venerdì 1 aprile 2016

Troppa morale fa male! Di Linda Gambardella.

La morale intransigente di Paolo IV Carafa in un’epoca libertina come il Rinascimento…
Gian Pietro Carafa nacque a Sant’Angelo, presso Avellino, da Giovanni Antonio dei Conti Carafa, appartenente al ramo nobile Napoletano di questa famiglia e da Vittoria Camponeschi, figlia di Pietro Lalla, ultimo conte di Montorio. Terzo di nove figli, i genitori ne affidarono l’educazione al mentore, suo zio Oliviero Carafa, che da subito lo introdusse nella Curia romana, dove ricoprì diversi incarichi fino all’ascesa al soglio papale.
Già Alessandro VI Borgia voleva inserirlo nella sua corte, ma siccome egli era uomo di forte moralità, si oppose energicamente.
Convocato nel 1522 presso la corte di Adriano VI Floorenzsoon, un papa decisamente conservatore che voleva riformare la chiesa riportandola alle antiche tradizioni, il papa gli affidò la riforma della Curia romana e del Clero: ma due anni dopo Gian Pietro Carafa presentò le dimissioni e chiese al pontefice in carica, che allora era Clemente VII de’ Medici, di rinunciare a tutti i suoi beni e di potersi ritirare in vita solitaria. Carafa entrò così nell’ordine del Divino Amore, l’oratorio dove conobbe molti futuri amici, tra questi ricordiamo particolarmente Gaetano da Thiene con il quale fondò l’ordine dei frati Teatini: l’istituto religioso maschile di diritto pontificio, sorse con lo scopo di restaurare la primitiva regola apostolica, la quale prevedeva uno stile di vita rigido e ascetico e che caratterizzò i principi della Controriforma.
Dopo il sacco di Roma nel 1527, Gian Pietro Carafa, si rifugiò a Venezia, dove compose una celebre opera ”Il Memoriale”, dedicato a Clemente VII de’ Medici nel 1532, sul dilagare dell’eresia: in quest’opera egli proponeva di affidare i processi all’Inquisizione e di punire severamente gli eretici.
Paolo III Farnese, eletto Papa, chiamò Gian Pietro Carafa nel comitato della corte papale e siccome era uno dei suoi preferiti, lo nominò cardinale e gli assegnò l’arcivescovado di Napoli, ma Gian Pietro Carafa, non riuscì mai a prenderne possesso a causa dell’ostilità di Carlo V, quindi si impegnò a ricoprire cariche di responsabilità nel Concilio di Trento.
Alla morte di Marcello II Cervini, Gian Pietro Carafa salì al soglio papale, con grande sorpresa, poiché non era tra i favoriti del conclave a causa del suo carattere e dei suoi 79 anni d’età, che fecero pensare che egli declinasse l’incarico. Ma Carafa, non si sa bene per quali motivi accettò e il 23 Maggio 1555 fu incoronato con il nome di Paolo IV.
Divenuto papa si inimicò tutte le monarchie europee e combatté gli Spagnoli solo per portar via loro Napoli, così sviluppò un’intesa con la Francia che si concluse con un’alleanza segreta con Enrico II e con una guerra contro il Regno di Napoli o meglio contro l’imperatore Carlo V e i suoi ideali politico-religiosi e contro un giovane re di Spagna, Filippo II, considerato in un primo momento da papa Carafa del tutto simile a suo padre, fu l’ultimo dei tanti conflitti che sconvolsero la penisola italiana tra il 1494 e il 1559, l’epoca delle cosiddette “guerre d’Italia”.
La guerra di Paolo IV contro Carlo V e Filippo II può apparire politicamente assurda. Essa è stata a lungo considerata un episodio assai insignificante per la comprensione degli eventi che portarono alla pace di Cateau-Cambrésis: i giochi per la supremazia sull’Europa si svolgevano  ormai fuori dall’Italia, e fu soprattutto l’esito dello scontro tra Francesi e Imperiali nelle Fiandre con la disfatta francese di San Quintino del 1557, a sancire la fine della partita. Tuttavia fu proprio questa guerra a innescare l’ultima fase, quella decisiva, del confronto franco-spagnolo: essa si situa in un periodo assai rilevante della storia europea. Fu l’ultima guerra condotta da un pontefice contro gli Asburgo: i decenni successivi alla riappacificazione di Paolo IV con Filippo II videro il felice consolidarsi dell’alleanza tra il Papato e il sovrano spagnolo e la piena affermazione della Controriforma nell’Europa cattolica.
Paolo IV tenne in considerazione, prima di tutto, gli interessi religiosi, ai quali diede la priorità rispetto agli interessi politici. Giunse al pontificato in tarda età, quasi ottantenne, dopo aver maturato una lunga serie di esperienze nel campo della diplomazia pontificia, della direzione dell’ordine dei Teatini, del governo della Chiesa a livello episcopale e curiale, in un momento storico del tutto eccezionale, un vero e proprio tornante della storia mondiale: si svolgeva l’atto finale della partita tra Francia e Spagna per l’egemonia sull’Italia e sull’Europa, si esauriva il sogno imperiale di Carlo V, la Riforma protestante si stabilizzava in Germania e in Svizzera, le sessioni del concilio di Trento erano sospese dal 1552 e la sua riconvocazione era incerta, all’interno della gerarchia ecclesiastica il conflitto tra i due partiti degli spirituali e degli intransigenti era al suo culmine... Le due potenze che si fronteggiavano per l’egemonia sull’Europa erano attraversate da profondi conflitti religiosi, che turbavano la stabilità delle istituzioni politiche.
Basta pensare ai conflitti intorno all’Inquisizione spagnola o alla incredibile avanzata del calvinismo nel regno di Francia, che nel giro di pochi anni sarebbe piombato nel sanguinosissimo baratro delle guerre di religione, per rendersi conto di quanto la situazione fosse incerta e complicata nei due stati che si contendevano l’egemonia sull’Europa.
D’altronde nella stessa Italia, patria del cattolicesimo romano, il movimento protestante, a dispetto della repressione messa in atto dalle autorità statali, non era stato ancora stroncato definitivamente e continuava a rappresentare una seria minaccia all’egemonia cattolica.
Paolo IV aveva molto chiaro questo quadro e riteneva di dover agire in modo forte per preservare la purezza della fede e sicuramente riponeva poca fiducia nell’assemblea conciliare, pertanto tentò di effettuare una riforma con altri metodi, potenziando il Sant'Uffizio e pubblicando nel 1559 l'Indice dei libri proibiti , un elenco di testi la cui lettura veniva proibita ai fedeli per via di contenuti eretici o moralmente sconsigliabili.
Una minaccia per la purezza della fede era rappresentata da Carlo V, “imperatore eretico” secondo la definizione di papa Carafa, protettore politico dei maggiori avversari di Gian Pietro Carafa in curia, i cardinali Reginald Pole e Giovanni Morone. Gli “spirituali”, per Paolo IV, erano eretici della peggior specie. La guerra di Paolo IV contro gli Asburgo fu da lui concepita come una guerra contro un sovrano eretico, che mirava alla rovina della Chiesa. La rovina si sarebbe verificata se personaggi come Morone o Pole fossero ascesi al soglio papale grazie all’appoggio dell’imperatore. Tutti i mezzi per allontanare questa eventualità erano buoni. La stessa nomina del Pole ad arcivescovo di Canterbury al posto dello scismatico Thomas Cranmer, leader della Chiesa anglicana destinato al rogo, decretata nel concistoro dell’11 dicembre 1555, era volta a stabilizzare la posizione del Pole in Inghilterra in modo tale da tenerlo lontano da Roma e scongiurare la sua elezione al papato.
Deluso dagli insuccessi politici, si votò alla Riforma: egli voleva riformare la chiesa con la sua attività diretta e per estirpare le eresie, istituì nel 1556 una Congregazione generale per la Riforma, composta da 72 membri, successivamente divisi in 4 sezioni.
Paolo IV sancì l’obbligo di residenza per i vescovi e limitò ogni forma di devozione ereticale; pochi anni dopo affiancò all’Inquisizione la Congregazione dei Libri Proibiti, l’Index Prohibitorum Librorum, che conteneva tutti i titoli degli gli scritti eretici per la chiesa; primeggiarono in quest’indice, il “Decameron” di Boccaccio, il “Principe” di Machiavelli e tutte le edizioni della Bibbia Protestante. Impose inoltre riforme durissime che non risparmiarono neppure Roma.
Sostenne suo nipote Carlo Carafa, uomo profondamente immorale che approfittò di suo zio per le sue losche manovre, ma appena Paolo IV, si rese conto dei traffici del nipote, procedette con la destituzione da tutte le  cariche e con l’esilio di quest’ultimo: tuttavia non riuscì mai a risanare i danni causati dal nipote.
Il 12 Luglio 1555, Paolo IV emanò la bolla “Cum Nimus Absurdum” con cui istituì i ghetti ebrei, ossia revocò tutti i diritti concessi agli ebrei, evitando le persecuzioni volute dal Concilio di Trento, ma sancendo la totale separazione tra cristiani ed ebrei, che portò poi ad una rivolta popolare.
Tra tutti i pontefici più discussi della chiesa, Paolo IV è ricordato soprattutto per la costanza che usò per combattere le eresie, per la sua notevole opera di riforma e per il suo spirito conservatore che sebbene giusto si attirò le ostilità del popolo Romano. Il suo pontificato non realizzò il rinnovamento della chiesa, ma sicuramente rappresentò un passo in avanti.
Paolo IV  morì nel 1559, dopo solo 4 anni di pontificato.
Appena il popolo Romano apprese la notizia, abbatté tutti gli emblemi di casa Carafa, assalì e distrusse il Palazzo dell’Inquisizione, incendiandolo, trascinò per le strade di Roma la statua del papa posta in Campidoglio e in segno di derisione, le pose sul capo un berretto giallo, istituito dal papa stesso per differenziare ed emarginare gli ebrei.

Papa Paolo IV fu uno dei più importanti papi del secondo 500, che tuttavia dopo la morte non fu ricordato piacevolmente per la sua fama di uomo conservatore e minimalista; le sue spoglie furono seppellite di nascosto nel Vaticano e  in seguito spostate dal suo braccio destro Michele Ghislieri nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva.

Nessun commento:

Posta un commento

Archivio blog