mercoledì 17 gennaio 2024

Nicolas Rolin, committente di van Eyck e di van der Weyden – I fiamminghi settimo racconto

Chiunque abbia sfogliato un libro di Storia o ancor meglio uno di Storia dell’Arte al Liceo si sarà sicuramente imbattuto nel dipinto La Madonna del Cancelliere Rolin e avrà notato la perizia tecnica e i dettagli di quest’opera straordinaria.
Naturalmente pochi, se non i più interessati, si saranno chiesti chi è quel signore con quella strana acconciatura “a scodella” che campeggia sul lato sinistro della tavola.
Nel titolo si legge il “Cancelliere Rolin”.
Ma chi era mai questo cancelliere, che ‘Jan van Eyck’ ha reso immortale col suo dipinto?
Ebbene, questo personaggio non era uno scappato di casa, capitato per caso lì a far da modello a un Jan van Eyck, diventato ormai una celebrità nelle terre del Nord.
Nicolas Rolin’, signore di Autun e di Beauchamp, era uno degli uomini più ricchi e potenti del suo tempo, era il Cancelliere di Borgogna, all’epoca uno degli stati ‘di fatto’ più potenti d’Europa, e la sua carica equivarrebbe oggi a quella di un primo ministro. Si potrebbe dire che dopo il duca Filippo III di Borgogna, era l’uomo più importante nei suoi Stati ed era quindi quello che oggi definiremmo un’eminenza grigia.
Abile e scaltro, nutrito fin da giovanissimo di studi giuridici profondi, Rolin era un uomo pienamente dedito alla sua importante carica della quale si occupava con passione: fu il principale artefice delle riforme che consolidarono lo stato borgognone e fu uno dei membri più riconosciuti della corte ducale dal 1422 al 1462.
Il suo “cursus honorum” era incominciato nel 1408, al servizio del duca di Borgogna Giovanni senza Paura dapprima come giurista presso il Parlamento di Parigi, ma fu presto nominato consigliere capo del suo ‘entourage’ e quindi ambasciatore del duca.
Nel 1419, dopo l'assassinio di Giovanni, suo figlio Filippo III diventò duca e tre anni dopo, nel 1422, nominò Nicolas Rolin cancelliere, carica che conservò per quarant’anni: Rolin continuò la sua ascesa politica e diventò molto rapidamente uno dei diplomatici più importanti e ascoltati nella scena politica europea. Era inoltre responsabile dei conti ducali, oggi diremmo delle finanze dello ‘stato’, poi custode del sigillo del duca, il che significava che ogni legge emanata dal duca passava al suo attento e competente vaglio. Insomma si può dire che tutti i più importanti affari statali, “nazionali” ed esteri, passassero per le sue mani.
Nel 1423, per ordine di Filippo il Buono, fondò l'Università di Dole e nel 1425 collaborò alla fondazione dell’Università di Lovanio. Nel 1435 fu uno dei redattori della “pace di Arras” con la quale, com’è noto, Carlo VII di Francia faceva pubblica ammenda per l’assassinio del duca Giovanni senza Paura, riconosceva l'indipendenza della Borgogna a condizione che questo ducato riconoscesse la sua regalità sulla Francia e che sospendesse l'alleanza con l'Inghilterra nella “Guerra dei Cent'anni”, sebbene quest’alleanza si fosse ormai logorata da tempo.
Fu in questa circostanza che Rolin commissionò a ‘Jan van Eyck’ la celebre tavola.
Osserviamola ora con attenzione.
fig. 1
Il dipinto Il Cancelliere Rolin in preghiera davanti alla Vergine è un olio su tavola noto anche come La Vergine del Cancelliere Rolin o anche come la Vergine di Autun, per la sua collocazione originaria.
Jan van Eyck dipinse questa tavola intorno al 1435 per Rolin che la commissionò come ex voto da esporre nella Cappella di San Sebastiano della Chiesa di Notre-Dame du Châtel, che egli stesso aveva fondato nel 1432 e che era frequentata dai membri della sua famiglia.
Durante la Rivoluzione, la chiesa fu distrutta e nel 1794 l'opera fu trasferita alla Chiesa di Notre Dame di Autun. Due anni dopo, in ottemperanza di una decisione emanata dal Direttorio, l’opera fu nazionalizzata. Nel 1805, nonostante la resistenza dei cittadini di Autun e i loro interventi dapprima presso Luciano Bonaparte, ex studente del famoso collegio cittadino, e poi presso Talleyrand, il dipinto fu trasferito nel Museo Napoleone, l'attuale Museo Nazionale del Louvre a Parigi. In seguito a questi numerosi spostamenti, la cornice originale che doveva recare data e firma del pittore andò perduta.
Il dipinto raffigura una stanza dal soffitto molto alto che domina un panorama cittadino con il cancelliere Rolin di fronte a Maria con il Bambino e un angelo.
Si tratta di un tema tipico dell'iconografia cristiana, la sacra conversazione, un’opera cioè che riunisce nella stessa scena personaggi divini e umani che sembrano conversare tra loro condividendo uno spazio comune, nonostante essi appartengano a epoche diverse, come appare dai loro rispettivi abiti. Di solito, naturalmente non in questo caso, in una sacra conversazione sono presenti anche dei santi in funzione di intercessori presso il divino.
A causa di una prospettiva non geometrica, ma ancora empirica – le linee di fuga non convergono verso un unico punto –, la composizione rivela che van Eyck non conoscesse ancora tutte le norme formulate da Leon Battista Alberti e pubblicate nel De pictura del 1436, ma ne conoscesse solo alcune: va tuttavia ricordato che la pittura fiamminga non ha mai mostrato sommo interesse per la prospettiva geometrica, preferendo a essa la prospettiva aerea.
Nel dipinto i personaggi sono rivolti l’uno verso l’altro.
Fig.2

A destra c’è un gruppo composto da tre figure. La Vergine, avvolta in un mantello rosso tempestato di perle e di preziosi gioielli, è seduta di tre quarti su un cuscino decorato con motivi floreali e collocato su una panca di marmo che reca invece motivi geometrici. Come ‘Vergine della saggezza’ o ‘Sedes sapientiae’, secondo l’archetipo iconografico cui si riferisce, il Bambino siede sulle ginocchia della Madre e dalla Madre è presentato e “offerto” a quanti lo ricercano. In questo caso tiene il Bambino seduto su un ginocchio su un panno bianco, presagio del sudario che un giorno lo avrebbe avvolto. Dietro, un angelo giganteggia su di lei e sostiene una corona sopra la sua testa.
Il Bambino regge in mano un globo sormontato da una croce, simbolo dell'Universo e fa un gesto di benedizione verso il Cancelliere, la Vergine guarda il globo con la croce in mano al figlio, come se volesse indicare il supplizio che lo attende.
Fig. 3
A sinistra c’è il cancelliere Rolin con la tipica acconciatura a scodella, una moda lanciata dal duca Filippo il Buono: è vestito con un abito di broccato d'oro e una pelliccia, abbigliamento abitualmente riservato ai grandi di Borgogna. Appare genuflesso su un inginocchiatoio, con le mani giunte in adorazione e con un libro di preghiere aperto davanti a sé. Rolin guarda indistintamente l'intero gruppo divino, ma senza fissare in particolare nessuna delle figure sacre.
Dietro di loro, al di fuori di quest’ampia sala si apre la scena di un paesaggio urbano, visibile oltre la finestra, che include tutti i dettagli della vita terrena: attività, architettura, città, ponte su un fiume e personaggi, diversi animali raffigurati dettagliatamente: una gazza, un pavone, e dei conigli che si riferiscono ai vizi umani.
In fondo a sinistra nella stanza, al di sopra dei capitelli compositi di elegante fattura che sormontano le colonne, in una fascia che simula un bassorilievo, si distinguono scene dell'Antico Testamento: la ‘Cacciata dal Paradiso’, il ‘Sacrificio di Caino e Abele’, ‘Dio riceve l'offerta di Abele’, l'’Omicidio di Caino’, ‘Noè nell'arca’ e ‘Noè coperto da uno dei suoi figli’.
Fig. 4
Sono state avanzate varie proposte per identificare la città sullo sfondo, ma l’ipotesi più spesso accolta è quella di una città immaginaria, ideale, tipica sintesi cittadina dell’epoca, piuttosto che una località ben precisa. Un processo di questo tipo era abbastanza frequente nella pittura contemporanea di van Eyck, e non solo nelle Fiandre, si ricordino a tal proposito anche i capricci italiani del Quattrocento con le celebri città ideali.
Secondo un’altra ipotesi, anch’essa abbastanza proponibile, la città potrebbe essere la rappresentazione della Gerusalemme celeste.
La rigorosa simmetria fra l'impianto architettonico-urbanistico e i personaggi della scena è un affascinante gioco di contrapposizione di sacro e di profano: la Madonna col Bambino e il Cancelliere Rolin. Questa opposizione corrisponde anche nell'arredamento dell’interno della grande sala e ancora negli edifici che compongono l’esterno del paesaggio urbano: dietro il Cancelliere, le case e un municipio sono simbolo del potere politico, e, dietro la Vergine col Bambino, una cattedrale e le chiese sono simbolo della Città di Dio.
Allo stesso modo il significato del giardino recintato è ambivalente: se da un lato può richiamare la purezza della Vergine come metafora dell’hortus conclusus’ dall’altro può anche evocare la ricchezza e la vanità per la presenza del pavone.
Il simbolismo si affaccia ancora insistente e ambiguo con l’immagine della gazza associata da un lato alla maldicenza, dall’altro alla morte, con quella del pavone, da un lato simbolo di Cristo, perché la carne di questo volatile impiega tempo per putrefarsi dopo la morte, ma dall’altro anche simbolo della vanità delle cose terrene, e infine con l’immagine del coniglio, da un lato simbolo della lussuria sopraffatta dalla Religione, perché, essendo il coniglio e la lepre animali molto prolifici, sono tradizionalmente considerati simbolo di eccesso erotico e spesso di lascivia, ma dall’altro lato mutando essi il pelo in primavera sono anche simbolo della Resurrezione.
Le stelle a otto punte delle piastrelle rievocano la Stella Matutina, uno dei titoli conferiti alla Vergine nelle litanie a lei dedicate, perché, come la stella del mattino dà origine al giorno così la Vergine genera Cristo, alba di una vita rinnovata dalla redenzione.
Il Bambino rivolge la sua benedizione al cancelliere, ma non guarda direttamente verso di lui come aveva originariamente realizzato il maestro e come è stato dimostrato da una recente analisi del dipinto eseguita con i raggi infrarossi: il committente volle invece che la realizzazione finale fosse come appare ora per mostrare la sua umiltà.
Questa benedizione, il momento più saliente della tavola, è messa in scena da un'abile composizione che articola i vari piani dello spazio reale e quelli dello spazio suggerito da van Eyck: la mano di Cristo è posta infatti sulla linea compositiva che presenta un ponte, un elemento simbolico che indica la comunicazione, il collegamento.
Per comprendere a fondo questo dipinto ci si deve porre qualche domanda. Qual era il motivo di realizzazione dell’opera? Perché Rolin l’aveva commissionata?
Quest’opera è un ex voto – come tutti sanno un ex voto è un dono per ringraziare il destinatario (Dio, la Madonna, un santo) di aver esaudito una preghiera –, attraverso questo dono Rolin vuole ringraziare Dio della buona riuscita della sua azione politica svolta a favore del ducato di Borgogna.
Il dipinto acquista così un preciso riferimento politico.
Ma quale?
Per capire l’opera bisogna conoscere il retroscena.
Con le sue abili trattative diplomatiche, il cancelliere aveva indotto il Regno di Francia a firmare il Trattato di Arras che, oltre alla concessione di numerosi possedimenti territoriali alla Borgogna, portava soprattutto alla riparazione dell’onta dell’assassinio di Giovanni senza Paura subita dalla famiglia di Borgogna con la richiesta formale di perdono da parte di re Carlo VII di Francia nei confronti del duca Filippo e questa richiesta di perdono era attestata dalla costruzione di una croce in perenne memoria dell’oltraggio che l’allora delfino Carlo, ora re di Francia, aveva commesso nei confronti del duca di Borgogna per essere stato il mandante dell’assassinio di Giovanni senza Paura, padre dell’attuale duca Filippo III.
Nel dipinto sul ponte che si vede sullo sfondo – un rimando al luogo dove era stato perpetrato l’assassinio – è infatti rappresentata una piccola croce a memoria di quel delitto.
Jan van Eyck, ponendo il gesto benedicente di Gesù davanti al ponte, crea un'associazione di idee molto simbolica: la croce posta sull'asse centrale è il fulcro della composizione e raffigura la comunicazione tra il cancelliere e Cristo, e mette così in evidenza che l'azione politica di Rolin è posta sotto il patronato divino da cui il suo successo è derivato.
La complessità simbolica e impaginativa della tavola sviluppa quindi un significato ben più profondo che va di conseguenza oltre la semplice commissione di un'opera di devozione.
Le due figure di spalle sono il pittore e suo fratello Hubert che, guardando il paesaggio, incardinano il mondo divino e quello terreno.
Tecnicamente, quest'opera rispetta molte delle innovazioni introdotte dai pittori italiani del periodo prerinascimentale come il senso di umanità dei personaggi – per esempio il Cancelliere e la Vergine hanno le stesse dimensioni –, come ancora l'introduzione del paesaggio e dei suoi elementi terreni in un'opera sacra, e infine come l'aspetto pittorico, rivelazione della complessità architettonica attraverso una prospettiva coerente – per esempio colonne, sculture, edifici in lontananza ed altro.
Ritornando sull'allegoria suggerita dal paesaggio e sulla netta separazione tra il potere politico del Cancelliere, rappresentato dalla città degli uomini, e dall'altro la purezza nonché la grandiosità della “civitas Dei”, verso la quale ognuno deve tendere, si vede il desiderio di van Eyck di sminuire in un certo senso il prestigio del suo committente, perché è ovvio che la città degli uomini, che egli rappresenta, non raggiungerà mai la città di Dio e che da quel momento l’uomo Rolin deve tendere sempre verso questo modello.
Inoltre, il fatto che la tavola sia così profondamente segnata dalle colonne – triplice cesura fra l’interno della stanza e l’esterno del paesaggio –, sembra suggerire che solo attraverso la Santissima Trinità si può raggiungere un reale miglioramento dell'uomo e allontanarsi dal suo primordiale stato di natura.
Ed è a questo scopo e solo ad esso che la politica deve o almeno dovrebbe tendere.
Dopo questa pausa artistica è bene ritornare al nostro protagonista Nicolas Rolin.
Nel 1438 Rolin accompagnò Filippo il Buono a Bourges, capitale del Berry, per le discussioni preparatorie di una Prammatica Sanzione che stabiliva le relazioni tra Chiesa e Stato e che fu proclamata in quello stesso anno a Bourges da Carlo VII. Anche in questa circostanza la sua partecipazione ebbe un ruolo decisivo.
Nel 1443, alla conclusione di fatto della Guerra dei Cent'anni (anche se per un decennio ci furono altre scaramucce fra i due Stati e la guerra si sarebbe conclusa ufficialmente nel 1453 con la battaglia di Castillon uno scontro decisivo, che pose definitivamente fine alla guerra), Nicolas Rolin e la sua terza moglie, la devota nobildonna Guigone de Salins, fondarono a Beaune, un’antica città della Côte d’Or, gli Hospices, un’opera caritativa che doveva prendersi cura gratuita dei poveri, degli anziani, degli orfani, dei malati e dei pellegrini e, perché no, anche della salvezza delle anime dei fondatori.
La causa prossima di questa iniziativa era stata la carestia che aveva devastato la Borgogna nella prima metà del Quattrocento. La nobile Guigone fu molto attivamente coinvolta nell'ospedale-ospizio, non solo nella sua creazione, ma in seguito anche nel suo funzionamento e nella sua amministrazione: del resto una parte importante degli costi di costruzione erano stati sostenuti con i proventi delle miniere di sale di Salins, parte della sua dote. Guigone, per sua esplicita volontà testamentaria, dopo la sua morte nel 1470 sarebbe stata sepolta al centro della grande corsia dell'ospedale.
All'inizio ci furono dubbi sul luogo di fondazione, se dovesse essere Autun o Beaune, ma alla fine fu scelta Beaune perché lì non c'erano ordini religiosi che aiutassero i poveri e gli ammalati. Nel 1452 Rolin fondò anche un nuovo ordine monastico per la cura dei malati: le Suore Ospedaliere di Beaune.
Fig. 1
Quest’ospedale-ospizio, oggi destinato a Museo, è conservato quasi integralmente ed è ancora oggi considerato uno dei vanti dell’architettura fiammingo-borgognona, riflesso dello stile architettonico tardo Gotico del Quattrocento.
Intorno al 1442 all’atto della fondazione degli “Hospices”, Rolin commissionò anche una pala d'altare per la cappella dell’istituto, il famoso “Polittico del Giudizio Universale di Rogier van der Weyden, pittore ufficiale della città di Bruxelles e uno degli artisti più significativi del Quattrocento fiammingo, che il maestro completò nel 1451, anno in cui la cappella fu consacrata.
Osserviamo ora questo polittico, l'opera più importante e di maggiori dimensioni realizzata da van der Weyden, e sicuramente una delle sue opere più ambiziose, paragonabile per bellezza alla sua straordinaria Deposizione del Museo Nazionale del Prado di Madrid.
Fig. 3
Come già L'Agnello mistico dei fratelli van Eyck, questo è uno dei capolavori assoluti della scuola fiamminga del Quattrocento e come il polittico dei van Eyck è un caso raro di pala d'altare fiamminga rimasta nella sua collocazione originale e di cui siano stati inoltre conservati tutti i documenti relativi alla commissione dell'opera: il nome dell'artista, quello del committente, il luogo di installazione e la sua data di completamento.
La macchina d'altare, un polittico ad ante mobili, era stata prevista e progettata per la cappella in fondo all’aula magna dell'ospedale, una vasta navata aperta, lunga settantadue metri, che poteva contenere trenta letti doppi lungo le due pareti, ed era separata dalla navata con un tramezzo di legno rimovibile attraverso il quale i pazienti potevano assistere agli uffici divini dai loro letti: per questo l'opera richiedeva dimensioni considerevoli affinché i malati allettati potessero vederla durante le funzioni religiose.
La chiarezza compositiva dell’opera era quindi un prerequisito necessario perché i malati potessero vedere e comprendere l'argomento, anche a distanza, almeno nelle sue grandi linee. Questo spiega anche i forti accenti cromatici utilizzati e la particolare forma del pannello centrale con una prospettiva vista dal basso che mette in risalto la fondamentale figura di Cristo.
Queste esigenze pratiche incontravano felicemente due caratteri sostanziali dell'arte di Rogier: la sua chiarezza espositiva e la sua profonda religiosità.
L’opera fu realizzata nella sua bottega a Bruxelles tra il 1443 e il 1451 molto probabilmente con l’aiuto dei suoi allievi e raffigura il tema iconografico cristiano del Giorno del Giudizio.
Finché il polittico rimase nella cappella, era solitamente chiuso nei giorni feriali e aperto la domenica e durante le feste solenni del calendario liturgico. Dall’ultima citazione che la riguarda quest’opera nel 1503 di essa non si parlò più finché nel 1836 fu riscoperta interamente sommersa di fabbrica proprio nella sede degli Hospices.
Nel 1875, gli allora amministratori dei locali decisero di far restaurare dal Museo del Louvre il pannello dell'Inferno che risultava il più danneggiato di tutti e in seguito fu restaurato l’intero polittico, con un lavoro complessivo, fra l’altro non eccezionale, durato tre anni e completato entro il 1878. In questa circostanza i pannelli furono segati in verticale lungo lo spessore del legno in modo tale che la parte anteriore e quella posteriore potessero essere esposte insieme e affiancate. Alcuni pannelli hanno conservato ancora le cornici originali: l'opera, che era stata originariamente eseguita su pannelli di rovere, in seguito al deterioramento di molti dei suoi pannelli fu trasferita su tela, tranne il pannello centrale che si trova nel migliore stato di conservazione.
Nel 1891 l'opera fu classificata come monumento storico di interesse nazionale e dal 1975 è stata esposta in una sala del museo appositamente attrezzata con temperatura e umidità costanti, per evitare ogni ulteriore deterioramento dovuto alla luce solare e al calore prodotto dagli oltre trecentomila visitatori che ogni anno le passano davanti.
In base alla sua datazione (1443 – 1451) si tratta di un'opera della maturità del grande maestro, completata quando van der Weyden, era appena ritornato dal suo viaggio in Italia in occasione del giubileo del 1450.
Il polittico è la sua opera di più ampie dimensioni, infatti privo di cornici misura 215 x 548 cm., e fu realizzato con un notevole impegno sia nell'ideazione della struttura compositiva sia nell'accurata esecuzione fin nei minimi dettagli, che ne fanno un'opera degna di rivaleggiare con il meraviglioso Polittico dell'agnello mistico.
Il polittico è composto da nove pannelli di diverse dimensioni (ora essi sono quindici per la separazione della parte esterna e di quella interna, tranne la tavola centrale rimasta intatta che è anche l’unica non trasferita su tela) in parte richiudibili per consentire la chiusura delle ante sulla grande tavola centrale fissa.
Osserviamolo chiuso.
Fig. 3
Sul retro degli scomparti mobili si trovano sei pannelli: nel registro superiore, come spesso accade in questo tipo di polittici, ci sono un Angelo Annunciante e la Vergine Annunciata, nel registro inferiore ci sono i due santi protettori degli HospicesSan Sebastiano, al di sotto dell’Angelo, e Sant'Antonio Abate, al di sotto della Vergine. Tutte le figure sacre sono dipinte a monocromo, come se fossero due statue di marmo viventi ed eterne, mentre i donatori e fondatori degli Hospices, Nicolas e sua moglie Guigone sono rappresentati nelle nicchie a sinistra e a destra, ciascuno in preghiera di fronte al rispettivo santo nello splendore del colore fiammingo.
Osserviamo ora l’opera a battenti aperti.
Fig. 4
Una volta aperto, il polittico svolgeva una duplice funzione: confortava gli ammalati e ricordava loro esplicitamente la fine mortale di ogni uomo, esortandoli così a ricordare loro la fede e a rivolgere gli ultimi pensieri a Dio, unica fonte di salvezza eterna. Ancora più concretamente, il dipinto ricordava al paziente – in linea con mentalità del tempo –, che la cura spirituale è importante quanto la cura del proprio corpo, tanto più che solo colui che si trovava in uno stato di grazia spirituale poteva riacquistare la salute.
Questo messaggio visivo si può dedurre anche dalla posizione del dipinto nella corsia dell'ospedale: Rolin aveva richiesto che trenta letti doppi per pazienti allettati e terminali, due per letto, fossero posizionati in modo che i malati potessero osservare il dipinto.
Fig. 5
Fig.6 
Nella rappresentazione del Giorno del Giudizio, van der Weyden, pur richiamandosi a una tradizione iconografica ben consolidata di un tema tanto in voga nel Medioevo e nel Quattrocento, lascia comunque ampio spazio alla sua fantasia e alla sua originalità.
Nel pannello centrale il polittico mostra un Cristo giudice” seduto su un arcobaleno, con i piedi appoggiati su un globo d'oro, simbolo dell'universo.
Fig. 7
Con la mano destra benedice coloro che sono salvati e con la sinistra maledice coloro che sono dannati, due gesti questi, sottolineati da altri simboli scelti ad hoc.
Sotto di lui, sempre nello stesso pannello, si trova San Michele arcangelo con in mano una bilancia a due piatti, la tradizionale bilancia ad ago, mentre sta eseguendo una psicostasia cioè la pesatura delle anime dei buoni e dei cattivi il cui peso varia in base alle loro azioni buone e cattive. Il giudizio dei risorti è affidato simbolicamente a questa bilancia ad ago a doppio piatto con cui San Michele arcangelo compie la psicostasia.
Le anime rappresentate nei due piatti sono due piccole figure simboliche nude, che rappresentano Virtù e "Vizi". Il personaggio che si trova sul piatto di sinistra, personificazione delle virtù, è inginocchiato e felice ed eleva una preghiera di ringraziamento al Signore, mentre l’altro che si trova sul piatto di destra, personificazione dei peccati, ha un’espressione indimenticabile: condannato dal peso delle sue colpe, è esterrefatto per la sentenza di condanna ricevuta e, terrorizzato dalla sorte che lo attende, urla di orrore.
Tutto qui è simbolico.
A cominciare dal ruolo singolarmente accentuato di San Michele arcangelo che si deve intendere come emanazione o addirittura come personificazione della giustizia divina.
Il pannello centrale, naturalmente il più grande degli altri e in verticale comprende tutta l’altezza dei due livelli dei pannelli laterali, è dominato dalla figura di Gesù che, per giudicare l’umanità, è sceso da un cielo sfolgorante di luce dorata, che si irradia dietro tutte le figure di beati. Assiso sull’arcobaleno, simbolo della nuova alleanza tra Dio e gli uomini, ricostituita grazie al suo sacrificio, Cristo ha sul capo un nimbo a forma di croce, simbolo della sua immolazione, indossa un ampio mantello rosso, baricentro di tutta la composizione e colore del martirio. Cristo poggia i piedi sul globo terrestre, simbolo della sua signoria sul mondo e mostra i fori dei chiodi sulle mani e sui piedi e la ferita sul costato provocata dal colpo di lancia, così risplendenti da sembrare dei gioielli.
La sentenza di salvezza e di dannazione che egli pronuncia è rappresentata in diversi modi: mentre con la mano destra Cristo benedice e dal lato destro della sua bocca fuoriesce un giglio, simbolo di misericordia e della purezza dell'ordine divino ripristinato dalla verginità di Maria, priva del peccato originale, con la mano sinistra maledice invece i dannati e dal lato sinistro della sua bocca fuoriesce una spada fiammeggiante, simbolo della suprema giustizia. A ribadire il concetto, sempre a sinistra, un cartiglio curvo cita la celebre formula di condanna nel latino della Vulgata: “Discedite a me, maledicti, in ignem aeternum, qui praeparatus est Diabolo et angelis eius”.
Sotto di lui c’è San Michele arcangelo, principe del giudizio celeste. San Michele è raffigurato giovane e bello (secondo la concezione fiamminga di bellezza), perché immortale ed eterno, e perché incarnazione della giustizia divina: è lui che ha infatti guidato prima di tutti i tempi le schiere angeliche contro Lucifero e gli altri angeli ribelli ricacciandoli nel baratro dell’Inferno.
Come Cristo, anche l'arcangelo fissa lo spettatore, come per coinvolgere nel giudizio non solo i risorti che lo circondano, ma anche ognuno che guarda il dipinto: per questo, il piede sinistro in posizione avanzata sembra dirigersi verso lo spettatore, chiamandolo ad entrare nell’opera e nel suo significato.
Gli ornamenti liturgici che indossa l’angelo sono quelli sontuosi di un diacono. Il capo, privo di aureola, è circondato da un diadema, un cerchietto nero ornato da un gioiello composto da un rubino, simbolo della passione, circondato da cinque perle, simbolo di purezza nonché di eterea e mistica bellezza. Sebbene i suoi gesti facciano eco a quelli di Cristo, l'angelo non benedice né rimprovera, ma si dedica completamente all'atto del giudizio.
San Michele è raffigurato nell’atto di sollevare in alto la grande bilancia ad ago affinché tutti possano vederla e inoltre allontana la mano sinistra dal manico, per mostrare l’assoluta imparzialità del giudizio.
Ai lati del pannello centrale la composizione si sviluppa su due livelli.
Quello in alto è tutto circondato da una nuvola dorata, sulla quale siedono gli apostoli, giudici del tribunale celeste, oltre a un papa, un vescovo, un re, un monaco e tre sante donne.
Sotto di loro alla base dal polittico c'è la terra, da cui emergono le anime risorte, per andare verso la maledizione o la beatitudine eterna.
La suddivisione nei diversi pannelli non spezza in ogni caso la continuità del racconto, piuttosto articolato e molto ricco di personaggi, anzi l’opera mantiene sempre una struttura molto unitaria. Per affrontare organicamente la suddivisione dei pannelli, van der Weyden ha dato infatti unitarietà all'insieme, con molti elementi figurativi che continuano tra uno scomparto e l'altro, come per esempio con il tema dell'arcobaleno che si estende dal pannello centrale su entrambi i pannelli laterali con la Vergine Maria a un'estremità dell'arco e San Giovanni Battista all'altra. E ancora con il fondo oro, simbolo della luce eterna, di cui Cristo, “Lux mundi”, è l'incarnazione: la nuvola dorata circonda tutta l'epifania celeste e tutti coloro che lo accompagnano e che ne costituiscono la corte, anche se simbolicamente la nube perde di intensità a mano a mano che si allontana da lui.
Nei due pannelli mobili più in alto volano degli angeli che, rafforzando l’immagine dell’ostensione delle piaghe sul corpo di Gesù, mostrano gli strumenti della sua passione: nelle loro mani, velate in segno di rispetto, ci sono la grande croce, la canna, la corona di spine, la spugna dell’aceto, la lancia di Longino, il flagello e la colonna della flagellazione.
La parusia del Cristo, cioè la sua seconda venuta in terra sulle nuvole del cielo, si arricchisce nel secondo livello di quattro pannelli mobili, più grandi di quelli del livello superiore. Nella parte più alta di questo secondo livello c’è la corte celeste, altre figure anch’esse circondate da una nube di luce incandescente.
Osserviamo il lato sinistro
Fig. 7
E ora osserviamo il lato destro.
Fig. 8
Accanto all’arcobaleno siedono due figure oranti: a sinistra c’è la Vergine Maria, la madre di Gesù, e a destra c’è San Giovanni Battista, il precursore di Cristo e colui che per primo aveva avvertito la presenza divina in lui: la loro funzione è quella di intercedere per l’umanità risorta, cercando di placare l’ira del giudice, non per merito ma per pietà.
In seconda fila poi, sugli scranni di questo tribunale celeste, siedono i dodici apostoli con i loro sgargianti mantelli, ma sono quasi tutti indistinguibili essendo essi privi dei loro rispettivi attributi iconografici.
In terza fila siede poi una rappresentanza selezionata di beati: a sinistra c’è il gruppo degli uomini a destra c’è il gruppo delle donne.
Il primo beato è un papa col volto ancora giovane, la tiara in testa, è vestito con i suoi ornamenti liturgici. Alla sinistra del papa, un re, anch'egli giovane, porta una corona di gigli sui capelli ricci. La sua sontuosa veste di broccato verde e oro è foderata di pelliccia marrone, apparentemente di zibellino. Due personaggi, più in disparte e appena visibili, sono un vescovo, riconoscibile dalla mitra decorata come la tiara e la corona con picche, alternando rubini e zaffiri. Il quarto personaggio forse un abate ha la carnagione più chiara e rosata rispetto agli altri, capelli molto brizzolati abiti neri.
Sul lato femminile, i tre volti sono tutti e giovani e idealizzati. I lunghi capelli sparsi sulle spalle indicano che siano sante vergini.
Si può ipotizzare che si tratti di Santa Margherita, Santa Caterina e Santa Barbara. Queste tre sante, vergini e martiri, sono spesso associate e fanno parte dei quattordici grandi "intercessori" NOTA[1].
Santa Caterina, come Santa Barbara, protegge i moribondi, inoltre esse rappresentano la vita attiva e quella contemplativa in cui le suore dell'ospedale potrebbero trovare la loro ispirazione.
La santa con il diadema è Santa Margherita: indossa un mantello rosso vivo con risvolto verde la cui bordatura dorata è molto consumata. L'abito blu completamente scurito è bordato ai polsi di pelliccia bianca. Dal collo sporge una camicia bianca. I capelli castani sono trattenuti da una tiara nera ornata di gioielli di perle e di pietre blu e rosse incastonate in oro. Gli occhi sono chiari (con puntini rossi). Santa Caterina d'Alessandria è incoronata, indossa un abito e un mantello intonati, grigio azzurro chiaro. Una camicia bianca fuoriesce dalla la scollatura. Sui suoi capelli rossi porta una corona d'oro guarnita di perle, rubini e zaffiri. Gli occhi sono castani.
Santa Barbara con l’acconciatura a pieghe ha i capelli castani con riflessi dorati. La sua carnagione è più scura. Il mantello appena visibile sembra nero. All'altezza del collo si intravede il bianco della camicia. Gli occhi sono chiari. Il corpetto, su fondo blu scuro, è ricamato con due file, una di perle dai riflessi bluastri, l'altra di rubini bordati su ciascun lato da perle d'oro.
Dall’atmosfera celeste circonfusa di luce dorata si scende quindi sulla terra. Siamo nella valle di Giosafat e quattro angeli in volo suonano le lunghe trombe, i cui squilli risvegliano i morti.
La scena della risurrezione dei corpi è impressionante e l’intero registro inferiore è dedicato all'umanità giudicata: la crosta del terreno si spacca e si frantuma sotto la spinta dei sepolti, alcuni sono appena svegli, i corpi si riaffacciano all’aria aperta rompendo la superficie della terra e, via via che essi escono dai loro sepolcri si rivolgono al giudice in attesa della sentenza. Questi corpi nudi, vagando in attesa del giudizio, e si separano, dapprima lentamente e distanziati, poi sempre più velocemente in gruppi sempre più compatti, occupando tutta la fascia inferiore del polittico.
La dimensione è tutta terrena diversamente dall’imperturbabilità della parte celeste. I gesti diversi rappresentano la sorpresa, la preghiera, il terrore o la gioia. La divisione irrevocabile avviene già in basso dell'asse centrale, cioè ai piedi di San Michele.
Il contrasto fra loro è marcato fin dal centro: un uomo in alto, una donna in basso. Dietro di loro, ancora un uomo e una donna, a mezzo busto, con le braccia alzate: l'autore sembra indulgere sulla maledizione di Eva. Dopo due uomini soli, ai lati, vengono due coppie.
La simmetria è rotta dalle due ante mobili: in esse prevale il pessimismo tipico di van der Weyden: gli eletti sono infatti più rari, i dannati invece più numerosi.
Secondo l'Elucidarium di Onorio d'Autun, il monaco teologo e filosofo vissuto tra gli ultimi decenni dell’XI secolo e la prima metà del successivo, i morti sono tutti resuscitati a trentatré anni, età ritenuta perfetta, come l’età della crocifissione di Cristo.
Anche la parte bassa dei cinque pannelli mostra un paesaggio continuo in cui tutti i corpi dei risorti sono raffigurati nudi e, avendo già ricevuto il loro giudizio contestualmente alla resurrezione dei corpi, si muovono verso la loro destinazione finale.
I due gruppi di risorti sono raffigurati in scala più piccola e più umana rispetto a quella dei santi che giganteggiano sopra di loro e sono ineluttabilmente spinti verso il loro destino.
Sulla terra più ci si avvicina al Paradiso, più i fiori abbondano. I destinati alla beatitudine si dirigono verso un giardino verdeggiante e un angelo li indirizza verso le scale della Gerusalemme celeste, il Paradiso, che ha la forma di una cattedrale gotica, con un ampio portale ad arco, due guglie, un’alta terrazza e una torre, antitesi della torre di Babele. Il cielo è raffigurato come un fiammeggiante portico gotico con una luce che conduce al divino.
È curioso notare che sono solo due le figure femminili del gruppo che sono sul punto di ascendere al Paradiso. Ma non deve stupire perché ai tempi di van der Weyden, la donna era ancora considerata una tentatrice e quindi per lei era più difficile salvarsi che per un uomo.
Sul lato opposto, si forma invece il corteo dei dannati, accomunati dalle espressioni di terrore, di rabbia e di repulsione: essi, schiacciati sotto il peso dei loro peccati, emergono dolorosamente dalla terra secca e spaccata, circondati da scintille di fuoco e da scie di fumo.
Le figure dei dannati sono tormentate e distorte dal loro stesso odio e i loro volti sono stravolti dalla follia della cattiveria: presi dalla rabbia collettiva, essi non possono piangere, non ne sono in grado, invece, urlano e si dimenano, perché la loro stessa insensatezza li destina al castigo eterno.
L’Inferno che li divora ha l’aspetto di una buia caverna, illuminata solo da sprazzi sinistri di livide fiamme e in questo baratro i dannati precipitano, vanificando anche i loro ultimi tentativi di resistenza.
L’Inferno di van der Weyden è un inferno stranamente e insolitamente privo di diavoli che esercitino costrizione fisica sui peccatori ed è rappresentato semplicemente da mucchi di rocce nere che diffondono fiamme e vapori vulcanici. Quest'assenza di demoni proviene dall'atteggiamento intellettuale del nascente Umanesimo: van der Weyden non indugia sui dettagli macabri o sulla descrizione delle pene fisiche, essendo di per sé sufficiente la forza della coscienza del loro peccato a tormentarli, e questo rende quest'opera un caso unico nelle rappresentazioni del Giudizio Universale perché è giocata tutta sui moti interiori e sui sentimenti dei personaggi. Alcuni particolari sono certamente di un crudo realismo, ma nell'insieme la visione infernale si distacca dalla scene sovraffollate e allucinate del tardo Medioevo.
Ma ritorniamo ora al protagonista Nicolas Rolin.
Nel 1455, la cancelleria impose una tassa alla nobiltà borgognona per finanziare una possibile crociata con la quale Filippo il Buono voleva liberare la Terra Santa dai Turchi ottomani che l’anno precedente avevano conquistato Bisanzio, ponendo fine all’Impero Romano d’Oriente.
Questo portò quasi ad una rivolta guidata da tale Jean de Granson, arrestato successivamente su iniziativa di Rolin: all’arresto seguì un processo in cui de Granson fu condannato a morte per alto tradimento.
Per attaccare la posizione di Rolin, quest’incidente fu usato dai fratelli de CroyJean, Signore di Chimay e Baglivo dell’Hainaut, e Antoine, primo ciambellano del Duca, anch’essi importanti consiglieri di Filippo e da molto tempo scontenti della posizione prevalente di Rolin, pertanto cercavano solo un'occasione per screditarlo. L’occasione si presentò nel 1457 in occasione di una lite tra Filippo e suo figlio Carlo, il futuro duca Carlo I il Temerario, suscitata dalla duchessa Isabella.
Fig. 9
Nella lite, Rolin si era schierato con il giovane Carlo dal temperamento focoso e i fratelli de Croy con il duca. Da quel momento in poi Rolin fu discreditato e, pur rimanendo Cancelliere, fu tenuto lontano dai più importanti affari di stato.
Rolin non apparteneva alla nobiltà borgognona, ma aveva raggiunto la posizione più alta che si potesse raggiungere alla corte di Filippo III ed era stato perfino nominato cavaliere, nomina che faceva di lui un esponente della nobiltà minore. Al famoso banchetto del fagiano del 1454 nella cui occasione Filippo il Buono aveva espresso la sua intenzione di partire per una crociata con il solenne Giuramento sul Fagiano, Rolin era stato l'unico non nobile alla tavola d'onore del duca.
Durante la sua vita Rolin aveva accumulato enormi ricchezze grazie al suo lavoro proficuo e instancabile per la Borgogna, ma nonostante la sua posizione economica e politica così elevata non godeva di un altrettanto elevato status sociale. Grazie all’ingente ricchezza accumulata, riuscì a far sposare i suoi figli con i discendenti della migliore nobiltà borgognona: siccome a corte c’erano esponenti dell’alta nobiltà di status elevato, ma senza grandi mezzi e Rolin fece quindi frenetici tentativi di migliorare il suo status grazie ai matrimoni dei figli e grazie anche al suo terzo matrimonio con Guigone de Salins, discendente dell'alta nobiltà borgognona che, all’incirca nel 1424, diventò anche dama di compagnia della duchessa.
Ma accanto a questo impegno pubblico Rolin era anche un uomo profondamente intriso di fede religiosa, e usò parte delle sue grandi ricchezze per mecenatismo e per beneficenza dedicandosi alla realizzazione di opere pie.
Nella sua opera di committente e di mecenate, Rolin si rivolse agli stessi pittori apprezzati dal duca. Jan van Eyck lo ritrasse intorno al 1434 nella Vergine con il cancelliere Rolin, destinato alla sua cappella nella Chiesa di Notre Dame du Châtel ad Autun e dieci anni più tardi Rogier van der Weyden lo ritrasse nel Giudizio universale dipinto per un'altra delle sue fondazioni, l’Hôtel-Dieu de Beaune.
Nicolas Rolin diede luogo alla fondazione di altre opere pie: nel Convento dei Celestini ad Avignone fondò anche una cappella insieme a suo figlio che ebbe una relazione con una delle suore e gli diede un figlio, che riconobbe Jean VI Rollin. Nella chiesa collegiata di Autun Notre-Dame du Châtel fece erigere una cappella con un capitolo di undici canonici.
Nonostante però tutte queste opere di devozione i cronisti dell’epoca Jacques du Clercq e Georges Chastellain lo hanno descritto di un pragmatismo ai limiti del cinismo. Le critiche negative dei suoi contemporanei, probabilmente in gran parte dovute alla gelosia per le vette raggiunte in Borgogna, sono rimaste impresse come una lettera scarlatta su Nicolas Rolin fino ad oggi.
Morì nel 1462, all'età di 85 anni e fu sepolto nella chiesa da lui fondata, distrutta durante la Rivoluzione francese.
                                                Massimo Capuozzo
____________________________________________[1] NOTA AGIOGRAFICA – Nel Trecento la Peste Nera devastò città e campagne d’Europa, e i cristiani supplicavano Dio di risparmiarli da quella malattia mortale.
Per aiutare ad rafforzare le proprie preghiere, in Germania i cristiani si rivolsero a un gruppo di santi noti per il loro intervento miracoloso. Li invocavano collettivamente, come gruppo, e quest’ultimo è poi diventato noto come i 14 Santi Ausiliatori.
In seguito fu sviluppata una litania che riunisce i Santi Ausiliatori, invocandoli perché entrassero in azione, e questa offre anche un breve riassunto di chi fosse ogni santo e il beneficio spirituale che era richiesto: San Giorgio, coraggioso martire di Cristo, San Biagio, vescovo zelante e benefattore dei poveri, Sant’Erasmo, potente protettore degli oppressi, San Pantaleone, esempio miracoloso di carità, San Vito, protettore speciale della castità, San Cristoforo, potente intercessore nei pericoli, San Dionisio, esempio brillante di fede e fiducia, San Ciriaco, terrore dell’Inferno, Sant’Agazio, prezioso avvocato al momento della morte, Sant’Eustachio, esempio di pazienza nelle avversità, Sant’Egidio, disprezzatore della mondanità, Santa Margherita, coraggiosa sostenitrice della Fede, Santa Caterina, difenditrice vittoriosa della Fede e della purezza, Santa Barbara, potente patrona dei morenti.

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