mercoledì 3 gennaio 2024

L'ora del Realismo: l'Impressionismo sesto racconto di Massimo Capuozzo

Luigi Napoleone Bonaparte, eletto Presidente della Repubblica dopo i moti del Quarantotto, con la sua politica ultra conservatrice fece ripristinare ben presto la giuria a causa degli esiti negativi del precedente Salon quando, in seguito alla Rivoluzione e ai moti di giugno, la giuria era stata abolita.
In campo artistico questo ripristino fu una vera e propria rivincita per l'Arte accademica sempre più conservatrice, sempre più strettamente regolamentata nei soggetti e nella loro esecuzione e sempre più rigidamente ordinata secondo la gerarchia dei generi.
Nel corso della seconda metà secolo, il sistema fu sfidato da un numero sempre crescente di pittori, in particolare da artisti realisti come Honoré Daumier (1808 – 1879), Jean-François Millet (1814 – 1875), Gustave Courbet (1819 – 1877) e da altri ancora, oggi meno noti di loro.
Diversamente dalle placide certezze dell'arte vittoriana in Inghilterra e dalla nostalgia del Biedermeier tedesco (1810 - 1860), l'arte francese era invece in pieno fermento, segnata com’era da una serie di movimenti spesso contraddittori fra loro, tra cui il Classicismo, il Romanticismo, l’Orientalismo, il Realismo e il Naturalismo barbisonnier – da cui sarebbero poi emersi l'Impressionismo e altri grandi stili dell'arte moderna.
Lo scontro dell'arte accademica con il Realismo sorse perché la pittura realista si concentrava molto su questioni attuali come le condizioni sociali, la povertà rurale e la vita della gente comune, mentre il sistema accademico considerava questi soggetti banali indegni di essere rappresentati e li aborriva.
Politicamente poi, con il colpo di stato di Luigi Napoleone Bonaparte nel dicembre del 1852, la Seconda Repubblica fu dichiarata ufficialmente conclusa e Bonaparte si proclamò imperatore col nome di Napoleone III, ponendosi come terzo in linea di successione dei napoleonidi.
Durante la prima metà dell’Ottocento in Francia, le due scuole che andavano per la maggiore nella pittura, il Romanticismo e il Classicismo – rispettivamente simboleggiate da Eugène Delacroix (1798 – 1763) e da Jean August Dominique Ingres (1780 – 1867) – pian piano incominciavano a cedere il passo a un vivo interesse per il valore sociale dell'Arte e per il desiderio della rappresentazione del mondo così com’è e si incominciava inoltre a discutere anche sulla funzione dell’Arte.
Contemporaneamente la filosofia di Auguste Comte (1798 – 1857), fondatore del Positivismo francese, influenzò anche la concezione estetica. Comte sosteneva che solo le cose che possono essere osservate o sperimentate possono essere conosciute e considerate con un sistema scientifico, più che filosofico, un sistema che escludeva qualsiasi apparato metafisico. In base a questo sistema, l'artista doveva descrivere accuratamente, cioè attraverso una riproduzione dettagliata e quanto più fedele possibile, gli oggetti della natura così come li vedeva, piuttosto che lasciarsi coinvolgere dalla sua immaginazione nella creazione di un mondo.
Come si vede, era un colpo mortale per il pensiero idealistico romantico. Da questo punto di vista emerse un'Arte che rifiutava il suo ruolo tradizionale di creazione di bellezza ideale (bambini carini, strade pulite, paesaggi pittoreschi popolati da contadini soddisfatti, e quant’altro proponesse una visione edulcorata e contraffatta della realtà) e si rivolgeva invece a nuovi soggetti della vita quotidiana per rappresentarli senza alterarli in alcun modo, quindi fotograficamente.
Su questo avverbio ci sarebbe però oggi moltissimo da discutere.
Fu Gustave Courbet, nella fondamentale mostra nel 1855 da lui stesso allestita, a dare a questo nuovo movimento artistico il titolo di Realismo e con i suoi amici ne gettò le basi teoriche.
Il Realismo, compreso quello di Courbet, fu tuttavia il culmine di molte tendenze artistiche in Francia alla metà dell’Ottocento, in parte provenienti dalla preoccupazione romantica per la natura, che però, nel corso dei primi decenni del secolo, era andata smarrendosi, e in parte anche di quanto di ambiguo ci fosse nel Romanticismo che si incardinava – e questo è necessario tenerlo presente – su due elementi antitetici, la fantasia e la realtà.
Gli artisti incominciarono allora a rappresentare ciò che di reale e di vero c’era nella vita che vedevano intorno a loro e questo diede all'Arte una nuova connessione sociale: il fine dell’Arte diventava pertanto la vita, all'opposto di ciò che sostanzialmente caratterizzava il Classicismo per il quale il fine dell’Arte era l'Arte stessa.
Nel 1855 Napoleone III volle con molta determinazione la seconda Esposizione Universale a Parigi, dopo quella che si era tenuta a Londra nel 1851: era la grande occasione per celebrare davanti al mondo la grandeur della Francia e in quella circostanza la grande rassegna internazionale comprendeva anche l’annuale Salon.
Generalmente gli anni Cinquanta dell’Ottocento in Francia sono considerati soprattutto gli anni del Realismo, una linea guida della cultura francese in tutti i settori, compresa la cinica Realpolitik, adottata in politica da Napoleone III.
Come corrente artistica innovativa, il Realismo emerse a metà del secolo a prima vista come reazione alle rappresentazioni idealizzate e romantiche che caratterizzavano il mondo nell'Arte e che invece ricercavano la rappresentazione del presente in tutta la sua cruda e talvolta spiacevole realtà.
I realisti diedero così vita a un nuovo stile, esteticamente concreto e nello stesso tempo socialmente impegnato, e proclamarono a gran voce la loro differenza con i romantici, la loro ricerca della realtà vera e l'esplorazione di temi sociali, senza mai però farsi imitazione pedissequa della realtà: il loro motto era infatti “l’Arte non è imitazione della realtà, ma è la realtà stessa”.
La corrente realista fece implodere i canoni e gli usi della pittura accademica, in un contesto in cui emergevano la fotografia, il Socialismo e il Positivismo, e diede il via al fenomeno generale di messa in discussione delle categorie estetiche tradizionali e delle gerarchie artistiche.
È tuttavia abbastanza difficile stabilire un confine netto tra Romanticismo e ‘Realismo’ in pittura, non solo perché l’elemento fondante della realtà era già ricercato come elemento essenziale dai romantici, ma anche perché i principali pittori realisti non furono mai i fotografi delle cose, ma i poeti della realtà nel senso che seppero elevare a forma d’arte il tanto bistrattato quotidiano.
A testimonianza di questa grande complessità, Charles Baudelaire scrisse: “ogni buon poeta era sempre stato un realista […] e [che] la poesia era la cosa più reale e più completamente vera”. Viceversa per Paul Valéry, i pittori realisti “si adoperavano a descrivere gli oggetti più comuni, a volte i più vili, con una raffinatezza e con una virtù piuttosto ammirevole; ma non si accorgevano che essi uscivano dal loro principio guida e che finivano per inventare un'altra "verità", una verità da loro stessi creata, del tutto fantastica.” Un’idea discutibile questa di Valéry, ma coerente con il suo pensiero individualista in base al quale la figura dell'artista come puro essere razionale è solo un'astrazione e insieme un paradosso.
Prima di addentrarci nelle idee guida del Realismo occorre fare una riflessione di carattere più generale perché, oltre a essere stata una corrente culturale che si è sviluppata alla metà dell’Ottocento in letteratura e nelle arti figurative e, come tale, una nuova visione del mondo, il realismo è anche una categoria perenne dello spirito umano.
Come corrente il Realismo si riferisce a uno specifico movimento storico artistico che ebbe origine in Francia all'indomani della Rivoluzione parigina del 1848 ma, come categoria dello spirito, la rappresentazione del reale in Occidente, fin dai tempi di Omero, è sempre stata una delle preoccupazioni più impellenti non solo delle arti figurative, ma anche della letteratura, tanto che il realismo è una di quelle categorie estetiche che hanno attraversato e che continuano ad attraversare diacronicamente tutta la cultura occidentale e che carsicamente riaffiorano. Ciò che cambia ad ogni sua emersione è la nozione stessa che quell’epoca ha della realtà: a volte è la realtà spirituale – non meno autentica dell'altra – a prevalere su quella materiale, altre volte è la realtà materiale a prevalere su quella spirituale. A seconda che la forma sia svuotata del suo contenuto di “anima”, o che, al contrario, tenda a materializzarsi, il “realismo” si avvera in misura maggiore o minore nell'Arte e nella Letteratura.
Nelle arti di qualsiasi tipo, siano esse quelle visive, quelle letterarie o quelle dello spettacolo, il realismo è generalmente il tentativo di rappresentare un argomento in modo veritiero, senza artificiosità ed evitando elementi speculativi e soprannaturali.
Il termine realismo è spesso usato in modo intercambiabile con quello di naturalismo, sebbene questi due termini non siano sinonimi. Il naturalismo, come idea relativa alla rappresentazione visiva nell'arte occidentale, cerca di rappresentare oggetti con la minima distorsione possibile ed è legato allo sviluppo della prospettiva lineare e dell'illusionismo nell'Europa rinascimentale. Nell'Europa dell’Ottocento, il termine "naturalismo" fu in qualche modo eretto artificiosamente come termine che rappresentava un sotto movimento separatista del Realismo, che tentava, non con totale successo, di distinguersi dal suo genitore, evitando la politica e le questioni sociali, e amando sottolineare una sua base quasi scientifica, giocando sul significato di naturalista come studioso di Storia naturale, come erano allora generalmente conosciute le Scienze biologiche.
Il movimento realista francese di metà Ottocento era proprio quella terza via auspicata dal gruppo di intellettuali che con Gustave Courbet frequentava la birreria Andler-Keller e quindi nacque come reazione all'estetica neoclassica e a quella romantica che in quel momento dominavano la scena con i loro ideali estetici, l’una con i suoi temi mitologici e l’altra con una rappresentazione idealizzata della realtà.
Naturalmente però, ed è bene chiarirlo, l’estetica romantica era intesa come la intendevano gli accademici pertanto si trattava di un “Romanticismo” molto addomesticato rispetto alla prescrizione fondante della corrente che sosteneva una composizione di getto.
Il Realismo emerse dal contesto sociale e politico dell'epoca: siamo nei paraggi del 1848, caratterizzato dai radicali cambiamenti economici e sociali suscitati dalla rivoluzione industriale, dall'ascesa del capitalismo, dalle lotte sociali e politiche e dalla diffusione della fotografia.
Questi cantori della realtà cercavano di ritrarre la vita quotidiana, la classe operaia e i contesti in cui questa classe viveva e agiva, adottando un approccio scientifico all'osservazione e alla rappresentazione della realtà.
È ovviamente scontato quanto il Realismo sia stato influenzato dalle teorie politiche del Socialismo e da quelle scientiste del Positivismo che cercava di applicare un metodo sistematico all'osservazione della realtà sociale.
Inoltre, siccome nulla nasce dal nulla, i realisti francesi ritenevano di avere dei padri, dei maestri e dei precursori nei pittori olandesi e nei pittori spagnoli del Seicento, ma anche in Goya, stranamente non in Caravaggio che viveva il suo lungo oblio prima della sua clamorosa riscoperta a inizio Novecento. Olandesi e spagnoli avevano cercato di rappresentare soggetti quotidiani e di catturare la verità della condizione umana.
Il movimento, diventato poi una vera e propria corrente con i propri testi estetico-critici, fu lanciato molto clamorosamente nel 1855, proprio in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi, anche se le sue prime avvisaglie erano stata percepibili già nel 1836 quando la Scena dell'Amleto di Eugène Delacroix (1798 – 1863) fu rifiutato al Salon: si trattava della prima battuta d'arresto nelle fortune dell'arte romantica. Nel 1846, poi, Charles Baudelaire, reduce dalla visita del Salon di quell’anno, aveva scritto: “Accademismo, idealismo, idealizzazione. La verità nell’arte e il colore locale hanno portato molti fuori strada. Il realismo esisteva già molto prima di questa grande battaglia […]. Il romanticismo non è pertinente né nella scelta dei soggetti né nell'esatta verità, ma [solo] nel modo di sentire”. Il termine realismo come concezione estetica si era dunque affacciato nella lingua francese poco prima della metà dell’Ottocento e il dibattito tra i due diversi modi di rappresentare l’esistente, se idealmente o realmente, aveva preceduto l’emergere stesso del movimento: il fondatore del Realismo in pittura è tuttavia considerato per convenzione Gustave Courbet (1819 – 1877), che sviluppò piuttosto rapidamente dal 1848, uno stile caratterizzato dalla sua attenzione ai dettagli e dalla rappresentazione oggettiva dei contenuti.
Giunto dalla provincia diciannovenne, il giovane Courbet, era stato influenzato da ‘Delacroix’, da ‘Géricault’ e da ‘Constable’, che riteneva i suoi grandi maestri, era diventato amico di Baudelaire con cui spesso era impegnato in fervide discussioni estetiche ed era politicamente impegnato perché era rimasto profondamente segnato in senso socialista dalla rivoluzione del 1848, spartiacque della politica e della cultura europea.
Ma quali sono in sintesi le caratteristiche su cui si fonda questa grande rivoluzione estetica del “Realismo”?
La prima è una pars destruens nel senso che il Realismo ovvero i realisti reagiscono al Romanticismo accusandolo di eccessivo sentimentalismo e all’Accademismo accusandolo di eccessiva idealizzazione.
Da questo elemento di dissenso deriva tutta la pars construens della sua estetica a partire dalla sua finalità di dipingere la vita così com'essa è, la quotidianità e il tempo presente, diversamente dal tempo passato del Romanticismo e dal tempo ideale del Classicismo, affermando invece la necessità di riflettere sui grandi sconvolgimenti storici che stavano cambiando il mondo: la rivoluzione industriale, il capitalismo e l'instaurazione definitiva dell’imperialismo liberticida e su tutte le gravi conseguenze derivanti da questi fenomeni.
Da questo fine che il Realismo si proponeva, derivano poi i suoi temi preferiti: le scene ordinarie, quelle del quotidiano con un insieme sociale variegato e nello stesso tempo organico di elementi sempre connessi fra loro come la vita contadina e quella operaia: le differenze fra classi sociali, le scene di lavoro, i paesaggi urbani o rurali, i ritratti di lavoratrici e lavoratori all’opera, scene di vita domestica, ma anche l'alcolismo e la prostituzione e perfino soggetti politico-sociali.
A causa di questi soggetti rappresentati i realisti ricevevano spesso l’accusa di volgarità. Il problema però è che non era volgare la loro arte e, se alla borghesia egemone non piaceva, era perché a quella borghesia non piaceva la realtà che questi artisti si ostinavano a rappresentare.
Da questo elemento tematico deriva poi il modo con cui i realisti dipingevano: si trattava della rappresentazione naturalistica del vero per cui era necessario un approccio scientifico all'osservazione della realtà e l’opera d’Arte si doveva basare su uno studio attento anche degli oggetti raffigurati per catturarne ogni dettaglio della consistenza e della forma. Alcuni artisti realizzavano molti schizzi e studi preliminari prima di incominciare il dipinto vero e proprio in modo da garantire una grande precisione nella composizione finale, ma questo avveniva secondo i precetti tradizionali della pittura, altri sperimentarono nuove tecniche, come l'uso della fotografia per facilitare la composizione delle loro opere. Questa attenzione ai dettagli e alla tecnica permise loro di creare opere sorprendentemente concrete e vere, che spesso sono considerate veri e propri documenti storici della vita quotidiana dell'epoca.
L'invenzione della fotografia svolse un ruolo importante nello sviluppo tecnico del Realismo: prima della scoperta di questo strumento ottico, gli artisti, si è detto del loro grande lavoro preparatorio, dovevano soprattutto affidarsi alla loro memoria per creare immagini di vita reale, la fotografia invece offriva loro un’alternativa accurata e fedele per la cattura della realtà.
Altro elemento fondamentale del Realismo fu l’interesse per la scienza che influenzò gradualmente la visione di autori e di teorici – nel caso dell’Arte di Champfleury, nel campo della Letteratura dai fratelli de Goncourt a Zola – che imposero alle loro opere un'esigenza rigorosamente scientifica nell'osservazione del reale a cui corrispondeva sempre la grande attenzione alla tecnica pittorica con regole che potessero permettere loro di riprodurre poi fedelmente le superfici, i colori e le forme degli oggetti. Si servivano di tecniche pittoriche attente e precise, come la pittura a olio che com’è noto permetteva di creare effetti di luce e di consistenza molto realistici.
L’interesse di mostrare la bellezza e la passione degli aspetti più semplici e più modesti della vita, resi quanto più precisi e dettagliati possibile, creò comunque opere di grande bellezza e contribuì anche al riconoscimento del valore estetico di soggetti fino a quel momento considerati privi di interesse. Anche in questo modo i realisti denunciavano l’accademismo come camicia di forza tematica che limitava la libertà dell’artista.
Date queste premesse, occorre ricordare che i vari aspetti di questa rivoluzione si materializzarono gradualmente, e si giunse a una rottura radicale nel 1855, pietra miliare del Realismo.
In quel momento Parigi brilla con una luminosità appariscente: ristoranti alla moda, cabaret e teatri offrono lo spettacolo di una società ricca e desiderosa di divertimento. La Rivoluzione industriale produceva ricchezza e le fortune economiche si facevano e si disfacevano in borsa. Si spende generosamente e l’Arte era diventata straordinariamente un fenomeno alla moda un vero e proprio social symbol.
Dopo Londra, Parigi ospita l’Esposizione Universale inserendo per la prima volta in quel contesto il Salon delle Belle Arti.
Durante la serata di apertura il nome di Gustave Courbet era sulla bocca di tutti nel bene e nel male. Anche se molte delle sue opere erano esposte, il dipinto che aveva appositamente creato per il Salon L'Atelier del pittore era stato respinto dalla giuria con altri due quadri, Le Bagnanti e Un funerale a Ornans. Di fronte a questa esclusione delle sue tre tele Courbet, che non era un tipo arrendevole, – sarebbe stato un “barricadero” durante la ‘Comune’ nel 1871 e sarebbe finito in carcere in nome delle sue idee socialiste, era quindi inimmaginabile che si desse per vinto – decise allora di organizzare una propria mostra personale e fece costruire a sue spese, lui che poteva permetterselo, il Padiglione del Realismo a margine dell'Esposizione Universale, per esporre i tre quadri con altre trentasette sue opere che si allontanavano dalla tradizione, dai soggetti mitologici e storici e dall'arte sacra, in favore di soggetti popolari.
Courbet intitolò la sua mostra Le Réalisme, par Gustave Courbet, che richiamò e attrasse stampa e pubblico e che lanciò la sua carriera come leader del movimento realista.
Questa mostra, nel cui titolo utilizzava il termine realismo per indicare la cifra della propria pittura in netto dissenso con il sistema accademico, rappresentò un manifesto artistico e scatenò una vivace polemica sui giornali.
Le sue opere suscitarono aspre critiche e infuocate polemiche nel mondo artistico parigino. Il Funerale a Ornans suscitò accalorati attacchi perché sfidava le convenzioni artistiche dell'epoca e criticava la rappresentazione idealizzata della realtà, e fu accusato di trivialità dell'insieme, per la bruttezza dei personaggi rappresentati e per la spudoratezza dello stesso artista. Per giunta – eresia delle eresie! – il sanguigno Courbet si era voluto servire di un formato grande, considerato appannaggio esclusivo della pittura storica, il genere considerato più alto e nobile.
Jules Champfleury’ (1821 – 1889) invece apprezzò vivamente il dipinto e profeticamente predisse che “Funerale a Ornans” avrebbe simboleggiato “le colonne d'Ercole del Realismo nella storia moderna”.
Le bagnanti aveva già fatto scandalo al “Salon” del 1853 per il suo carattere decisamente provocatorio, perché Courbet era determinato a prendere le distanze dalla produzione ufficiale attraverso le sue proposte, tra cui quest'opera. Il dipinto era stato attaccato unanimemente dalla critica, per la trascuratezza della scena, per la massiccia natura del nudo, si trattava infatti di una grassona, in opposizione ai canoni ufficiali delle Veneri al bagno.
In ogni caso tutti i dipinti di Courbet furono generalmente criticati per il loro crudo realismo e per la rappresentazione di soggetti considerati sgraditi o offensivi, come contadini, operai, prostitute e cadaveri. Per esempio lo scrittore Maxime du Camp (1822 – 1894) scrisse che Courbet dipingeva quadri come si incerano gli stivali e il pittore e critico d'arte Étienne-Jean Delécluze (1781 – 1863) evidenziò il concetto e rincarò la dose, affermando che “il realismo è un sistema ‘selvaggio’ di pittura in cui l'arte è degradata e avvilita”.
Le opere di Courbet furono però anche vivamente elogiate dalla critica più aggiornata per la precisione tecnica e per la capacità di catturare la realtà nella tela.
Impavido Courbet tirò dritto per la sua strada e avrebbe continuato a produrre opere realiste per tutta la sua carriera, fino alla sua triste morte nel 1877.
Nel frattempo i suoi sostenitori, di fronte ai suoi detrattori e avversari, si erano organizzati. Nel 1856 comparve a Parigi un periodico intitolato Réalisme, fondato dallo scrittore e critico d'arte Louis Edmond Duranty (1833 – 1880) che, con il sostegno di Champfleury, fu destinato a difendere la nuova estetica del reale nell'arte e nella letteratura, e a loro due l'anno dopo si aggiunse anche lo scrittore Gustave Flaubert (1821 – 1880), che aveva il dente avvelenato perché era stato vittima di un processo contro il romanzo Madame Bovary del 1857, giudicato troppo realistico e per questo era stato censurato.
L'atelier del pittore del 1855, raffigura l'ambiente amicale del pittore e quindi, idealmente, riproduce i difensori di ciò che egli stava promuovendo. Questo dipinto è tuttavia un vero manifesto politico e artistico, ma è anche molto di più di questo.
Nel 1861 Courbet avrebbe dichiarato a proposito della sua mostra del 1855: “Ho voluto essere capace di rappresentare i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca secondo il mio modo di vedere; fare dell’arte viva, questo è il mio scopo”. I suoi contributi al Realismo furono considerevoli e ispirarono molti altri artisti spingendoli a esplorare temi della vita quotidiana e ad ampliare i confini della rappresentazione artistica.
Anche Millet, specializzato nella rappresentazione dei contadini e dei braccianti, contribuì significativamente al Realismo.
Proveniente anche lui dalla provincia, diversamente da Courbet nato in una famiglia di ricchi proprietari terrieri, Millet era cresciuto in una famiglia di contadini e quest’esperienza aveva segnato profondamente la sua opera che spesso si concentrava sulla rappresentazione della vita dei lavoratori della campagna. Ventitreenne Millet si era trasferito a Parigi e nel 1846-47 era entrato in contatto con artisti che avrebbero formato il primo nucleo della scuola di Barbizon, affermandosi come uno degli artisti di punta di questo gruppo di pittori che, influenzati dai paesaggi di Constable, dal 1848 si erano riuniti nel bosco di Fontainebleau col desiderio di raccontare la natura con un occhio nuovo.
La specialità di Millet era però la vita contadina e oggi il pittore è noto soprattutto per una serie di opere che mettono in luce la difficile condizione dei lavoratori rurali e la dura realtà della loro vita quotidiana.
Come Courbet, anche Millet era stato rifiutato più volte al Salon prima di trovare il successo nel 1850 quando presentò la sua opera Le spigolatrici, una scena elogiata per la sua rappresentazione realistica della vita rurale che riscosse invece grandi consensi. Millet continuò a produrre dipinti incentrati sulla vita quotidiana dei contadini, utilizzando una tavolozza scura e uno stile di pittura realistico con cui creava immagini potenti e commoventi.
I suoi dipinti mostrano spesso lavoratori in condizioni difficili, che lavorano nei campi o nelle stalle, ma sono scene anche piene di compassione e di rispetto per le persone raffigurate.
Millet ebbe molti contatti con Courbet utili a dare vita al Realismo e fu acclamato da chi lo apprezzava come uno dei principali artisti della corrente. La sua influenza sul realismo fu profonda e fu fonte di ispirazione di altri artisti affinché essi a loro volta si concentrassero sui soggetti della vita quotidiana e usassero il realismo per creare immagini di grande potenza emotiva, giungendo a influenzare tra gli altri anche Vincent Van Gogh (1853 - 1890), la cui prima produzione fu molto ancorata al realismo.
Diversamente da altri realisti, Millet però non utilizzò mai i suoi dipinti come strumento di denuncia sociale, anche se spesso essi incidentalmente lo furono, e spesso li colmò pure di un profondo e intenso lirismo: questo fu tuttavia uno degli aspetti più criticati dagli altri artisti della corrente e dai critici fautori del Realismo che per questo motivo lo ritenevano poco oggettivo.
Anche Honoré Daumier, pittore politicamente ancor più impegnato di Courbet nella denuncia delle ingiustizie sociali, diede un contributo significativo al Realismo oltre che con i suoi dipinti, anche come caricaturista e incisore.
Daumier era marsigliese nato nel popolare e malfamato quartiere del “Porto vecchio” ed era giunto a Parigi nel 1816 con sua madre per raggiungere il padre che, per le sue velleità letterarie, vi si era trasferito due anni prima. A tredici anni, Daumier era andato a lavorare per un libraio e aveva incominciato a disegnare: Alexandre Lenoir, l’archeologo e conservatore museale, si accorse del suo talento e ne curò la formazione. Noto per la sua aspra critica sociale e per il suo impegno nel denunciare le ingiustizie sociali del suo tempo, raffigurava spesso i poveri e i lavoratori, nonché politici e affaristi corrotti. I suoi dipinti rimasero sconosciuti fino a una mostra tenuta da Paul Durand-Ruel a Parigi nel 1878, proprio l'anno prima della morte dell’artista. Queste opere di pittura, spesso oscure e malinconiche, raffiguravano poveri e lavoratori in condizioni difficili per questo Daumier fu acclamato come uno dei principali artisti del Realismo grazie alla sua capacità di utilizzare anche la satira e la critica sociale per creare immagini potenti e coinvolgenti. Il suo lavoro spinse molti altri artisti a utilizzare l'arte come strumento di denuncia delle ingiustizie sociali e politiche del suo tempo infatti, per Charles Baudelaire, Daumier fu “uno degli uomini più importanti, non [...] solo della caricatura, ma anche dell'arte moderna”.
Particolarmente iconico è il suo dipinto Il vagone di terza classe”, titolo di almeno tre suoi dipinti a olio, in cui Daumier descrive realisticamente la povertà e la forza d'animo dei viaggiatori della classe operaia in un vagone ferroviario di terza classe.
Di questo soggetto realizzò almeno tre versioni di cui due su tela, una datata fra il 1862 e il 1864, ma lasciata incompiuta ed è al Metropolitan Museum of Art di New York, un dipinto simile ma completato, datato fra il 1862 e il 1865, si trova nella Galleria Nazionale del Canada di Ottawa. Una terza versione fu realizzata su tavola ed è conservata al Fine Art Museum di San Francisco ed è datata dai curatori del museo di appartenenza fra il 1856 e il 1858. Se è valida questa datazione sarebbe la prima delle tre versioni.
Nello stile tipico di Daumier, che fece della sua arte una continua lotta politica, Il vagone di terza classe evidenzia l'interesse dell’artista per la vita della classe operaia di Parigi e denuncia le condizioni sociali delle classi più povere in linea con l'intento del Realismo.
Anche Édouard Manet (1832-1883), seguì le idee di Courbet e cercò di rimuovere le convenzioni accademiche volendo rappresentare la vita moderna e come Courbet continuò impavido, nonostante le critiche, a produrre dipinti che sfidavano le convenzioni artistiche e sociali del suo tempo, utilizzando una tavolozza audace e una tecnica pittorica a tinta piatta per creare immagini potenti e moderne. Manet fu anche un importante innovatore nella tecnica della pittura a olio, sperimentando pennellate più sciolte e contrasti cromatici più audaci.
Manet fu un realista sulle orme della generazione prima della sua.
Nel 1862, presentò al Salon un'enorme tela: Le Déjeuner sur l'herbe. Si trattava di personaggi in un bosco. Una donna, uscendo dal bagno, si asciuga nuda sull'erba. Questo dipinto fece scandalo e gli accademici lo esclusero dall’esposizione.
Ma perchè? 
Agli accademici il nudo piaceva, anzi era una delle materie fondamentali della Scuola delle belle arti
Che cosa aveva questo dipinto da essere bandito? 
Per quei giudici il nudo certamente era possibile, anzi era motivo di gran pregio, ma solo se realizzato in scene mitologiche. Qui invece la donna è nuda in presenza di uomini vestiti senza alcun motivo e non in un’atmosfera olimpica. Fra l’altro era anche perfettamente riconoscibile forse come celebre modella o come celebre prostituta quindi era stata raffigurata spudoratamente priva di quei meccanismi di idealizzazione che rendevano le modelle irriconoscibili. Émile Zola fu l'unico a difendere Manet. Lodò questo dipinto impressionante perché era a grandezza naturale, perché per lui la foresta e il nudo erano dei motivi per mostrare una nuova pittura, quella dei colori veri, delle forme, del tocco schietto.
Sebbene Manet non si possa considerare tout court un “impressionista”, per la sua opera è stato considerato un anticipatore di quel movimento anzi un tramite fra Realismo e Impressionismo. I suoi dipinti influenzarono molti impressionisti, in particolare per il suo trattamento della luce e del colore, nonché per il suo rifiuto delle convenzioni accademiche.
Ma ora torniamo al 1855. Con la sua levata di scudi, Gustave Courbet aveva inaugurato ufficialmente il Realismo e con esso aveva dato il via a una nuova stagione nella Storia dell'Arte, caratterizzata da un lato dalla raffigurazione della realtà, dall’altro dal rifiuto degli ideali estetici e delle convenzioni accademiche vigenti all'epoca che sostenevano soggetti idealizzati di carattere mitologico o storico, composizioni simmetriche e tecniche di rappresentazione anch’esse sublimate. A questo i realisti preferivano composizioni asimmetriche, punti di vista insoliti, scene di vita quotidiana e ritratti di gente comune.
Il rifiuto degli ideali accademici permise a questi pittori della realtà di esplorare nuovi territori nella rappresentazione artistica, sfidando gli standard estetici prevalenti ed enfatizzando la bellezza e l'interesse suscitabili dagli aspetti più modesti della vita quotidiana.
Dopo la mostra di Courbet nel 1859, ci fu una nuova manifestazione di dissidenza contro il sistema imposto dall’Accademia: nel suo salotto privato il pittore François Bonvin, amico di Courbet, e insignito di una medaglia di bronzo in una precedente edizione del Salon, organizzò una mostra di artisti rifiutati nella selezione ufficiale di quell’anno. Questa mostra era dedicata ad Henri Fantin-Latour, ad Alphonse Legros, a Théodule Ribot, all’americano James McNeill Whistler e a Eugène Boudin che in seguito avrebbe dichiarato di essere stato liberato dai suoi timori da Courbet.
Anche Edouard Manet, considerato l’ispiratore della terza ondata di rivoluzione pittorica vissuta dall’Ottocento e incentrata sul trattamento del colore e sui contrasti percepibili dall'uomo quando guarda ebbe un ruolo importante nel “Realismo”. Molto influenzato dalle opere di Velázquez e di Goya e grande estimatore di Frans Hals, Manet seguì l’ispirazione realistica di Courbet e di Millet non ne fu “erede” come spesso lo si definisce, ma fu partecipe della corrente realista.
Con la mostra di Courbet del 1855 qualche altra cosa entrò definitivamente in crisi nel sistema delle arti in voga fino a quel momento e fu il sistema espositivo: alla scuola, alla regola dell’accademia, ormai si affiancava una serie di raggruppamenti artistici liberi, sostenuti da scrittori, da critici militanti e dalla formazione di un mercato privato, basato sull’attività di galleristi e di collezionisti privati.
Centro vitale di questo nuovo complesso critico-gestionale fu Parigi dove incominciarono a formarsi e a maturare da quel momento a poco dopo la struttura galleristica e il lavoro pioneristico di personaggi chiave del nuovo sistema artistico, come Paul Durand-Ruel, nome immediatamente associabile a tutta la storia dell’Impressionismo, come Josse e Gastone Bernheim-Jeune dediti, insieme ad Ambroise Vollard, a diffondere opere del Neo-impressionismo, del Futurismo italiano, dei Fauve e di artisti come Cezanne, Gauguin e Matisse.
Questi esempi mostrano come il sistema di diffusione e di promozione dell’Arte in ambito accademico sia sempre più accompagnato da nuove modalità d’esposizione. Questo processo andò di pari passo con l’affermazione di forme artistiche alternative e con la configurazione di un pubblico nuovo, formato dalla nuova classe borghese diversa da quella precedente più ingessata e più legata al sistema, e questa nuova borghesia anche una committenza più ampia e più frazionata entro i cui confini fu possibile maturare un gusto più soggettivo e indipendente.
In questo nuovo clima culturale e sociale gli artisti incominciarono a organizzarsi al di fuori delle istituzioni ufficiali, dando avvio a quel processo di svincolamento dalla regola incarnata dall’Accademia delle Belle Arti e dai Salon ufficiali.
Questo forte cambio di rotta fu impresso dalle prime mostre indipendenti. Gustave Courbet nel 1855 mette insieme alcune sue opere che l’Esposizione Universale di Parigi aveva rifiutato di esporre e, dando vita a quel Pavillon du Realisme, si ritagliò così uno spazio di autonomia in cui poter esibire la propria idea d’Arte.
Il secondo passo fu la mostra organizzata nel 1859 nel suo salotto privato dal pittore François Bonvin e di qualche anno successivo sarebbe stato il Salon des Refusés, che accolse le opere emarginate dal circuito ufficiale.
Prima di concludere sul “Realismo” occorre dire che se all’inizio fu un fenomeno prettamente francese, almeno nelle sue polemiche politiche e nelle sue questioni estetiche, ben presto trovò ampie risonanze e riscontri in Europa, nei Macchiaioli in Italia, nel Costumbrismo spagnolo, che voleva rendere l'opera d'Arte un riflesso preciso e fedele dei costumi e degli usi sociali, nella Scuola dell'Aia nei Paesi Bassi, il cui iniziatore Jozef Israëls introdusse questa nuova forma di realismo ispirandosi alla vita dei suoi contemporanei e mirando a rappresentare la vita di pescatori e dei contadini che non avevano perduto il contatto con la natura e che vivevano ancora in armonia con il loro ambiente, a Monaco dal 1869 ci fu una svolta realista nell’ambito di quella scuola, negli Stati Uniti, o con il movimento russo degli Itineranti, che emerse nel 1863 e che fu in auge fino al 1890, come reazione anche lì all'insegnamento, alle materie e ai metodi dell'Accademia Russa di Belle Arti di San Pietroburgo. Nel Novecento il Realismo fu ripreso e sviluppato da pittori provenienti dall'Europa occidentale (in particolare in Francia e nei Paesi Bassi), da Russia e America, generando movimenti artistici collaterali come la Scuola di Ashcan (1908-1913), il Realismo sociale (1920 - 1930), il Realismo socialista (dal 1925 a oggi), la Pittura scenica americana (1925 - 1945), il Fotorealismo (dal 1960 a oggi), il Realismo cinico cinese praticato negli anni Novanta del Novecento da un gruppo di pittori di Pechino, in seguito alla repressione di "piazza Tiananmen" del 1989 da parte di "Deng Xiaoping" e alla chiusura forzata all'inizio di quell'anno della mostra d'arte "China Avant Garde" alla Galleria Nazionale di Pechino.
Attraverso la sua radicalità, il “Realismo” francese di metà Ottocento ebbe un impatto decisivo e duraturo sulla Storia dell’Arte e aprì la strada all'evoluzione del modo di rappresentare la realtà nella contemporanea cultura visiva permettendo a diverse nuove avanguardie artistiche di affermarsi dall’ultimo terzo dell’Ottocento come l’Impressionismo, il Naturalismo e il Simbolismo, ma ebbe anche un notevole impatto sulla società nel suo complesso. Naturalmente sarà sempre opportuno stabilire le distanze che ciascuno di quei movimenti prese dalla comune matrice realista a cominciare dal Naturalismo pittorico che dei tre movimenti fu quello più affine, pertanto la sua distinzione è abbastanza difficile da stabilire: lo storico dell'Arte Marcel Brion (1895 – 1984) ha parlato di naturalismo degli odori, citando l'erba bagnata con Courbet, il tessuto casalingo dei mantelli contadini con Millet, il sudore dei cavalli da corsa e delle ballerine con Degas, il cerone di Toulouse-Lautrec, ma si potrebbe aggiungere il fruscio dei tessuti in Constantin Guys e il fruscio degli alberi in Corot, e tante altre impressioni ancora, sguardi, e interpretazioni, che avrebbero portato la critica a definire altre categorie, altre correnti degli anni 1870-1880.
Contro “Le Déjeuner sur l'herbe” , presentato ai giurati del “Salon” del 1863 la critica si scatenò furente, accomunando Manet e Courbet e considerandoli partecipi della stessa setta: questo episodio avrebbe portato alla creazione del tutto eccezionale da parte della direzione delle Belle Arti del “Salon des Réfusés”, tanto grande sarebbe stata la rivolta degli artisti che desideravano rimanere liberi nella scelta delle rappresentazioni e soprattutto di poter mostrare le proprie opere.
Ma questo sarà un altro racconto.
                                                    Massimo Capuozzo

1 commento:

  1. Bello questo percorso con travasi costanti tra sociologia ed Arte, una caratteristica questa di Paesi in progress
    La leggo sempre con grande piacere, grazie prof!

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