mercoledì 6 luglio 2011

La nascita e la formazione della Macedonia (Parte I) di Massimo Capuozzo

Ad Alèxandros

1 Le origini — Non esiste alcuna esposizione continua della storia più antica della Macedonia, poiché non ci furono storici contemporanei dei primi avvenimenti di questo popolo e ci sono solo frammenti scarsi e di scarso valore degli storici posteriori che trattarono, solo in scorcio, qualche evento precedente.
L’origine del popolo mace­done è confusa ed è un’inutile fatica indagarla attraverso le leggende pervenute: la maggior parte di esse sono tarde e visibilmente contaminate, tutte disparate ed incerte. Di certo si sa solo che, fino al IV secolo, la grande quantità della popolazione era costituita di pastori e di contadini che, come gli Epiroti e gli Etoli, vivevano fra i monti boscosi in villaggi aperti e non fortificati, sempre armati contro le numerose insidie delle belve e degli uomini.
Il cuore del territorio macedone era l'area irrigata dai fiumi Aliacmon ed Axios, ma i nuclei originari della Macedonia era­no le regioni dell’Elimiotide e dell’Orestide.
L’Elimiotide la cui capitale si chiamava Elimea era una regione inizialmente appartenuta all'Epiro successivamente annessa alla Macedonia anche se, ancora al tempo di Tucidide e di Aristotele, aveva una dinastia di sovrani indipendenti, presumibilmente di un ramo collaterale di quello macedone.
L’Orestide era il territorio degli antichi Oresti, una popolazione epirota che abitava la parte settentrionale della Molossia, tra l’Elimiotide e la Lincestide, nelle vicinanze delle cime del Pindo, alle pen­dici della catena montuosa che costituiva lo spartiacque fra il bacino idrografico dell’Aunte, fiume dell'Epiro, e dell'Aliarto, fiume della Macedonia. Secondo la tradizione, il nome sarebbe dovuto ad Oreste che vi si sarebbe rifugiato dopo l'uccisione della madre e vi avrebbe fon­dato Argo Orestica, una delle principali città della regione.
Dall’Elmiotide e dall’Orestide, i Macedoni si erano spinti verso nord e verso est, impadronendosi di tutta la zona compresa tra la Tessaglia e il basso Strimon: le fortificazioni erano scarse, le città poche ed insignificanti. Nelle stesse capitali, Ege e Pella, mancava una vera e propria vita politica interpretata nel senso greco del termine.
Il problema della grecità o meno dei Macedoni è stato sempre molto dibattuto: i Macedoni, simili nelle usanze agli Epiroti e agli Etoli, come loro, furono chiamati barbari dagli storici greci del V e del IV secolo.
Quando i Greci giunsero in contatto con i Macedoni, espressero giudizi disparati, per lo più condizionati dalla loro posizione politica. Demostene scrive: «Filippo non solo non è greco, né in nulla affine a noi Greci, ma non è neanche uno di quei barbari che hanno una buona reputazione, è solo un farabutto macedone, di quella Macedonia da dove un tempo non si volevano comprare neppure gli schiavi». Lo stesso Isocrate scrive: «Solo fra i Greci, Filippo giudicò di dover regnare su genti che non fossero della sua stirpe». Demostene ed Isocrate, quindi, concordano nel definire i Macedoni: «in nulla affini a noi Greci», «gente d'altra stirpe». Questo, affermato da uomini coevi ed in particolare da Isocrate, filomacedone e conoscitore limpido ed acuto della realtà macedone, in un discorso rivolto a Filippo, sembrerebbe espressione di un'opinione indiscussa e considerata indiscutibile. Al tempo di Alessandro, però, tra le due lingue non esistevano differenze tali da impedire che gli uni capissero gli altri o da rendere necessaria la presenza di un interprete. I nomi dei re macedoni, degli ufficiali di Alessandro, dei loro padri, all'infuori di pochissimi, erano greci con qualche sfumatura dialettale; greci erano molti nomi di luogo, di città e di regioni; greco era il nome stesso di Macedoni ed il calendario che essi utilizzavano. Polibio, in molti brani delle sue Storie, attesta che, al tempo della conquista romana, la lingua dei Macedoni era il greco e le sue affermazioni sono confermate dalle epigrafi di quel tempo trovate sul territorio macedone, tutte redatte in greco.
Grazie agli studi del glottologo tedesco Otto Hoffmann, oggi si sa, come appare inequivocabilmente dall’onomastica, dai toponimi e dai nomi dei mesi, che il macedone era un dialetto greco, l’eolico, imparentato soprattutto con quello tessalico. Le singolarità della lingua macedone che non trovano riscontro in altri dialetti greci, si possono facilmente spiegare con il distacco dei Macedoni durato molti secoli dalla vita cul­turale greca e con i frequenti contatti che essi ebbero con gli Illiri: caratteristico del macedone, ed in questo esso differisce dal greco e s'avvicina maggiormente all'illirico, è l’uso delle consonanti medie al posto delle aspirate, e dellaaal posto diai. Caratteristico del macedone è, inoltre, il suffisso etnico femminile -usa ' che diventò d'uso generale nel periodo ellenistico ed il suffisso et­nicostparticolarmente frequente in territorio illirico.
A ragione dunque Johann Gustav Droysen considerò greci i Macedoni per questo, a buon diritto, la storia del popolo macedone può essere considerata una sezione della storia greca.

2 Gli Argeadi — La famiglia reale degli «Argeadi», pur con qualche lotta ed usurpazione tra membri della stessa dinastia, regnò ininterrottamente da Perdicca I sino alla dissoluzione dell'impero costruito da Alessandro Magno.
L’origine della dinastia è avvolta nella leggenda: la casa degli Argeadi, infatti, vantava come capostipite Eracle. Una tradizione sorta verso il principio del V secolo nell’ambito della stessa famiglia reale, faceva discendere la casata dall’eraclide Temeno di Argo: Tucidide, infatti, chiama i re di Macedonia Temenidi. Anche Isocrate accetta la versione che la famiglia reale macedone dovesse le sue origini ad Eracle e che dunque provenisse dalla Ellade; Demostene, invece, definisce falsa questa tradizione.
Secondo il racconto di Erodoto, tre fratelli argivi, Cauane, Aeropo e Perdicca, discendenti di Temeno, andarono tra gli Illiri e, nella città di Lebea, il re li prese al suo servizio. Essendosi per prodigio raddoppiato il pane che la moglie del re aveva offerto a Perdicca, il re ordinò al giovane di allontanarsi. Perdicca ed i fratelli chiesero allora la ricompensa ed il re rispose ironicamente che dava loro il sole, accennando al fascio di luce solare che dal camino si proiettava sul pavimento. Perdicca, allora, con un coltello circoscrisse lo spazio circondato dal sole e poi ci si sporse tre volte per esserne illuminato, quindi si allontanò insieme con i fratelli. Uno dei compagni del re gli fece rilevare il significato dell’atto di Perdicca perciò egli mandò alcuni cavalieri per raggiungerli ed ucciderli. Appena i fratelli ebbero passato il fiume, non si sa se l'Erigon o l'Aliacmon, questo s'ingrossò tanto che i cavalieri non poterono passare, sicché ai fratelli fu possibile recarsi in un'altra parte della Macedonia da dove avrebbero sottomesso il resto della Macedonia. Conoscendo poco l'origine di questa tradizione, non si può stabilire se Cauane ed Aeropo fossero veramente fratelli di Perdicca. È probabile però che i due fratelli maggiori perdessero il trono per un'usurpazione di Perdicca o che il diritto dinastico in Macedonia non fosse ancora stabilito con norme rigide, per questo il voto del popolo non si limitava ad una conferma, ma si estendeva ad una designazione tra i membri della stessa fa­miglia. Non si può fra l’altro escludere che la leggenda abbia associato a Perdicca elementi a noi ignoti e che questi due fra­telli siano solo figure immaginarie.
Secondo un'altra versione, utilizzata da Euripide, Archelao, figlio di Temeno, cacciato dai fratelli, venne in Macedonia e il re Cisseo gli promise in sposa sua figlia, se lo avesse difeso dai nemici. Archelao vinse, ma il re non mantenne la promessa e tentò di uccidere Archelao che si vendicò gettando il re nella fossa che aveva preparato per lui. Non si può stabi­lire la relazione fra questa leggenda e quella erodotea.
I sovrani Macedoni vennero a contatto con i Greci solo durante le guerre persiane e la guerra del Peloponneso: Tucidide riferisce, infatti, che, prima di Perdicca II, padre di Archelao, sette re si erano succeduti sul trono macedone ed Erodoto riporta anche i loro nomi. La lista dei primi tre re macedoni è invece un'invenzione tarda infatti solo la tradizione posteriore ha fatto occupare la Macedonia direttamente da Carano, settimo discendente di Temeno e fratello di Fidone di Argo.
Per quanto riguarda l’origine onomastica degli Argeadi, Appiano ritiene che essa indicasse la provenienza della stirpe reale dalla città di Argo. Secondo l’interpretazione dell'origine argiva dei fratelli Temenidi, si deve pensare ad Argo Orestico da cui sarebbe oriunda la dinastia degli Argeadi, sostituita solo successivamente nella tradi­zione da Argo Peloponnesiaco. Il nome Argeadi poi, difficilmente può essere considerato etnico, ma sembra piuttosto essere un patronimico. Sorgerebbe tuttavia la questione del perché la dinastia si sia chiamata degli Argeadi, quando il primo re sarebbe stato Perdicca. Questa, però, è una difficoltà solo appa­rente: si deve, infatti, escludere che il capostipite sia stato Argeo, perché il nome Argeadi presuppone un Argéas, molto probabilmente una divinità o l'ipostasi d'una divinità, come Perseo, Herakles, Pelope.

3 I primi re — Nessuna notizia storica certa ci è pervenuta sui primi re, da Perdicca I ad Alessandro I. Si sa che essi estesero man mano il loro dominio verso la costa e verso oriente, in parte estromettendo ed in parte sottomettendo le più antiche popolazioni; di questo periodo si sa inoltre che nella Macedonia superiore i Lincesti, gli Elimioti ed altri popoli, alleati e soggetti ai Macedoni, conservarono regni considerati a sé stanti ed ebbero propri re, vassalli dei re di Macedonia.
Se le lacune delle tradizioni antiche sono state colmate probabilmente tramite combinazioni e computi infondati, non c’è dubbio sulla costituzione della lista, essendo noto che il patronimico era una determinazione imprescindibile della denotazione della persona.
Perdicca, secondo il racconto erodoteo, è presentato come il primo re di Macedo­nia. Di lui si conoscono soltanto il racconto di Erodoto e la notizia leggendaria, che, morendo, avrebbe destinato Ege, l’attuale Edessa, una fortezza appollaiata su un monte, in una zona ricca di acque, sulle cascate di un ramo dell'antico Ludias, come luogo della sepoltura sua e dei suoi discendenti e l'avrebbe indicata al figlio Argeo con l'assicurazione che il regno di Macedonia sarebbe durato fino a quando le salme dei re macedoni fossero state conservate là.
Ege fu dunque la più antica residenza ed il luogo di sepoltura dei re di Macedonia.
Ar­geo avrebbe regnato dal 652 al 621; di lui Giustino riferisce soltanto la sua saggezza di governo.
Filippo I, figlio e successore di Argeo, dopo aver regnato per 33 anni dal 621 al 598, cadde in battaglia contro gli Illiri e lasciò come erede Aeropo, ancora fanciullo.
Secondo una tradizione poco sicura, gli Illiri, approfittando dell'infanzia di Aeropo, avrebbero assalito la Macedonia: il piccolo re allora fu portato in una culla sul campo e collocato alle spalle dell'esercito che, rianimato dalla sua presenza, avrebbe ritentato la battaglia e sconfitto gli Illiri.
Del successore Alceta che avrebbe regnato 28 anni dal 568 al 540 non si sa nulla di preciso.

4 Aminta I Ad Aminta I e parimenti al il suo regno, risalgono le prime notizie storicamente attendibili sui Macedoni.
Aminta I, figlio di Alceta, regnò nella seconda metà del VI secolo, circa dal 540 al 498 a.C. Aristotele riferisce che Aminta fu in rapporti politici con i Pisistratidi. Dopo la grande spedizione scitica, Megabazo, stratega di Dario, lo assoggettò nel 513 al dominio persiano: egli concesse a Dario acqua e terra, rendendo la Macedonia uno stato vassallo del re di Persia cui rimase obbediente per il resto della sua vita.

5 Alessandro I – Solo con Alessandro I si entra nella luce storica, essendo la prima figura storicamente documentata.
Figlio di Aminta I, Alessandro regnò nella prima metà del V secolo e, secondo i calcoli più probabili, dal 498 al 454.
Da principe, Alessandro, in seguito alla nota richiesta di Megabazo di terra e acqua, avrebbe con un inganno fatto uccidere gli ambasciatori persiani che si erano mostrati poco riguardosi verso le donne della corte ma­cedone; per calmare la collera di Bubare, capo di uno stuolo di Persiani che erano venuti a fare un'inchiesta sulle cause della loro scomparsa, Aminta gli diede in moglie la figlia Gigea.
Come vassallo dell’impero persiano, Alessandro prese parte alle guerre persiane, militando dalla parte persiana durante la spedi­zione di Serse, ma la tradizione erodotea, molto favorevole verso di lui, lo ritrae come un nascosto sostenitore della causa nazionale: egli avrebbe avvisato i Greci che era pericoloso rimanere in Tessaglia e poi avrebbe portato un'ambasciata agli Ateniesi per parte di Mardonio col fine d'indurre gli Ateniesi a fare una pace separata, ma, prima della battaglia di Platea, avrebbe rivelato agli Ateniesi i piani di Mardonio.
Dopo la battaglia di Platea, nel 479, Alessandro appoggiò apertamente la causa dei Greci e non è escluso che sia passato dalla loro parte a battaglia incomin­ciata: certamente egli contribuì a cacciare i Persiani dalla Ellade dopo Platea. Filippo II, in una lettera agli Ateniesi in cui rivendicava alla Macedonia il diritto di possedere Anfipoli, sosteneva che Alessandro offrì una statua d'oro a Delfi, dall'oro ricavato da Anfipoli e dalla preda fatta sui Persiani. Secondo una notizia riferita da Demostene, gli Ateniesi avrebbero addirittura conferito la cittadinanza ad Alessandro, ma, anche se questa notizia è piuttosto dubbia, Erodoto definì il sovrano «prosseno e benefattore», «prosseno e amico» degli Ateniesi: queste espressioni sono indizio del fatto che non si tratta di una semplice valutazione dello storico, ma di una condizione di fatto, giuridicamente riconosciuta. L’epiteto Filellèno, tuttavia, non gli fu attribuito dagli storici più antichi come Erodoto e Tucidide, ma da Dione Crisostomo e da tardi lessicografi e scoliasti.
Dopo la battaglia di Platea, liberata definitivamente la Macedonia dal dipendenza persiana, Alessandro volse la sua attività ad estendere i confini del regno: a lui si deve un considerevole ampliamento territoriale della Macedonia, specialmente con la conquista di Pidna e con la conquista della zona fra l'Axios e lo Strimon, ricca delle miniere d'argento del monte Disoro.
Furono coniate belle monete che percorsero la Macedonia e la Ellade, divulgando la fama di Alessandro.
I rapporti fra Macedoni e Greci sono ritenuti uno dei fulcri essenziali della politica di Alessandro: grazie alla proclamata discendenza argiva e dunque greca, Alessandro ottenne l'ammissione ai giochi olimpici e vi prese parte ottenendo una vittoria: questo conferma che era considerato greco come la sua famiglia.
Nell’ultimo fase del suo governo, Alessandro non esitò a rompere con Atene, sostenendo nella lotta i Tasi ribelli (465-463): fin da allora i possedimenti ateniesi sulla costa settentrionale dell'Egeo erano una spina nel fianco della Macedonia. In quella circostanza Atene cercò di appropriarsi della foce dello Strimon e della regione del Pangeo, minacciando di chiudere alla Macedonia ogni sbocco sul mare dal momento che le coste macedoni e trace erano cosparse di colonie greche alleate della lega delio-attica e di sottrarre la ricchezza delle miniere del Pangeo e delle foreste montane. Alessandro accolse i Micenei quando gli Argivi rasero al suolo la loro patria e gli abitanti di Oreo, città dell'Eubea.
Alessandro sentì un forte interesse per la civiltà greca e questo determinò, durante il suo regno, un forte incremento della cultura in Macedonia, come rivela la tradi­zione che Pindaro soggiornasse alla sua corte ad Ege, dove si trattennero temporaneamente anche Erodoto ed Ellanico.
Molto probabilmente fu Alessandro ad aggiungere alla cavalleria degli "eteri" (compagni del re) la falange dei "pezetèri", un corpo di fanti che avevano anch'essi il titolo onorifico di compagni del re.
Secondo una notizia piuttosto attendibile, Alessandro morì violentemente: non si sa però se si trattasse di una tragedia di famiglia oppure di una congiura cui i familiari fossero estranei.

6 Perdicca II Ad Alessandro I, successe suo figlio Perdicca II che, durante la guerra del Peloponneso, venne a contatto con gli stati più potenti di Ellade: Atene, Sparta, Argo, Corinto e le città calcidiche.
Nonostante il suo regno sia stato agitato da ostilità interne e da pericoli esterni, Perdicca riuscì a conservare intatti tutti i suoi possedimenti, rimuovendo i pericoli più gravi con rapidi quanto spregiudicati cambiamenti di alleanze mostrandosi sempre infedele agli accordi giurati e sempre opportuno nelle più impensate deliberazioni.
Nel 433, avversione fra Perdicca e suo fratello Filippo sfociò nella rottura fra la Macedonia ed Atene, dove Filippo aveva trovato sostegno. Questa rottura era tuttavia inevitabile da quando la fondazione della colonia ateniese di Anfipoli, in Tracia, a cavallo dell'unica via che collegava la Macedonia al Mar di Marmara, aveva concretizzato il pericolo da cui già Alessandro Filelleno si era sentito minacciato.
La scintilla che fece scoppiare la guerra fra la Macedonia ed Atene fu comunque legata a Potidea (vedi) che, fon­data dal tiranno corinzio Periandro, faceva parte della lega di Delo e tuttavia continuava a mantenere rapporti con la metropolis da cui seguitava a venire il suo magistrato supremo, l’epidamiurgo. Atene si era insospettita ed aveva ingiunto a Potidea di abbattere le proprie mura dalla parte del mare e di non accettare più epidamiurghi corinzi. Potidea si ri­volse allora a Perdicca, per proteggersi le spalle e, dopo essersi assicurata anche l'aiuto di Sparta, uscì dalla lega di Delo insieme a parecchie altre poleis traciche e calcidiche.
Scoppiata nel 432 la guerra fra la Macedonia ed Atene, nei pochi mesi dalla primavera a settembre dello stesso anno, Terme cadde in mano agli Ateniesi, Pidna fu assediata e Perdicca ed Atene stipularono un trattato di alleanza, da lui subito violato quando prestò di nuovo il suo aiuto ai Calcidesi che si erano un'altra volta ribellati ad Atene.
Nel 431, dunque, Perdicca appoggiava ancora Potidea, ma sembrava che un nuovo e grandissimo pericolo, provocato da Atene, incombeva minaccioso sulla Macedonia: gli Ateniesi avevano infatti trovato un prezioso alleato in Sitalce, re degli Odrisi, un popolo della Tracia, e perciò ottenevano libero accesso in un vasto tratto dell'entroterra particolar­mente ricco di materie prime e di schiavi. Una fortuna, per l'economia ateniese, ma quella nuova alleanza non si rivelò poi così fruttuosa come si era sperato: Perdicca infatti riuscì a sventare abilmente il pericolo tracico con ricchi patti per cui, in un mese, la minaccia fu eliminata.
Nella primavera del 429, dopo due anni di assedio, Atene riuscì a riportare un grande successo nell'Egeo settentrionale: Potidea, capitolò, ma le condizioni imposte dagli Ateniesi furono miti.
Fra la conquista di Potidea nel 429 e il 424, gli eventi della guerra del Peloponneso tennero le armi ateniesi lontane dalla Calcidica, ma ora Atene mostrava un tallone d'Achille, proprio in Tracia e nella penisola Calcidica che Perdicca rese di nuovo teatro di guerra: la presenza degli Ateniesi ad Anfipoli lo rendeva inquieto ed a questo si aggiungeva il timore dei popoli barbari d'occidente, Peoni e Illiri. Per combattere Ateniesi e barbari, Perdicca, postosi a capo delle città calcidiche che si erano nuovamente ribellate ad Atene, chiese l'aiuto di Sparta, impegnan­dosi a mantenere un esercito peloponnesiaco. Sparta si convinse che, assalendo quelle regioni, si sarebbe potuto, di concerto con la Macedonia, infliggere ad Atene un colpo mortale.
Tutto questo costituì la campagna di Brasida nella Calcidica. Con 1700 opliti, nell'autunno del 424, Brasida mosse dall'istmo e penetrando nella Ellade centrale si spinse fino alla base spartana di Eraclea e, da qui, attraverso la Tessaglia e la Macedonia, raggiunse la Calcidica. Le prime città che si schierarono dalla sua parte fu­rono Acanto e Stagira, ma il più grande successo fu l'acquisto di Anfipoli. Verso coloro che abbandonavano la lega di Delo, Brasida si comportò con estrema ed inconsueta magnanimità. Lo storico Tucidide, inviato a difendere la città di Anfipoli, non giunse in tempo per salvarla. Atene si vide sottrarre anche altre località e in particolare la perdita di Torone, sulla penisola Sitonia, scosse fortemente la sua posizione in Tracia. Molte cit­tà, irritate per l'aumento dei contributi, non attendevano che un cenno per staccarsi dalla lega di Delo.
Sia ad Atene sia a Sparta, tuttavia, il desiderio di pace di­veniva sempre più forte, così, nella primavera del 423 si giunse ad un armistizio tra Atene e Spar­ta che riguardava anche i rispettivi alleati. Ma le speranze riposte nella rapida conclusione di un regolare trattato di pace si dimostrarono infondate. Appena due giorni dopo, quando già il patto era stato firmato, la città di Scione nella Calcidica, si staccò da Atene. Scione avrebbe dovuto essere restituita agli Ateniesi, ma Brasida lo impedì. Così la guerra continuò e Atene riuscì a tenersi a galla alleandosi a Perdicca che, dopo la sfortunata spedizione contro la Lincestide che si era resa indipen­dente, si alleò con gli Ateniesi. Lo stratega ateniese Cleone, con un forte esercito, comparve, nell’autunno del 422, nel teatro settentrionale delle operazioni belliche, riconquistò Torone e riportò anche altre notevoli vittorie, ma, osando spingersi contro Anfipoli, fu attaccato e sgominato da Brasida: oltre a Cleone, 600 opliti attici restarono sul campo mentre gli Spartani, pare, persero soltanto sette uomini, ma tra questi vi era anche Brasida.
Nel 421 la pace di Nicia, conclusa per un periodo di cinquant'anni, entrò in vigore all'inizio di aprile del 421. Il trattato pose fine a una lotta che si era protratta per dieci anni senza giungere a una chiara conclusione e rista­biliva in complesso la situazione esistente prima della guerra: Anfipoli ritornava agli Ateniesi, gli abitanti delle zone da riconsegnare ad Atene potevano scegliersi una nuova residenza e diverse città calcidiche furono dichiarate autonome, pur dovendo continuare a pagare il contributo stabilito a suo tempo.
La restituzione di Anfipoli ad Atene fece però rinascere le cause di contrasto fra la Macedonia ed Atene. Pochi anni dopo, infatti, Perdicca entrò nella lega che si era stretta fra Argo, Sparta e le città calcidiche per cui subì un blocco per mare e l'assalto di Metone da parte di Atene. Ancora una volta Perdicca uscì dalla grave situazione passando di nuovo dalla parte degli Ateniesi e, nel 414, appoggiò una loro operazione contro Anfipoli.
Morì poco dopo nel 413.

7 Archelao Archelao regnò dal 413 al 399, ma nei suoi 14 anni di regno con­tribuì a rendere la Macedonia uno stato più forte ed a farla entrare nella sfera politica e culturale delle grandi potenze greche.
Nato da un matrimonio illegittimo di Perdicca II con una schiava di suo fratello Alceta, uno dei quattro figli di Alessandro I, Archelao successe al padre dapprima liberandosi di suo zio Alceta, fratello di Perdicca.
Riguardo ad Alceta, Platone riferisce che, alla morte di Perdicca, Archelao, dopo avere invitato costui con promessa di aiutarlo a recuperare il regno che suo fratello Perdicca gli aveva tolto, dopo averlo fatto ubriacare, lo caricò su un carro insieme con il figlio Alessandro e li assassinò ambedue. In seguito, con un altro delitto, Archelao si sbarazzò, forse avvelenandolo, di Alessandro, figlio legittimo di Perdicca ed erede del trono, di cui Archelao era tutore, sposò infine Cleopatra, vedova di Perdicca, salendo così con il titolo ed il potere di re al trono di Macedonia, dopo essersi aperto la via con la forza e col sangue.
Nella politica interna Archelao fu molto attivo, diventando il primo grande organizzatore del regno: costruì fortificazioni, tagliò strade rettilinee e trasferì la residenza reale da Ege a Pella, originariamente chiamata Bounómeia, una modesta cittadina dei Bottiei, evacuata da Aminta al passaggio di Serse, attraverso la Macedonia.
Collocata in quel periodo su una stretta striscia costiera sulle rive settentrionali dello stretto termaico, Pella per questo era dunque molto adatta a diventare la capitale di un regno aperto verso l'Egeo.
Archelao risollevò anche l'economia del paese: riformò il sistema monetario, promuovendo il commercio con gli Stati vicini e forse divise la Macedonia inferiore in vari distretti amministrativi e militari, ciascuno dei quali prendeva il nome dal capoluogo. Tali distretti rimasero finché esistette una Macedonia libera.
Archelao ordinò l’esercito cui diede un migliore equipaggiamento, rifornendolo di cavalli e di armi. Sulle riforme militari di Arche­lao a ogni buon conto le nostre conoscenze sono limitate all’asciutto e stringato passo di Tucidide quantunque a torto gli sia stata attribuita la creazione della fanteria dei pezeteri, alterando il testo di un fram­mento d'Anassimene conservato da Arpocrazione: i moderni attribuiscono a questo sovrano l'istituzione della lustratio dell'esercito durante il mese di Xandikos.
In politica estera, Archelao, du­rante la fase della guerra del Peloponneso successiva alla spedizione in Sicilia, (dal 413, rotta dell'Assinaro, al 404, battaglia di Egospotami) fu alleato di Atene, e, sotto il dominio dei Quattrocento, soccorse la flotta ateniese con l'invio di rematori e di legnami. Le disperate operazioni in cui tutte le forze di Atene erano concentrate in terre lontane, spiegano come il re di Macedonia abbia potuto man­tenere relazioni di amicizia con gli Ateniesi dai quali anzi ebbe aiuto da parte di Teramene nella risottomissione di Pidna che, nel 410, gli si era ribellata.
La sua opera di consolidamento interno del paese fu tanto più difficile, in quanto urtò contro la resistenza dei principi feudali, soprattutto dei signori della Lincestide e dell'Elimea, vassalli della Macedonia: dapprima guerreggiò contro Arrebeo, re dei Lincesti, e contro Sira, re degli Elimioti, ma successivamente prevenne queste resistenze con un’abile ed opportuna politica di imparentamenti.
Negli ultimi anni di regno, Archelao, libero dall'oppressione ateniese che aveva paralizzato i suoi predecessori, libero da pericoli interni, intervenne in Tessaglia, precorren­do in questo Filippo II: truppe macedoni occuparono le principali piazzeforti e Larissa riconobbe la supremazia di Archelao.
Nel 399, quando la guerra in Tessaglia stava però per complicarsi in un conflitto contro Sparta, Archelao, improvvisamente morì, vittima, secondo alcuni di un incidente di caccia, secondo altri assassinato da una persona del suo seguito, il suo amasio Crateva (o Crateo) cui si era associato un altro antico amasio, Ellanocrate di Larissa.
Archelao fu grande amante della civiltà e della cultura greca e, per favorire lo sviluppo della cultura in Macedonia, cercò di attirare alla sua corte di Pella gli uomini più insigni della Ellade rendendo la sua capitale un fervido centro di cultura e di arte: vi soggiornarono Cherilo e Timoteo di Mileto, Agatone, Euripide che vi compose le Baccanti e in cui esaltò il re e trattò anche della fondazione del regno di Macedonia molto diversamente dal racconto di Erodoto. Infine il pittore Zeusi affrescò il palazzo reale. Si sostiene che Archelao invitasse perfino Socrate a recarsi in Macedonia. Nella città di Dion, ai piedi dell'Olimpo, istituì giochi che, sul modello greco, consistevano in gare ginniche e poetico-musicali.

8 I primi decenni del IV secolo: Aminta III ed i suoi successori - La morte di Archelao pose fine alla politica di espansione e la Macedonia ricadde nel caos.
In questo periodo la Macedonia non svolse alcun ruolo nella grande politica: i primi decenni del sec. IV sono occupati da frequenti mutamenti di trono e da usurpazioni infatti tutti i sovrani regnarono per brevissimo tempo ad ecce­zione di Aminta III, padre di Filippo II.
Aminta III regnò in un periodo i cui limiti estremi non sono sicuramente precisabili, ma possono essere fissati, con un certo margine di attendibilità, tra il 393 e il 370 a.C.
Al regno di Aminta non mancarono gravi pericoli. Un'invasione di Illiri, respinta forse con l'aiuto dei Tessali, lo privò del regno fra il 393 ed il 392.
Ristabilitosi sul trono, Aminta strinse un'alleanza difensiva con Olinto. Ma la metropoli dei Calcidesi, fondata per consiglio di Perdicca II, dopo la disfatta di Atene, si era sviluppata al livello di stato di straordinaria potenza, diventando così un avversario pericoloso, incoraggiato inoltre dalla momentanea debolezza della Macedonia. Con Olinto, già al tempo del pericolo illirico, Aminta aveva stretto un trattato di alleanza per cinquant’anni. Più che la forza dei trattati poté però l’impeto espansionistico da una parte e dall'altra e lo scontro di inte­ressi provocò la guerra: gli Olinti occuparono la maggior parte della Macedonia inferiore, e la stessa Pella.
È congetturabile che alla loro invasione si associ il tentativo di un pretendente al trono, Argeo II, che, secondo le liste pervenuteci, avrebbe regnato due anni, dal 384 al 382.
Aminta, privato del trono una seconda volta, nel 382, fu costretto a chiedere l'aiuto di Sparta.
La guerra calcidica, combattuta da Sparta e da Aminta contro le città calcidesi, si protrasse per quattro anni dal 382 al 379 con parziali sconfitte e parziali vittorie e si concluse nel 379 con la sottomissione di Olinto e delle città mi­nori alla supremazia spartana, la Lega calcidica fu sciolta ed Aminta rientrò in completo possesso del suo regno.
Negli ultimi anni di vita Aminta estese la sua influenza anche in Tessaglia, nella Perrebia settentrionale, riprendendo un piano che era stato già di Archelao e, come Archelao, mantenne amichevoli relazioni con i principati vassalli della Macedonia superiore, grazie a legami di parentela: sposò infatti in seconde nozze Euridice, principessa elimiota, dalla quale ebbe tre figli, Alessandro, Perdicca e Filippo.
Alla morte di Aminta nel 370, sul trono macedone successe il maggiore, Alessandro II, che i nobili ate­niesi invitarono a intervenire in Tessaglia, contro la tirannide di Alessandro di Fere. Alessandro occupò Larissa e Crannone e contava di te­nerle per sé. Contro di lui i Tessali ricorsero all'aiuto tebano, ma Alessandro dovette subito abbandonarle, richiamato in patria da un tentativo di usurpazione del trono nella persona del cognato, Tolomeo di Aloro. Pelopida, invocato come giudice arbitrale dai due contendenti, decise la controversia in favore del sovrano legittimo.
Nel 369, Alessandro fu assassinato e Tolomeo assunse la reggenza in nome di Perdicca, tuttavia Pausania, membro collaterale della casa reale, si propose anche lui come pretendente al trono e, alla testa di un esercito mercenario greco occupò Antemunte e Terme ai confini della Calcidica, ma fu battuto con l'aiuto del generale ateniese Ificrate. Tuttavia la Macedonia rimase sotto l'influenza tebana: nel 368, Tolomeo s'impegnò a pagare un tributo d'armati e diede in ostag­gio, come pegno di fedeltà, alcuni eminenti Macedoni fra cui Filippo, il giovane fratello di Perdicca.
Nel 365 Per­dicca III assunse il regno dopo essersi sbarazzato del tutore. Sovrano audace, nel 359 Perdicca morì in battaglia, mentre combatteva contro gli Illiri per liberare la Macedonia dal tributo che pagava loro fin da quando Aminta III aveva comprato la pace con la promessa di annui versamenti di denaro.
Con la morte di Perdicca la Macedonia ripiombò di nuovo nel caos: la parte settentrionale passò in gran parte ai barbari, i Peoni dal nord cominciarono ad assalire e devastare le province meridionali, vari pretendenti al trono, infine, si levarono da ogni parte.

Massimo Capuozzo

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