domenica 26 luglio 2009

Sabbia, sale, mare: il destino di Cartagine di Massimo Capuozzo


Cartagine, un po’ di sabbia in una bottiglietta che gelosamente conservo nella mia libreria e che mi ricorda un viaggio in Tunisia che avrei sempre voluto fare, ma che non ho mai fatto, un romanzo, cruento e decadente, Salambò, letto nella mia giovinezza e tanti ricordi di battaglie delle scuole elementari, delle medie, del liceo, dell’università. Un Livio glorificante e martellante l’idea di impero, Cartagine la nemica, l’elmo di Scipio, di cui il nostro inno nazionale fa cingere la testa ad un’Italia personificata come schiava di Roma secondo una presunta volontà di Dio… Poi un corso di Storia antica ed una studentessa cui assegno un libro da leggere, un romanzo storico su Annibale.
Riaffiorano le memorie flaubertiane, ma il libro è diverso, anche perché la vicenda non viene vista dall’ottica romana. Lo scrittore Haefs è un tedesco ed i tedeschi, si sa, da Winckelmann a Willamowitz, non sono stati mai così teneri con Roma, e neppure io, anche se oggi con motivazioni diverse. Perché vedo in essa la prima grande globalizzatrice.
Strano a dirsi ed anche a credersi, ma io ho imparato più cose insegnando che studiando, perché quando si studia da studenti, si imparano tante cose, talvolta acriticamente, talvolta senza riflettere. È solo la maturità che permette di fermarsi su dettagli che da studente, preso dal macinare pagine su pagine, passano inosservati. Le ultime pagine della letteratura latina. Ricordo le parole accorate di Rutilio a proposito di Roma “tu che facesti di tante genti un popolo solo” e le declamazioni di mia madre, studentessa nell’età fascista, della traccia di un tema che le era stato dato da svolgere che, riprendendo dei versi dell’Eneide “Abbin sì gli altri delle altre arti il vanto…, ma voi Romani miei reggete il mondo con la spada e con l’armi, e l’arti vostre sian l’esser giusti in pace e invitti in guerra”, le chiedeva di confrontare la Roma fascista con quella presagita da Virgilio per bocca di Anchise ed oggi mi rendo conto, forse solo per assecondare Augusto che poi mi è stato sempre antipatico ed ora so perché. Mi sono reso conto che su Cartagine so molto poco, imperdonabilmente poco per uno che insegna storia antica. So qualcosa di Annibale, conosco poco della sua famiglia, un dubbio irrisolto, di un condottiero ormai trionfatore che può marciare su Roma, cambiando il corso della storia ed invece si ferma a Capua a godersi i suoi ozi. Strano come una volta i sussidiari delle scuole elementari facessero veicolare il messaggio della grande storiografia latina: colpa di Carducci, del sostrato culturale fascista ancora presente nei libri della mia scuola elementare? Non lo so. Riaffiora nella mia memoria di adulto un brandello di quel libro, in cui sulla distruzione di Cartagine il racconto diceva pressappoco che il Senato romano ne aveva ordinato la distruzione dalle fondamenta, che sulla terra erano stati tracciati solchi con l'aratro e poi, con un sottile compiacimento, il libro raccontava che i Romani gettarono il sale perché su quel luogo non crescesse più neppure l’erba. Mica male, in fatto di meticolosità, i Romani “giusti in pace e invitti in guerra”. E poi, questa storia del sale mi ricorda un altro episodio raccontato da quel libro, forse nel volume successivo, e riguarda Attila che si serviva della stessa tecnica e dove passava, diceva il libro, in tal caso con sottile sgomento, non cresceva più l’erba. Ma Attila era un barbaro e, come tale, non poteva consentirsi il deprecabile uso del sale.
Le suggestioni che mi evocano il libro di Haefs mi portano ad aprire la bottiglietta, faccio cadere un po’ di sabbia della spiaggia di Cartagine sul palmo della mano. È chiara, sottile, vellutata. Mille volte battuta dalle onde del Mediterraneo. Sono solo, la assaggio con la punta della lingua, sento un sapore salmastro, poi inizio il mio viaggio virtuale, raccogliendo da internet tutti i documenti che mi possono essere utili per sentire il sapore di quella città, di quello che è sopravvissuto, prima di quel giorno fatidico del 146 che diede finalmente pace a quell’uggioso Catone che nutriva una tale ossessione nei confronti di Cartagine, da cadere nel ridicolo, concludendo ogni sua orazione, pronunciata in un latino brutto ed agreste, con quella specie di ritornello del “Ceterum censeo”.
Sabbia, sale, mare. Questo il destino di Cartagine, dominatrice dei mari. Cartagine per secoli la città più ricca e più ambita al mondo, Cartagine che Roma coprì d’odio e d’ammirazione, Cartagine che passò alla leggenda per i suoi momenti di gloria e per la tragica sorte riservatale dal destino. Dopo un assedio di quasi tre anni, l'assalto finale alla Byrsa si svolse tra feroci combattimenti per le strade dove i soldati romani, di casa in casa, trucidarono sistematicamente i Cartaginesi e resero schiavi i sopravissuti: la città fu rasa al suolo ed un terribile incendio di cui Appiano ha lasciato una descrizione drammatica determinò la distruzione sistematica della città e, con essa, la distruzione dell’immenso patrimonio della sua cultura.
Il sito era però troppo ben scelto perché rimanesse disabitato e, un secolo dopo la distruzione, Cesare ordinò la ricostruzione di Cartagine con lo status giuridico di colonia di Roma e Cartagine crebbe, crebbe tanto da diventare la seconda città della parte occidentale dell'Impero Romano e la città principale della Provincia romana d’Africa. Ma non era più la Cartagine fenicia era la Cartagine romana.
Nel 1979 l’UNESCO ha dichiarato il Parco archeologico di Cartagine patrimonio mondiale dell’umanità.
Massimo Capuozzo

1 commento:

  1. Eh sì, i libri di storia bisognerebbe riscriverli guardando i fatti non solo dalla parte dei vincitori, ma anche dei vinti... Solo così si renderebbe onore ai popoli e si scriverebbe la vera grande Storia!!!!

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