lunedì 20 novembre 2023

I fiamminghi 5: la prima fase dei Duchi di Borgogna Di Massimo Capuozzo

Lo scorso anno abbiamo lasciato Filippo l’Ardito ai suoi solenni funerali di stato, celebrati a Digione e abbiamo visto anche il suo pregiatissimo mausoleo funebre.
Fig. 1
Oggi, dopo tanti preamboli, ancorché necessari per avvicinarsi consapevolmente alla pittura fiamminga – una quasi introduzione, il Rinascimento e la sua diffusione e la questione fiamminga –, riprendo il mio racconto da quel punto, cioè dalla successione di Giovanni I di Borgogna, il celebre Giovanni Senza Paura, duca di Borgogna dal 1404 al 1419.
Fig. 2
Giovanni I di Borgogna, principe di sangue reale della casa capetingia di Valois, fu duca e conte di Borgogna, conte di Nevers, conte di Artois e di Fiandre e signore di Salins, di Mechelen e di altri luoghi dal 1404 alla sua morte.
Al momento della successione, il nuovo duca aveva trentatré anni.
Filippo l’Ardito, per stringere un’alleanza fruttuosa con la Casa di Baviera-Hainaut, aveva negoziato, favorevolmente per la Borgogna, il matrimonio del giovanissimo Giovanni, con Margherita, figlia di Alberto I di Baviera-Hainaut, facendo così acquisire per il futuro diritti su Hainaut, Olanda, Zelanda e Frisia occidentale.
Fig. 3
Quando Giovanni succedette a suo padre, continuò con fermezza la sua stessa politica di espansione, consolidando le basi di uno stato borgognone, attuando innanzi tutto una politica matrimoniale: negoziò infatti il matrimonio di suo fratello Antonio duca di Brabante con Elisabeth de Goerlitz, duchessa di Lussemburgo. Con questo matrimonio i duchi di Borgogna stendevano un ponte tra i loro paesi settentrionali e quelli della Borgogna a Sud.
Quando nel 1415 Antonio morì, combattendo nella battaglia di Azincourt nelle file dell'esercito francese, suo figlio Giovanni IV gli succedette come duca di Brabante; nel 1418, questo giovane principe sposò Jacqueline o Giacomina di Baviera, figlia del conte Guglielmo IV di Hainaut-Holland, già cognato di Giovanni Senza Paura. Guglielmo IV era appena morto e Jacqueline era la sua unica erede.
A questo punto è però necessario fare un passo indietro e rivolgere il nostro sguardo su Parigi, vale a dire sulla Francia.
Nel 1388, il ventenne re Carlo VI aveva recuperato di fatto il trono, lasciato per la sua minorità nelle mani dei suoi zii paterni, i duchi d'Angiò, di Berry, di Borgogna e dello zio materno il duca Luigi II di Borbone.
Fig. 4
Il giovane re, ottenuto il potere, continuò le riforme dello Stato già intraprese dal padre, e si diede all’organizzazione di feste grandiose, specialmente in occasione del suo matrimonio con Isabella di Baviera.
Fig. 5
Il povero Carlo però, dal 1392 incominciò a soffrire di gravi disturbi mentali e diventò sistematicamente vittima di attacchi di dissociazione mentale, che peggioravano di anno in anno.
I suoi zii ripresero allora il potere, ognuno di loro cercando come durante la minorità del re di far prevalere i propri interessi, ma la figura preminente di questo consiglio di reggenza rimase comunque quella del duca Filippo di Borgogna che sapeva tenere a bada il giovane, ambizioso e spendaccione duca Luigi d’Orleans, fratello minore del re ammalato.
Fig. 6
Alla morte però del duca Filippo nel 1404, suo figlio Giovanni  non riuscì a godere dello stesso ruolo di primo piano di cui aveva goduto suo padre nel Consiglio Reale in qualità di zio del re. La follia di Carlo VI rese la sua corte il luogo ideale di intrighi tra i principi di sangue reale cioè i figli e i nipoti discendenti maschi da un capostipite sovrano di Francia, che nel caso specifico erano i discendenti di Filippo VI di Valois.
Fin dall'inizio della malattia mentale di Carlo VI, due campi si erano battuti per il controllo del consiglio di reggenza: quello guidato da Filippo di Borgogna, il potente zio del re, e quello dell’ambiziosissimo Luigi I d'Orléans, fratello di Carlo VI. Dopo la morte di Filippo l’Ardito però, l’influenza di Luigi d'Orléans sul consiglio di reggenza crebbe molto e nella stessa misura diminuì il potere del nuovo duca di Borgogna Giovanni.
La lotta per il potere tra i due duchi d'Orleans e di Borgogna scoppiò con una violenza tale che la feudalità francese si divise in due campi avversi. La situazione si aggravava ulteriormente perché i delfini che la regina Isabella aveva partorito purtroppo morivano l’uno dopo l'altro, pertanto il duca d'Orleans cominciava a cullare il sogno che un giorno sarebbe salito lui al trono e, nel frattempo, prendeva posto nell’alcova della regina.
All'inizio, la disputa fra i due cugini rispettò, o per lo meno cercò di rispettare, delle forme cortesi, ma l'odio tra due i rivali era troppo profondo e gli interessi in gioco troppo alti.
Giovanni non beneficiava dello stesso ruolo svolto dal padre, essendo soltanto un cugino del re, ma era bisognoso quanto il padre delle finanze reali per espandere ulteriormente il suo principato, i suoi interessi si scontravano però con quelli del duca d'Orleans.
Ridimensionato nel consiglio di reggenza, Giovanni giunse a marciare su Parigi e poi a progettare nel 1407 l'assassinio di Luigi d'Orléans: finanziando però l'omicidio di suo cugino, fece precipitare il Regno di Francia in una sanguinosa guerra civile tra gli Armagnacchi – sostenitori della Casa d'Orléans, che desideravano vendicare l'assassinio del duca Luigi, dapprima guidati dal giovane Carlo d’Orleans, figlio del duca assassinato, e successivamente da suo suocero Bernardo VII d'Armagnac –, e i Borgognoni riuniti dietro il duca Giovanni che in quel momento era il più potente feudatario di Francia.
Durante questa guerra civile, per circa un trentennio dal 1407 al 1435 le due fazioni si contesero la capitale e il controllo della reggenza di Carlo VI.
Oltre a queste rivalità dettate da interessi personali e dinastici, c’erano tuttavia anche sensibili differenze fra le due diverse concezioni di Stato e quelle in materia di religione, di economia e di diplomazia.
Questa guerra intestina indebolì molto la Francia, già in conflitto con l'Inghilterra nell’interminabile Guerra dei Cent'anni, dando a questo conflitto nuova linfa vitale e portando il nuovo re d'Inghilterra, Enrico V, grande statista, a cogliere l'occasione per rivendicare di nuovo i diritti che i Plantageneti inglesi vantavano sul trono di Francia.
Entrambe le fazioni cercarono il sostegno del potente sovrano inglese tanto che la guerra civile, insieme ai negoziati segreti condotti dalle due parti con Enrico V d'Inghilterra, rinfocolò nuovamente il conflitto anglo francese.
Enrico, progettò quindi una nuova spedizione e, sbarcato il 13 agosto del 1415 in una località vicina alla città francese di Harfleur, giunse dopo un mese di assedio a espugnare quest’importante piazzaforte, assicurandosi così una testa di ponte in Normandia. Il re inglese però intendeva raggiungere Calais, riprenderne il controllo e imbarcarsi poi per l’Inghilterra, ma l’esercito francese volle attaccare ad Azincourt e, approfittando della sua superiorità numerica, tentò di sbarrare la strada all'esercito del re d'Inghilterra.
La battaglia che ne seguì il 25 ottobre 1415 provocò una significativa sconfitta per l’esercito francese: la cavalleria pesante, resa meno efficace dal terreno fangoso e dalle trincee inglesi, fu trafitta da arcieri inglesi e gallesi, dotati di grandi archi a lunghissima gittata. L’esercito francese fu sgominato con l’ordine di Enrico V di non fare prigionieri e la battaglia si concluse con l'inaspettata e schiacciante vittoria dell’esercito inglese, nonostante le truppe francesi fossero molto superiori per numero e per cavalieri. Il più potente dei feudatari francesi, il duca Giovanni di Borgogna, era assente dalla battaglia: avrebbe voluto partecipare e aveva perfino mobilitato le sue truppe, ma il governo in quel momento guidato dagli Armagnacchi aveva da un lato ordinato al duca di Borgogna di inviare 500 uomini d'arme e 300 arcieri, ma dall’altro aveva fatto sapere che la sua presenza non era gradita. Giovanni senza Paura ordinò allora ai suoi vassalli di non andare in battaglia, un ordine che fu ovviamente disatteso infatti molti dei cavalieri francesi uccisi nella battaglia erano sudditi del duca di Borgogna, compresi i suoi fratelli Antonio di Brabante e Filippo de Nevers.
La battaglia di Azincourt, in cui la cavalleria francese era stata sonoramente sconfitta dai soldati inglesi in inferiorità numerica, è il simbolo della fine dell'epoca della cavalleria e dell'inizio della supremazia delle armi a distanza su quelle corpo a corpo. Questa battaglia segnò una svolta nell'arte della guerra in Europa: eserciti più maneggevoli e più articolati sconfiggevano masse eterogenee guidate dai propri feudatari dando retta solo al loro comandante e non al Connestabile del Regno sebbene fossero piene di coraggio e di nobiltà cavalleresca.
La disfatta della cavalleria francese di Azincourt, che seguiva quelle di Crécy del 1346 e di Poitiers del 1356, privò temporaneamente la Francia dei quadri dirigenti amministrativi e militari a causa dei numerosi uccisi anche tra gli ufficiali e i siniscalchi del re ed evidenziò la concezione superata che gli eserciti francesi avevano della guerra, in particolare del ruolo della cavalleria, mentre inglesi a occidente e ottomani a oriente avevano già organizzato eserciti uniti e disciplinati. I francesi, superiori in numero erano però incapaci di obbedire ad un unico comandante e come nella battaglia di Poitiers sessant'anni prima, avrebbero potuto avere interesse a negoziare con il re nemico, che nel frattempo data la disparità numerica aveva abbandonato il suo proposito di rivendicare la corona di Francia.
La sconfitta francese e il massacro voluto da Enrico V fu una delle cause principali di innesco della grande epopea di Giovanna d'Arco e, successivamente, dei grandi investimenti economici nel settore dell'artiglieria che sarebbe diventata una specialità francese nell’arte della guerra.
In seguito al massacro subito – prigionieri sgozzati, arsi vivi nei fienili dati alle fiamme – questa battaglia suscitò infine, nella popolazione francese un’anglofobia che alimentò un patriottismo preesistente in Francia fin dai tempi della battaglia di Bouvines e costantemente aumentata durante la Guerra dei Cent'anni.
Dalla sconfitta di Azincourt in poi, con la ventennale prigionia di Carlo d’Orleans, il partito degli Armagnacchi trovò un altro simbolo per il quale combattere e si schierò dalla parte del Delfino Carlo, il futuro Carlo VII, che in seguito al Trattato di Troyes era stato disconosciuto e diseredato dal re, (ciò implicitamente ammetteva la relazione della regina col defunto cognato), e la coppia reale aveva adottato come successore al trono Enrico V, in quanto fresco sposo della loro penultima figlia, la principessa Caterina di Valois.
Nel 1419, mentre Giovanni Senza Paura tentava una riconciliazione con la fazione degli Armagnacchi per respingere congiuntamente l'offensiva inglese, fu assassinato sul ponte di Montereau alla presenza del delfino Carlo.
L'assassinio di Giovanni Senza Paura portò i Borgognoni ad allearsi apertamente con gli inglesi e per tutto il Quattrocento quest’evento delittuoso rimase una condizione fondamentale nella discordia tra la Casa di Francia e la Casa di Borgogna.
Con quest’atto si concludeva la prima fase del governo dei duchi di Valois Borgogna e un’altra fase della Guerra dei Cent’anni che sembrava ormai non avere mai fine.
Come abbiamo già visto lo scorso anno, il primo centro della cultura borgognona legato ai Valois si era formato a Digione, ma non subito: Filippo l’Ardito, sentendosi inizialmente molto legato alla Francia, non si era quasi preoccupato del suo ducato. Gradualmente però, gli affari delle Fiandre e del Brabante lo avevano assorbito sempre più e questo rese la sua posizione più indipendente e più interessato ai suoi stati.
Contemporaneamente, il grande sviluppo dell'Arte nelle Fiandre aveva incominciato a sedurlo. Tra le varie commissioni artistiche di Filippo l’Ardito, il sito più importante era stato quello della Certosa di Champmol che sarebbe dovuto essere il sacrario dei duchi come Saint Denis lo era per i re di Francia.
Sempre lo scorso anno abbiamo visto anche diversi artisti olandesi rispondere agli inviti del duca e lasciare il loro paese per la capitale borgognona: i pittori Melchior Broederlam e Jean Malouel, e lo scultore Claus Sluter. Ed era stato proprio l'arrivo di Claus Sluter sul cantiere di Champmol che aveva provocato una vera e propria rivoluzione estetica, voltando le spalle alle forme flessuose ed eleganti del Gotico internazionale a favore di un nuovo stile monumentale più potente ed espressivo.
Mentre in Borgogna si preparava la strada dell’Arte fiamminga, in Francia, il massimo splendore del Gotico internazionale coincise proprio con il lungo e tormentato regno di Carlo VI (1380-1422).
Lo stile franco fiammingo non fu solo erede dello stile della corte e delle sue estensioni nell'arte a Parigi del primo periodo Valois, ma fu anche l’erede della grande arte senese di Simone Martini, assimilata come è noto attraverso la corte dei papi ad Avignone, e preannunciava i tempi nuovi della sua evoluzione nel realismo fiammingo con Robert Campin e Jan van Eyck.
Questi artisti franco-fiamminghi, tesero a creare un'arte di corte borgognona o, se si vuole raffigurando in maggiore misura soggetti biblici ed episodi della vita di santi, ma anche soggetti ispirati a opere poetiche profane, con un design elegante, un colore tanto più luminoso in quanto contrastava con lo scintillio degli sfondi dorati.
Tra Avignone e Bruges, quindi, la geografia politica e artistica dei quarantadue anni di regno di Carlo VI determinò una grande diffusione d’Arte, favorita dall'istituzione delle corti principesche d’Angiò, di Berry, di Borgogna e dai rapporti privilegiati fra i duchi e i territori dei loro rispettivi principati.
Tra il 1380 e il 1450, molti artisti nati nelle Fiandre erano giunti a lavorare in Francia, a Parigi come ad Angers, come a Bourges e come a Digione.
La sensibilità dei duchi verso una modernità realistica di origine italiana – proveniente dalla miniatura lombarda e dalle opere che i maestri italiani avevano lasciato ad Avignone – e soprattutto quella dell'acuta osservazione della natura degli artisti provenienti dalle Fiandre, diventarono le componenti fondamentali della miniatura franco-fiamminga dell’ultimo quarto del Trecento e del primo Quattrocento, che raggiunse una sintesi tra la tradizione aristocratica dei modi cortesi francesi e il gusto tipicamente olandese per un naturalismo molto più sensibile e per un'espressione di chiara estrazione borghese.
Ma accanto al grande mecenatismo dei duchi, ciò che fece aumentare il valore dell’Arte dipese dal fatto che la creazione di un'opera di qualsiasi importanza richiedeva spesso un concorso di talenti e anche rapporti di collaborazione fra le varie specialità artigianali.
Tecniche complesse e costose come arazzi, vetrate, oreficeria, ebanisteria o libri miniati coinvolgevano varie figure in interazione: per esempio quando intorno al 1375, il duca Luigi I d'Angiò ordinò il celeberrimo Arazzo dell'Apocalisse, si rivolse a Nicolas Bataille, un mercante che gestiva con competenze tecniche d’avanguardia laboratori di tessitura a Parigi, poi chiamò Jan Bondol di Bruges, il pittore di suo fratello il re Carlo V, per creare i cartoni preparatori, infine spettò ai tessitori di Arras interpretare il modello disegnato da Bondol con i fili di lana colorati.
Il regno dell’infelice Carlo VI presenta un curioso paradosso.
Politicamente, fu uno dei periodi più turbolenti della storia di Francia: la follia del re che rendeva la corte un covo di vipere, il Grande Scisma che dilaniava la cristianità occidentale con la sua successione di papi e di antipapi, la guerra civile tra Borgognoni e Armagnacchi che dilaniò internamente la Francia, le rivolte nelle strade di Parigi, il ritorno della peste, la sconfitta di Azincourt e l'occupazione inglese gettarono il Paese nel caos.
Ma artisticamente, quei quarant'anni furono un periodo magico.
La fioritura delle arti fu straordinaria e in parte era legata proprio alle stesse cause della crisi politica: la rivalità dei principi che si contendevano il potere effettivo portò a un'emulazione nello splendore quasi regale di cui essi amavano circondarsi, spesso indebitandosi fortemente. Il moltiplicarsi dei mecenati che, come figli, fratelli o zii di re, erano in grado di competere con lo stesso mecenatismo regio. I più famosi fra questi principi erano quelli della generazione di Carlo V: i suoi fratelli Luigi I d'Angiò, Giovanni di Berry e Filippo l’Ardito, duca di Borgogna, e in parte anche suo cognato Luigi II, duca di Borbone. Nel loro mecenatismo, ebbero un illustre modello proprio nel defunto re Carlo V, che era stato un abile collezionista di manoscritti, un amante delle pietre preziose e un grande costruttore.
Nella generazione successiva ci furono il re Carlo VI e la regina Isabella di Baviera, il fratello del re Luigi d'Orléans e i loro cugini, Luigi II d'Angiò e Giovanni di Borgogna.
I principi della famiglia di Valois, le loro mogli e i loro figli erano instancabili mecenati. La loro domanda stimolò tutte le forme di artigianato a Parigi, di cui essi erano clienti tanto più attivi in quanto risiedevano più spesso nelle loro residenze parigine che nei loro principati.
Gli antagonismi tra i grandi signori non devono tuttavia far dimenticare l'importanza che essi attribuivano ai legami familiari e agli affetti che li univano: legami politici e alleanze si manifestavano con frequenti scambi di doni, specialmente sotto forma di omaggi e molti pezzi di oreficeria e altrettanti manoscritti miniati furono commissionati appositamente per questa finalità.
Le commissioni di Filippo l’Ardito e poi di Giovanni senza Paura fecero di Digione la loro residenza principesca e della Certosa di Champmol un centro di creazione che non solo ha lasciato ai posteri un gran numero di dipinti ma, coloro che lavorarono nell’ambiente di Champol diffusero in altre regioni circostanti lo stile che avevano appreso in Borgogna.
Gli artisti ufficiali dei duchi di Borgogna si susseguirono con una tale continuità che si potrebbe anche parlare di una vera e propria scuola
Osserviamone la cronologia.
Nel 1375 Filippo l’Ardito assunse Jean de Beaumetz che era già stato al servizio di Giovanni d'Orléans.
Di origine nordica, Jean de Beaumetz si era formato anche lui nell'ambiente parigino ed era stato il leader di una nuova generazione delle Fiandre. Decorò i castelli di Argilly e Germolles e dipinse tavole e pale d'altare per i monaci della Certosa di Champmol. Intorno al 1375, Jean de Beaumetz dipinse il Calvario alla certosa.
Fig. 7
Quando morì nel 1396, Jean Malouel gli succedette nel favore di Filippo l’Ardito.
Jean Malouel, zio dei fratelli di Limburgo e pittore alla corte di Borgogna, partecipò alla decorazione della Certosa di Digione, ma lavorò anche a Parigi e all’incirca nel 1400 dipinse la Grande Pietà Rotonda.
Fig.8
In questo meraviglioso tondo, forse il primo nella Storia dell’Arte occidentale, il bellissimo corpo di Cristo è trattato con la massima delicatezza pittorica. Il dolore degli angeli e il sangue che gocciola dalle ferite aperte servono a commuovere i fedeli, ma la preziosità gotica dei gesti sfugge a qualsiasi senso morboso.
In alcuni punti, l'applicazione dei colori è straordinariamente raffinata. Il pittore utilizzò altre lacche trasparenti e nuovi leganti: questo fu un periodo di transizione verso un rinnovamento delle tecniche pittoriche che avrebbe raggiunto il suo apice pochi anni dopo con l'arte dei fratelli van Eyck. Sul retro, il dipinto reca lo stemma di Borgogna, segno della commissione ducale.
Questo dipinto, assolutamente di rara bellezza, era probabilmente destinato alla certosa di Champmol e oggi è esposto al Museo del Louvre.
Ancora di Jean Malouel la Vergine col Bambino, realizzata all’incirca fra il 1410 e il 1412, nota anche come la Vergine delle Farfalle è esposta nella Gemäldegalerie a Berlino.
Fig. 9
Questo dipinto era probabilmente la controparte di un ritratto di Giovanni Senza Paura ora perduto.
Le farfalle, da cui il dipinto prende il titolo, svolazzavano sullo sfondo scuro. Jean Malouel in quest’opera combina la monumentalità dei personaggi principali con la delicatezza dei dettagli decorativi, come le farfalle e i cherubini rossi sullo sfondo. Il suo modo di trattare volti e mani ricorda ancora i modelli italiani. Per la figura monumentale della Vergine Maria che domina la composizione Malouel si ispirò alle grandi figure plastiche di Claus Sluter, che conosceva bene poiché era responsabile della policromia e della doratura delle statue della Certosa di Champmol.
Henri Bellechose fu l'autore, intorno al 1415, della memorabile Pala d'altare di Saint Denis dipinta per la chiesa della Certosa di Champmol che, com’è noto, era posta sotto il titolo della SS. Trinità.
Da quel momento Bellechose diventò il pittore ufficiale di Giovanni senza Paura
Fig. 10
Oggi la pala si trova a Parigi, nel Museo del Louvre.
Nativo di Breda, nei Paesi Bassi, Henri Bellechose ricoprì la carica di pittore ufficiale alla corte di Borgogna dal 1415 al 1445, succedendo al suo maestro Jean Malouel, ma, dopo un inizio molto promettente, ricevette poche commissioni ducali forse per le controverse vicende politiche nelle quali era coinvolto il duca di Borgogna.
Nelle scene della vita di Saint Denis, il leggendario primo vescovo di Parigi, santo patrono di Francia e protettore speciale della casa reale a cui appartenevano anche i duchi di Borgogna, Bellechose volle essere fedele allo stile locale e utilizzò ampiamente l'oro per raffigurare tessuti preziosi e dettagli ispirati alla tradizione di corte. Il blu e l'oro dei paramenti liturgici sono un'evidente allusione ai colori del giglio francese.
L'intensità delle espressioni dei personaggi è il contributo più originale di Henri Bellechose alla pittura borgognona.
La sua coloritura chiara e brillante è quella di un miniaturista e le somiglianze con le Ore del Duca di Berry e la Bibbia moralizzata per Filippo l’Ardito: entrambi codici ci conducono all'ambiente dei fratelli di Limburgo.
Ai lati di Cristo in croce, assistito dall’Eterno Padre e dallo Spirito Santo, sulla lato sinistro Saint Denis riceve nella sua prigione l'ultima comunione dalla stessa mano di Cristo e sulla destra subisce il martirio insieme ai suoi due compagni, Rustico ed Eleuterio.
È però Melchior Broederlam di Ypres ad occupare un posto fondamentale come anticipatore dei fiamminghi del Quattrocento: nel 1395, dipinse due famosi pannelli per una pala d'altare di Champmol. La suprema eleganza del design e dei colori collocano le sue due tavole all'apice della pittura del Gotico internazionale e nello stesso tempo all’inizio della prima pittura fiamminga. I suoi paesaggi, che segnano l'inizio della pittura fiamminga, denotano un artista fantastico.
Fig. 11
Fig. 12
Nel 1395, Melchior Broederlam, pittore e valletto di camera di Filippo l’Ardito, era stato incaricato di dipingere le portelle esterne di una pala d'altare per la Certosa di Champmol a Digione. Attraverso la bellezza dei colori e la ricchezza dei soggetti, Melchior Broederlam si innalzò al di sopra della severità e della solennità e sviluppò invece un mondo colorato. Se la raffigurazione del tempio ricorda il celebre dipinto di Ambrogio Lorenzetti nel 1342, la ieraticità della composizione in questo caso è arricchita da molti dettagli e da un'architettura delicata. Nel paesaggio adiacente alle figure umane, Broederlam è andato oltre tutti gli usi comuni delle pale d'altare. Un paesaggio così ricco o motivi così raffinati della pittura di genere, appartengono più alla miniatura e alla pittura riservata all'uso domestico. Qui, la diversità dei livelli, la novità e persino gli aspetti contraddittori del bello stile si manifestano molto chiaramente all'interno dello stesso dipinto.
Siccome la Borgogna era uno snodo tra Avignone, l'Italia e le Fiandre, i pittori dei duchi, pur avendo ancora molti legami con Parigi da cui essi più o meno direttamente discendevano, dal momento in cui soggiornarono a Digione, adottarono uno stile comune specifico della corte borgognona.
Al cosiddetto Maestro della Piccola Pietà Rotonda è attribuita anche La Deposizione dell'inizio del Quattrocento del Museo del Louvre.
Fig. 13
In questo piccolo pannello di devozione privata, la figura raffigurata a sinistra con in mano un barattolo di unguento quasi sicuramente di mirra è probabilmente il duca Jean di Berry, il cui volto è abbastanza riconoscibile. Questo dipinto rivela un nuovo aspetto dell’iconografia della Deposizione del primo Quattrocento: l'introduzione dei fedeli al centro della scena sacra.
Un pittore Anonimo intorno al 1420 dipinse una bella Pala della Crocifissione con le SS Barbara e Caterina detta anche Pala dei Conciatori considerata a lungo la testimonianza più importante dell'arte di Bruges intorno al 1400.
Questa pala, ora conservata nel tesoro della Cattedrale del SS. Salvatore proveniva dalla sala riunioni della Corporazione dei conciatori di Bruges. Sebbene mostri interessanti concordanze ancora con il Gotico internazionale, non esiste un'opera simile fino a quel momento nell'arte di Bruges.
Questa pala ha il pregio di essere uno dei dipinti più antichi conservati a Bruges ed è un esempio notevole della produzione artistica delle città fiamminghe dell'epoca, in cui lavoravano artisti come Broederlam, che in seguito continuarono a offrire i loro servizi alle corti principesche.
Dopo l'assassinio di Giovanni Senza Paura nel 1419, quando il ducato intraprese una politica ormai autonoma e focalizzata principalmente sulle Fiandre, l'influenza dell'arte internazionale di Parigi lasciò definitivamente il posto al nuovo prestigio di Van Eyck.
                                                  Massimo Capuozzo

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