mercoledì 13 aprile 2011

Uno stravagante SS dalla penna di Cardini e Gori. Di Annamaria Del Balzo

Intendo presentare un articolo della Sig.ra Annamaria Del Balzo e ringraziarla della sua gentile e colta collaborazione

Massimo Capuozzo


La rappresentazione delle difficili convivenze con i nazisti, cui spesso la guerra poteva dare vita anche sul piano investigativo, è seguita in questa particolare prospettiva in Lo specchio nero, tra il capitano Bruno Arcieri, un investigatore animato da un profondo senso dello Stato e ad un codice morale rispetto al quale non transige, ed il colonnello Dietrich Von Altenburg delle SS, i due protagonisti di una sfaccettata indagine che recupera interessanti e aspetti del nazismo esoterico poco noti al grande pubblico. Scritto a quattro mani – è prassi ormai consolidata quello della scrittura di polizieschi da parte di scrittori di matrici culturali diverse, a partire dalla premiata ditta Fruttero & Lucentini – da Leonardo Gori e da Franco Cardini, Lo specchio nero, pubblicato da Hobby & Work nel 2004, non è solo un romanzo poliziesco al fulmicotone, ma è soprattutto un viaggio nella memoria di una generazione che ha ricostruito l’Italia a favore di tutti, ma per il vantaggio di pochi, una rievocazione storica di una pagina fondamentale per lo sviluppo del nostro Paese: Franco Cardini, studioso dotto ed apprezzato docente di Storia medievale – notevoli i suoi saggi sulle Crociate – scrittore di romanzi a sfondo storico alla Eco, sebbene meno dotati di battage pubblicitario, e Leonardo Gori, già apprezzato maestro del poliziesco, riuniscono ed intrecciano temi civili e politici che condizionano ancora il nostro presente, plasmandoli in un giallo serratissimo, esplosivo, indignato, col cuore in gola e senza un attimo di tregua. Il romanzo è ambientato a Firenze a novembre del 1940 negli anni bui delle leggi razziali. I protagonisti sono Elena Contini, un’eterea ragazza ebrea fiorentina, storica dell’arte colta, raffinata, appartenente all’èlite sociale, non più ricca, per chiari motivi, Dietrich Von Altenburg, discendente da una famiglia nobile della Turingia – un suo avo era stato Gran Maestro dei Cavalieri dell’Ordine teutonico – è un colonnello delle SS, ma un SS anomalo, eccentrico e raffinato, che ha affinità notevoli con la giovane e con la sua cerchia ristretta ed ultimo, ma non meno interessante il capitano dei Regi Carabinieri, Bruno Arcieri, già protagonista di altri romanzi di Gori, borghese, di buona, ma non di eccelsa cultura, innamorato della ragazza, disgustato da molte cose, geloso del tedesco ed al tempo stesso consapevole che il mondo della donna che ama non è e non potrà mai essere il suo. Von Altenburg ed Arcieri sono divisi dalla rivalità amorosa che si scatena a causa della seducente e sfuggente Elena, che richiama per certi versi la bassaniana Micol Finzi Contini. Elena e Von Altenburg attendono sullo stesso marciapiede della stazione di Firenze l'arrivo di Giacomo Anagni, un anziano artigiano, anch’egli ebreo, proveniente da Parigi, ma nessuno dei due sa dell’altro. Quando il treno giunge, Giacomo Anagni è morto. Nel corso di una cena, Elena è convinta ad accettare una richiesta di collaborazione da parte di Von Altenburg: aiutarlo a scoprire chi ha ucciso Anagni e recuperare una preziosa copia dello Specchio di Montezuma, che l'artigiano avrebbe dovuto consegnargli. Tutta la vicenda si svolge tra una Firenze, che emerge nei suoi vari aspetti, culturali, sociali, storici, ambientali ed una Parigi sotto il giogo di Hitler, minacciosa ed insieme soggiogata. Fra le due città c’è uno strano traffico di opere d’arte, anzi di copie, di omicidi, di razzismo in cui nessuno è quello che sembra. Dopo il successo de Lo specchio nero, Franco Cardini e Leonardo Gori sono tornati a narrare un’avventura coinvolgente ed appassionante in Il fiore d'oro, edito da Hobby & Work nel 2006, un racconto in cui la fantasia più sfrenata si unisce ad una ricostruzione storica impeccabile e ad un intreccio giallo tesissimo. In questo romanzo che intesse scienza ed esoterismo il protagonista assoluto è Von Altenburg. La vicenda è ambientata nella primavera 1944, l'ultimo anno di guerra tra Venezia – raccogliticcia Cinecittà che il Fascismo di Salò cercò di crearvi – ricamata di calli pittoresche, ma capaci anche trasformarsi in trappola, dove da ogni viuzza può spuntare la pistola di un sicario in agguato, e Gardone, tra gli sfarzi decadenti delle stanze del Vittoriale degli Italiani, la lussuosa villa-mausoleo in cui Gabriele D’Annunzio visse dal 1921 fino alla morte. Il fiore d’oro intreccia misteri da spy story, con l'individuazione del mandante di omicidi seriali da detective story, l'avventura con la spasmodica ricerca del Fiore d'oro, il tutto rinsaldato dal romanzo storico: significative le pagine dedicate a Wagner, a Jung, a D’Annunzio – con la descrizione architettonica della sua villa sul lago di Garda e con i suoi versi – alla cultura giapponese, alle ricerche segrete del Terzo Reich, alla lotta clandestina contro la tirannia. E queste sono soltanto le suggestioni salienti che i due autori utilizzano con gusto squisito e con citazionismo mordace, per confezionare un romanzo originalissimo, avvincente, vorticoso, una pietra miliare del poliziesco italiano per la sua capacità di avvincere e di stupire il lettore dalla prima all’ultima pagina. Il romanzo si apre con il cadavere di un certo Carlo Manin, un uomo qualunque, ripescato dal Canale di San Pietro: le autorità dichiarano che è un annegamento accidentale, ma la sua morte si rivela pian piano il fulcro di una straordinaria trama, che ha diramazioni sulle acque della Laguna, ma il suo centro è su quelle del Garda. Alla morte di Carlo Manin ne seguono altre ed altrettanto misteriose ed a Dietrich Von Altenburg, ormai caduto in disgrazia agli occhi del Terzo Reich – attraverso una serie di incastri nelle pagine del libro emerge la memoria della guerra vissuta dal protagonista sfuggito al fronte russo, dove ha rischiato la corte marziale per non aver obbedito ad un ordine di rappresaglia nei confronti di un paese della Crimea – due agenti impongono un nuovo compito, che non può rifiutare: seguire la missione tedesca a Gardone per recuperare un misterioso e mistico gioiello, il fiore d'oro, un potente talismano dall’ambiguo potere, che Wagner aveva ricevuto da Schopenhauer e di cui D’Annunzio s’era appropriato alla morte del compositore. Ma Il fiore d’oro è anche il titolo di un film mai realizzato dal poeta ed una spedizione di ricerca dell’Ente Cinematografico di Berlino sta setacciando il Vittoriale alla ricerca delle fantomatiche didascalie che il Vate scrisse di suo pugno per un kolossal mai realizzato: nessuno ne conosce il soggetto, ma i nazisti intendono trovarle per farne un film di propaganda. A Gardone Von Altenburg ritrova Elena Contini che prima della guerra lavorava alla sovrintendenza alle belle arti a Firenze, ma che ora lavora in una troupe cinematografica italiana che intende realizzare il film incompiuto di D’Annunzio. Obbedendo alle direttive di misteriosissimi superiori, Elena e Dietrich uniscono le loro forze per risolvere l’enigma e si addentrano a poco a poco in un labirinto disseminato di trappole mortali, risalendo l’esile traccia di un fiore d’oro. Ma dietro le mura della villa si celano però altri giochi, altri segreti ed altri ambigui personaggi. Che cos’è realmente il fiore d'oro e che cosa lega tra loro D'Annunzio e Guglielmo Marconi? Forse è qualcosa di più importante di un gioiello o di una sceneggiatura sia pur dannunziana: forse è un’arma di inimmaginabile potenza, un’invenzione dagli immani effetti, nata dalle ricerche di Guglielmo Marconi sulle radiazioni elettromagnetiche ed il cui segreto potrebbe ancora essere custodito nella casa dell’amico poeta, qualcosa di così terribile il cui possesso potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte non solo dei due investigatori, ma che potrebbe influenzare l'esito della guerra in corso ed i destini dell’intero genere umano. Il Vittoriale diventa una perfetta trappola, la collocazione ideale per una trama gialla piena di colpi di scena. A sostanziarla c’è la ricostruzione puntigliosa di un momento storico preciso, quello dell’Italia allo sbando della Repubblica di Salò, degli ultimi, macabri, lampi di guerra, dell’insicurezza e del sospetto, ma anche l’evocazione di un certo clima culturale: gli autori si intrattengono, infatti, senza remore nelle descrizioni delle stanze, degli ambienti, della cultura giapponese e di quella tedesca, Jung Wagner e Nietzsche, legati da un segreto carteggio, fino ad arrivare alla cultura himalayana, col culto della luce azzurra. In queste pagine affiora la storia del cinema italiano del Ventennio, dagli anni d'oro di Cabiria e Quo Vadis agli anni bui, con la crisi seguente all'ingresso del sonoro. Nel mentre emergono piccoli dettagli, apparentemente insignificanti di una storia che man mano, diventa sempre più intricata e pericolosa. Più di Elena se ne rende conto Dietrich, quando anch’egli sfugge ad un misterioso imprendibile sicario che ha cominciato a seminare cadaveri anche nella villa: non sa chi di può fidarsi, se degli italiani – non sa se sono antifascisti o solo persone di cinema – ma nemmeno dei suoi connazionali, che nel frattempo stanno svuotando il Vittoriale che D'Annunzio aveva trasformato in un enorme museo antitedesco.Dietrich capisce di essere al centro di una vicenda che coinvolge i servizi segreti dei diversi paesi belligeranti e che la sua unica salvezza sarà quella di doversi fidare per forza, oltre che del suo istinto che lo aveva già salvato dall'orrore della guerra, di una persona del fronte opposto, in nome di quei valori umani che trascendono l'appartenenza ad un fronte o ad un altro.

Annamari Del Balzo

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