è allungato
quasi totalmente, con una leggera flessione. Questa sospensione data dalla mano
alzata sembra far intendere all'osservatore che Gerolamo stia finendo una frase
già iniziata.
San Gerolamo è immerso in
una stanza oscura, con una luce molto forte che illumina da sinistra e mette in
evidenza con gran realismo la consistenza dei libri, l'immagine vecchia e
logorata dal santo stesso.
È un'immagine talmente
realistica che sembra si svolga davanti ai nostri occhi: è raffigurato come un
eremita vecchio, magro, una realtà drammatica tipica dello stile di Caravaggio.
Il San Gerolamo di Caravaggio, così come altri suoi quadri, è stato copiato da altri pittori. Ne esiste una copia,
realizzata da Nicolas Tournier, pittore francese, dove il santo è impegnato
nell'azione di scrittura della vulgata, prendendo però molta espressività e
molti significati dell'originale.
Il santo infatti non è più perfettamente immerso
nella concentrazione, ma è distratto: ha il braccio sollevato, ma non per dare
l'idea di finire una frase già iniziata, ma perché altrimenti il braccio
uscirebbe dalla tela; ha i capelli in ordine, non è più magrolino e trasandato,
ma addirittura più muscoloso. Un piccolo saggio che pone l’attenzione ad un
singolo episodio e offre la possibilità di soffermarsi sull’alto grado di
civiltà raggiunto dalla città di Napoli nel Quattrocento.
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