mercoledì 21 agosto 2019

Caravaggio e il caravaggismo

Tra gli elementi fondamentali dell'arte del Seicento c'è il Naturalismo, una corrente nata dall'osservazione della natura di Caravaggio e maturata nell’enorme arcidiocesi di Milano, (che comprendeva le diocesi suffraganee di Bergamo, Brescia, Como, Crema, Cremona, Lodi, Mantova, Pavia e Vigevano) con la catechesi di San Carlo Borromeo che nel 1577 delibera in materia d’arte, promulgando le “Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae”.
Nella seconda metà del Cinquecento e nella prima metà del Seicento, la pittura lombarda visse una stagione di grande sviluppo, durante la quale essa elaborò un linguaggio pittorico nuovo e del tutto originale, che fece di Milano uno dei centri più importanti della pittura italiana del tempo.
La presenza a Milano di San Carlo Borromeo, arcivescovo dal 1564 al 1584, fu di fondamentale importanza.
San Carlo chiedeva al suo popolo di seguirlo sulla strada di una fede vera, profondamente sentita, senza compromessi. Le sue parole trasformavano gli animi, il suo esempio accendeva i cuori e una delle questioni centrali, essenziale per questa riforma engagé, fu proprio l’uso delle immagini, concepite come strumento di comunicazione con i fedeli. La venerazione delle immagini era favorita, perché esse erano strumenti di continua rievocazione dei brani della fede cattolica: niente doveva distrarre, niente doveva essere concesso al puro intellettualismo di matrice manierista, ma si richiedeva agli artisti semplicità di composizione, onestà di sentimenti ed efficace realismo.
Questa pittura si serviva di un linguaggio severo e drammatico in scene molto narrative, in dipinti che sono sempre un miscuglio fra realtà concreta e quotidiana e una visione ascetica e soprannaturale dell'umanità e della fede.
Tele, affreschi e pale d’altare divennero il principale mezzo di diffusione tra il popolo della fede da poco riformata, espressione di una religiosità intima e drammatica, in ossequio alle prescrizioni del Concilio di Trento, secondo le quali la pittura doveva “movère”, cioè commuovere.
In altri termini si richiedeva al pittore la capacità di raggiungere in modo chiaro e diretto il cuore degli uomini, anche dei meno colti. È interessante infatti osservare come gli artisti, che fino allora erano dediti allo stile profano e intellettualistico del Manierismo, comincino a sviluppare un linguaggio devozionale fatto di sentimenti, di familiarità e di fede.
Più che una “conversione” degli artisti alla causa cattolica ebbe luogo una conciliazione, una sorta di acclimatamento tra l’esigenza dell’estro artistico e quella del potere; quest’evoluzione, che conosce diversi risultati a seconda della località specifica e che, in effetti, nel nascente “naturalismo lombardo” o nel fenomeno dei “pittori della realtà” ha un esito notevole, si contestualizza nella posizione della Pianura Padana, crocevia tra il Nord Europa, si pensi alla verità ottica del particolare propria delle Fiandre, e alle corti dell’Italia centrale, e ancora ai precedenti illustri di Lorenzo Lotto a Bergamo o di Gerolamo Savoldo, per non risalire addirittura alla lunga presenza di Leonardo a Milano.
Le nuove istanze religiose si innestano su un’area culturale già storicamente atta a ricevere temi come l’intimismo psicologico e l’aderenza al vero. Del resto la nozione manierista di “artificio” non scomparirà del tutto, né in questi pittori né in quelli del Barocco, ma sarà spesso soltanto inclinata verso l’espressione di un messaggio diverso rispetto a quello autoreferenziale della pittura manierista: il Barocco stesso farà della teatralità e del dramma una delle sue più importanti chiavi di lettura, per lo più in contrasto alla vocazione naturalistica.
I cosiddetti “pittori della peste” diventarono, infatti, i maestri di questo rinnovato linguaggio. Nati e cresciuti nel clima morale ispirato da San Carlo e in seguito stimolati dalla guida del cardinal Federico Borromeo, arcivescovo dal 1595 al 1631 e fine conoscitore e collezionista d’arte, riuscirono ad elaborare una pittura “d’urto”, gloriosa e fantasiosa nel contatto, diretta a mostrare le più squallide bassezze in contrapposizione ai più nobili valori umani, introducendo lo spettatore negli orrori delle miserie per poi innalzarlo tra i miracoli e le estasi dei santi.
Nel 1584, pochi mesi prima della morte di san Carlo, il piccolo Michelangelo Merisi, un giorno il grande Caravaggio, fu mandato appena tredicenne a lavorare a bottega a Milano presso il laboratorio di Simone Peterzano(Venezia, 1535 – Milano, 1599), pittore veneziano che aveva bottega a Milano e che si proclamava orgogliosamente allievo di Tiziano.
Simone Peterzano Deposizione di Cristo Museo di San Fedele Milano
Simone Peterzano pittore di origine bergamasca, attivo a Milano negli anni 1573-96.
Le prime opere note (le tele per San Barnaba a Milano, 1573) denotano contatti con la pittura veneta tardo-manieristica, mentre il vasto complesso di affreschi e dipinti della certosa di Garegnano (1578-82) si rifà direttamente alla tradizione lombarda di marca foppesca, sia per la predominanza dei grigi e dei colori spenti, sia per il solido impianto delle figure.
Le accentuate notazioni naturalistiche, inoltre, che si fanno più marcate nelle altre opere, inseriscono Peterzano in quel filone lombardo tardo cinquecentesco di cui fanno parte anche i pittori bresciani e bergamaschi coevi, e sono alla radice della futura pittura di Caravaggio.
Numerose opere dell'artista si conservano tuttora nelle chiese milanesi (S. Maria della Passione, S. Carlo al Corso, S. Fedele, S. Maurizio al Monastero Maggiore).
Caravaggio - Deposizione di Cristo - Roma - Musei Vaticani 1602
Il Caravaggio non raffigura in realtà il Seppellimento, né la Deposizione nel modo tradizionale, in quanto il Cristo non è rappresentato nel momento in cui viene calato nella tomba, bensì quando, alla presenza delle pie donne, viene adagiato da Nicodemo e Giovanni sulla Pietra dell'Unzione, vale a dire la pietra tombale con cui verrà chiuso il sepolcro. Intorno al corpo di Cristo si dispongono la Vergine, Maria Maddalena, Giovanni, Nicodemo e Maria di Cleofa, che alza le braccia e gli occhi al cielo in un gesto di altissima tensione drammatica.
Quale Milano vide il tredicenne Caravaggio? E quale Milano porterà con sé a Roma?
A Milano vide ovviamente Simone Peterzano, ma anche Giulio Campi, Antonio Campi, Giovan Paolo Lomazzo, i pittori che operavano a Milano durante l’arcivescovato di San Carlo; nell’ambiente milanese, culturalmente dominato da San Carlo, Simone Peterzano riusciva ancora a coniugare la formazione coloristica acquisita in Veneto con Tiziano, con l’austera monumentalità richiesta nella Pianura Padana: massimo esempio di questo equilibrio sono gli affreschi della Certosa di Garegnano.
Peterzano era il collegamento importante tra l’uso sfarzoso del colore del Rinascimento veneziano e la declinazione drammatica ed espressiva che il suo allievo Michelangelo Merisi avrebbe saputo conferire ai propri colori, ormai pienamente in linea con il Barocco che stava per nascere. Peterzano fu anche un altro nesso importante: era allievo di Tiziano e maestro di Caravaggio.
A Milano il giovane Michelangelo trovò i “pestanti”, quella pattuglia di giovani pittori quasi suoi coetanei, cresciuti all’ombra della catechesi artistica di San Carlo e che sbocceranno contemporaneamente a lui.
L’apprendistato milanese dell’adolescente Merisi è ancora tutto da chiarire. Sappiamo infatti che nella primavera del 1584 il tredicenne Michelangelo fu affidato a Simone Peterzano che si firmava «allievo di Tiziano», presso il quale rimase per quattro anni.
Che cosa però il giovane allievo abbia visto, studiato e, soprattutto, realizzato in quei mesi è pressoché impossibile dirlo, allo stato attuale dei documenti e delle ricerche. A Milano apprese gli stili di due tradizioni diverse, da un lato il realismo lombardo, dall'altro il Rinascimento veneto, con il quale viene in contatto diretto, quando Peterzano lo portò con sé in alcuni viaggi a Venezia dove vide l'arte del Tintoretto.
È fondamentale seguire le parole di Roberto Longhi: “… non si pretende di segnare itinerari precisi ai suoi viaggi (o siano pure vagabondaggi) di apprendista; ma non si potrebbe porli mai in altra zona da quella che da Caravaggio porta a Bergamo, vicinissima; a Brescia e a Cremona, non distanti; e di lì, a Lodi e a Milano. Era questa la plaga dove un gruppo di pittori lombardi, o naturalizzati, tenevano aperto da gran tempo il santuario dell’arte semplice”.
Fin dal saggio del 1917, Cose bresciane del 500, e poi in Quesiti caravaggeschi, del 1929, Longhi affermava che per gli anni giovanili è bene rintracciare le sue “strade di predestinazione fra il 1584 e il 1589 circa” nelle “strade di Lombardia”: ma è proprio il mondo artistico tra Veneto e Lombardia che può aver ispirato e formato Caravaggio e la sua risonanza si percepisce continuamente nelle sue opere.
I “vagabondaggi” di cui parla Longhi lo portano al Moretto (Brescia, 1498 circa – 1554) da Brescia, Giovan Battista Moroni (Albino, 1522 – 1578/1579), Gerolamo Savoldo (Brescia 1480 ca. - dopo il 1548), Giovan Paolo Lomazzo, Vincenzo Campi (Cremona ca. 1535- ivi 1591) e Antonio Campi (Cremona ca. 1525 - ivi 1591), Giovanni Ambrogio Figino[8] (Milano 1553 – Milano 1608)  e Simone Peterzano documenta il delinearsi di un nuovo gusto e di una nuova concezione della figura, nel suo rapporto con lo spazio e con la luce, che è fondamentale per la crescita del giovane Caravaggio.
Giovan Gerolamo Savoldo Adorazione dei pastori

Giovan Gerolamo Savoldo – pittore italiano (Brescia ca. 1480-Venezia? dopo il 1548). 
Formatosi a Brescia, in un ambiente culturale dominato dalla tradizione foppesca e leonardesca, Savoldo soggiornò per alcuni anni, dopo il 1508, a Firenze, ma la sua attività in questo periodo è ancora controversa. È comunque certo che dal 1521 operò a Venezia, dove elaborò uno stile originale che, contrapponendosi al tonalismo di Tiziano, riprendeva spunti da Giorgione (soprattutto per il paesaggio), da Lorenzo Lotto e persino dai fiamminghi. Infatti, alla rigorosa, talvolta monumentale, costruzione spaziale, e al vigoroso realismo, di diretta derivazione lombarda, unì un uso luministico della luce che accentuava le forme e le espressioni (Cristo morto con Giuseppe d'Arimatea, Cleveland, Museum of Art; Adorazione dei pastori, Torino, Galleria Sabauda; Madonna e Santi, Milano, Pinacoteca di Brera).
Fra il 1520 e il 1530 si collocano, oltre ai dipinti sacri, i più bei ritratti e le figure di genere che si basano sul contrasto fra la realistica vitalità del personaggio e le suggestive fantasie del paesaggio (Ritratto d'uomo con armatura, cosiddetto Gastone di Foix, Parigi, Louvre; Maddalena, Londra, National Gallery; Pastore con flauto, Malibu, The Paul Getty Museum).
Dopo il 1530, nella produzione di Savoldo, che lavorò anche per il duca di Milano Francesco II Sforza, si accentua la predilezione per un linguaggio più interiorizzato giocato sulla contrapposizione di luci e ombre, particolarmente evidente nei quadri “notturni”, fecondi di influssi, tra l'altro, per la formazione di Caravaggio. Fra le opere di questi ultimi anni si ricordano la Natività (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo); San Matteo e l'angelo (New York, Metropolitan Museum of Art) e il San Gerolamo penitente (Londra, National Gallery).
E proprio gli studi di luce caratterizzano sempre piú l’attività del bresciano: l’Adorazione dei pastori (1527-1530) e il San Matteo e l’angelo (1530 ca.) sottoscrivono appieno la teoria del Longhi che vede in Savoldo il maggior esempio di pre-caravaggismo dell’intero Cinquecento. La luce è ora il prioritario strumento di individuazione plastica e tridimensionale della figura, e porta ad una meno marcata individuazione calligrafica ed a inedite approssimazioni visive che testimoniano una nuova ricezione della tradizione tizianesca.




Giovan Paolo Lomazzo - Autoritratto
Giovan Paolo Lomazzo - Pittore e scrittore d'arte italiano (Milano 1538-1600). Attivo come pittore a Milano, Lodi, Piacenza, nella sua opera, modesta ma interessante, fuse il leonardismo lombardo con spunti del manierismo romano (Autoritratto, Milano, Pinacoteca di Brera).
La sua fama è comunque legata all'attività di scrittore e trattatista d'arte, che iniziò quando, a soli 33 anni, venne colpito dalla cecità.
Il Trattato dell'arte della pittura (1584) e l'Idea del tempio della pittura (1591) sono testi importanti per la teorica del manierismo e contengono interessanti notizie su opere e artisti di Lombardia

Anche le sperimentazioni intellettualistiche di Giovan Paolo Lomazzo lasciano un segno in Caravaggio. La posa di tre quarti con la spalla di scorcio, lo sguardo diretto, la complessità di significati dell’immagine colpiscono Caravaggio, che li riecheggia nel Bacchino malato (Roma, Galleria Borghese).
Caravaggio - Bacchino malato - Roma Galleria Borghese


Caravaggio La decapitazione di San Giovanni Battista - Malta - Oratorio di san Giovanni della Valletta
Giovanni Ambrogio Figino - la madonna della serpe
Ambrogio Figino o Figini o Giovanni Ambrogio Figino – Allievo di Giovan Paolo Lomazzo dal 1564, Figino si pose in luce nel panorama artistico milanese inizialmente come ritrattista. L'effigie di Ambrogio Annoni, uno dei pochi ritratti a lui attribuibili con sicurezza, mostra una capacità minuziosa di rendere i particolari degna della pittura fiamminga.
Nei primi anni '80 del Cinquecento secolo l'artista ricevette dai Gesuiti la commissione per due pale d'altare, un tempo in San Fedele: la Madonna della Serpe (di cui si ricorderà Caravaggio) e l'Incoronazione della Vergine (1585 – 1586).
Fu contestata, rifiutata, rimossa. Ma tutti, fin da subito, riconobbero che era un’opera straordinaria. E teologicamente corretta. Stiamo parlando della celebre pala della Madonna dei Palafrenieri (nota anche come Madonna del Serpe), capolavoro di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, oggi conservata alla Galleria Borghese di Roma, ma in origine realizzata per uno degli altari della nuova basilica di San Pietro in Vaticano.
Quel che è certo, invece, è che attorno al 1583 Figino realizzò per la nuova chiesa di San Fedele, voluta dallo stesso vescovo Borromeo per i gesuiti, una grande pala raffigurante appunto la Vergine che, con l’aiuto del Bambino Gesù, schiaccia sotto il suo calcagno il biblico serpente: simbolo del male sconfitto, tramite il suo Divin Figlio, dalla nuova Eva, Maria. Chiesa che il Merisi doveva ben frequentare, essendo uno dei cantieri artistici più importanti della città, e dove il suo stesso maestro Peterzano, in quegli stessi mesi, aveva collocato una grande Deposizione, ancor oggi al suo posto. Cosa, invece, che non è avvenuta per la tela del Figino, che dopo vari passaggi nel 1637 finì proprio nel tempio di Sant’Antonio Abate.
È facile immaginare, dunque, che il nostro Caravaggio se ne sia ricordato al momento di realizzare la nuova pala per l’altare della Confraternita dei Palafrenieri in San Pietro, nel 1605: una commissione prestigiosa, che dopo i successi di San Luigi dei Francesi e di Santa Maria del Popolo, avrebbe consacrato il pittore lombardo ai massimi livelli. Ma non tutto andò come sperato …
La tela infatti, regolarmente e interamente pagata (a indicare quindi la piena soddisfazione della confraternita committente), rimase esposta nella basilica vaticana soltanto un mese, o forse pochi giorni appena. Poi venne rimossa – brutalmente, si potrebbe dire -, forse per ordine dello stesso pontefice Paolo V. Ma quali siano state le ragioni precise non è ancora stato chiarito. Fin da allora, infatti, si parlò genericamente di una «mancanza di decoro», con quella Madonna dalla bellezza popolana e dalla scollatura volgare, con quel Bambino Gesù così impudentemente nudo, con quella sant’Anna così sciattamente vecchia … Accuse formali, insomma, e non certo sostanziali, se si considera che l’opera rispetta infatti la piena ortodossia cattolica in tema mariano, al punto che Pio IX, nel 1854, proclamando il dogma dell’Immacolata concezione, riprenderà con esattezza questa stessa suggestiva iconografia.
Il fatto è che Caravaggio, nel frattempo, era ricercato come assassino. E il cardinal nepote, quel potente Scipione Borghese che non si fermava davanti a nulla pur di aumentare la sua collezione, bramava avere un’opera del Merisi… Un intreccio di circostanze e di eventi, che segneranno il destino della Madonna della Serpe e del suo autore.
Sempre negli anni Novanta Figino realizzò la prima natura morta "pura", anticipando il Caravaggio. Negli ultimi anni della sua vita Figino eseguì un vasto ciclo di pitture per San Vittore al Corpo, la chiesa degli Olivetani a Milano. Questo dipinto di Figino, la Fruttiera di persici (pesche), è considerata un incunabolo della natura morta italiana.
Caravaggio - Madonna dei Palafrenieri - Roma



Giovanni Ambrogio Figino - Vassoio di pesche 

Caravaggio - Canestra di frutta - Milano - Pinacoteca Ambrosiana


Antonio Campi - La visita in carcere dell'Imperatrice Augusta a Santa Caterina - 1584 
Antonio Campi, figlio di Galeazzo e noto dal 1546 al 1587, fu incisore, pittore, architetto, scultore e storico. Le sue ricerche naturalistiche, i suoi effetti di luce artificiale, la sua ambientazione scenica, così come appaiono nei dipinti più riusciti (il San Gerolamo del Prado; la Morte della Vergine in S. Marco a Milano; l'Adorazione dei Magi in S. Maurizio, pure a Milano), rimandano ai bresciani Moretto e Savoldo e alla pittura del Lotto.
Certamente il Caravaggio dovette meditare lungamente su queste opere per condurre a termine il suo recupero del naturale, condotto in chiave antimanieristica. 
Il primo debito consistente di Caravaggio è nei confronti del pittore cremonese Antonio Campi (1524-1587) e del dipinto raffigurante la visita in carcere dell'Imperatrice Augusta (inizi IV secolo) a Santa Caterina (firmato e datato 1584), che si trova nella chiesa francescana di Santa Maria degli Angeli, meglio nota sant'Angelo in via Moscova.
Nella stessa chiesa, come indizio del fatto che Caravaggio abbia conosciuto il dipinto, troviamo anche alcune opere di Peterzano. D'altro canto la critica, a cominciare da Roberto Longhi, ha sempre indicato questo dipinto come una delle fonti di ispirazione del giovane Caravaggio per quanto riguarda l'effetto della luce.
Basta pensare a La decollazione del Battista (1608) a La Valletta dove compare la stessa grata.













Il Moretto - Caduta di Saul - 1540
Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, è considerato uno dei tre grandi maestri del primo Rinascimento bresciano, assieme al Romanino e al Savoldo.
Formatosi nell'ambiente bresciano, a contatto del Savoldo e del Romanino, Moretto continuò la tradizione lombarda arricchendola di spunti dalla coeva pittura veneta (Giorgione, Lotto, Tiziano giovane).
Le sue pale d'altare sono impostate secondo il metodo classicistico della ripartizione architettonica, ma umanizzate dalla trattazione naturalistica dei personaggi, mentre il colore spento, dalla caratteristica intonazione grigio-perla, è sottolineato da una continua ricerca di luce (Santa Margherita d'Antiochia e Santi, 1530, Brescia, S. Francesco; S. Nicola di Bari presenta gli allievi di Galeazzo Rovelli alla Madonna in trono col bambino, 1539, e Cristo in passione e l'angelo, 1550, entrambi a Brescia, Pinacoteca Tosio-Martinengo).
Bellissimi sono pure i ritratti, fedeli alla resa umana del modello, totalmente privi di idealizzazione e aulicità e attenti ai valori tonali del colore (Ritratto d'uomo con lettera e clessidra, 1520-25, New York, Metropolitan Museum; Ritratto di Girolamo Savonarola, 1524, Verona, Museo Civico; Ritratto di giovane uomo con ermellino e berretto piumato, 1542, Londra, National Gallery).
Il riferimento a Caravaggio è la Caduta di Saul da cavallo del Moretto, dipinto attorno al 1540, che si trova in Santa Maria dei Miracoli a Milano. È inevitabile pensare che il possente cavallo abbia influenzato Caravaggio nell'atto di dipingere a Roma lo stesso soggetto, ossia La conversione di Saul per la chiesa di Santa Maria del Popolo (1601) e quella di palazzo Odescalchi che l'aveva di poco preceduta in ordine di tempo (1600-1601).




Caravaggio La conversione di Saul Roma 1600
La formazione di Caravaggio parte dalla Lombardia, dove approfondisce il tema del colore dal suo maestro da cui eredita una predilezione per i colori caldi, i bruni ed i rossi scuri.
Quello che Caravaggio portò con sé a Roma è l’incubazione della grande rivoluzione in pittura il cui manifesto fu  la Conversione di Saul, concepita tra il 1601 e il 1602 per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo.
Fino alla sua comparsa sulla scena pittorica, lo stile che caratterizzava la maggior parte degli artisti era molto legato a un tipo di cultura accademica che si basava prevalentemente sullo studio dell'arte classica, con forti influssi derivati dai grandi protagonisti del periodo d'oro del Rinascimento italiano. Su tutti le figure di Michelangelo e di Raffaello nell’Italia centrale, mentre per quanto riguarda il settentrione, la pittura si rifaceva soprattutto a Tiziano, al Correggio e a Leonardo.
La rivoluzione di Caravaggio consiste nel suo accentuato naturalismo di matrice lombarda, ma spinto al realismo più duro autentico e incontaminato da qualsiasi forma di idealizzazione, espresso nei soggetti dei suoi dipinti e nelle atmosfere in cui la plasticità delle figure è evidenziata dalla particolare illuminazione che teatralmente pone l’accento sui volumi dei corpi che escono improvvisamente dal buio della scena come accade nella cappella Contarelli, nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. Sono pochi i quadri in cui il pittore lombardo dipinge lo sfondo, che passa nettamente in secondo piano rispetto ai soggetti, i veri e soli protagonisti della sua opera. Partendo dalla natura morta, arriverà alla pittura di genere con scene di vita quotidiana come nei Bari e nella Buona Ventura), per poi affrontare nell'età matura la pittura religiosa in chiave drammatica.
La sua carriera vera propria inizia però a Roma, quando riceve le prime commesse importanti da alti prelati e da Ordini Religiosi.
Una folla di pittori francesi, tedeschi e spagnoli fu soggiogata da Caravaggio come Saul fu folgorato dalla luce di Cristo.
Nasceva così la corrente del “Caravaggismo” che si diffuse trasversalmente attraverso i seguaci di Caravaggio, attecchendo soprattutto nei paesi di dominazione spagnola: dalla Lombardia al Regno di Napoli, dalle Fiandre spagnole con i cosiddetti caravaggisti di Utrecht, alla penisola iberica.

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