Non si conosce a fondo una scienza finché non se ne conosce la storia.
Auguste Comte
La storia di ogni società esistita fino ad oggi è la storia delle lotte di classe.
Karl Marx
Introduzione
Sono passati più o meno 2 secoli da quando siamo entrati nel ciclo storico della borghesia come classe dominante. La sua affermazione è stata possibile grazie alla sua progressiva emancipazione dal giogo delle classi nobili.
Il fenomeno della tesaurizzazione e quello dell’esproprio dei mezzi di sussistenza delle classi depauperate al tempo stesso ha consentito questa polarizzazione in poche mani della ricchezza e dei mezzi per produrla. A nulla sono serviti gli appelli morali o la cultura cristiana ad evitare tragedie, nefandezze e miseria generalizzata. Inutile parlare – per l’appunto - della violenza con cui tale condizione di superiorità è stata raggiunta. Si tratta in primo luogo di una coercizione economica la quale poi ha l’appoggio dello Stato, reale comitato d’affari organizzato anche militarmente, della borghesia.
Non solo questi fenomeni sono stati analizzati – e stigmatizzati - da economisti che nulla avevano a che spartire col Socialismo degli albori, come Smith e Ricardo, ma le loro analisi piene di contenuti problematici sono servite proprio a Marx e al movimento socialista per inquadrare il fenomeno, anche nei suoi risvolti ideologici, e a dare una coscienza del proprio stato ai subalterni, conferendo loro una visione e una strumentazione che gli permettesse di uscire da una condizione di oggettiva oppressione. Peraltro di questa coscienza, fu innervata – seppure con molti distinguo – anche l’esperienza politica del Repubblicanesimo Risorgimentale che giunse fino agli Azionisti (fino agli anni dell’immediato secondo dopoguerra) a cui, al limite, ma proprio al limite, potremmo contestare il fatto di non essersi mai saputi rendere veramente autonomi dalla classe dominante borghese, appunto. Ma di cui nessuno può negare la coscienza dello stato (inteso sia in senso politico-amministrativo sia economico) in cui versavano le classi subalterne dell’epoca.
Lo stesso errore lo potremmo imputare anche a molti comunisti, comunque, che ancora oggi continuano a fare una politica del “male minore”, invece di formare dei quadri che siano coscienti della propria alterità rispetto al sistema.
Il problema è quello delle elite intellettuali: esse oramai, dal sindacalismo alle organizzazioni politiche, sono le elite classiche totalmente integrate nella struttura della classe dominante.
Fatto sta che in questi due secoli concetti generici quanto plasmabili in qualunque modo a seconda delle esigenze di chi domina - come democrazia, libertà, diritto - sono diventati armamentario borghese, declinati unicamente nel senso della necessità di sopravvivenza di questa classe sociale.
Mentre si declinavano questi luminosi concetti, nascondendo che essi erano un grimaldello per omologare l’ambiente sociale ai propri obiettivi e per attaccare chi si opponeva ad essi smascherandone le intenzioni, allo stesso tempo assistevamo a guerre per la spartizione di aree di influenza, in Europa come nel resto del mondo (dove stragi coloniali furono perpetrate con la copertura ideologica di teorie se non apertamente razziste nel senso hitleriano del termine, almeno “differenzialiste”) dove proprio i subalterni erano obbligati a combattere per interessi che non si potevano decentemente definire “propri”, dove la miseria causata dalle sperequazioni classiste imposte dal sistema capitalistico causavano morti per inedia e malattie da far accapponare la pelle.
E dove, a chi si ribellava alle condizioni esistenti, veniva riservato il piombo dei plotoni d’esecuzione o degli eserciti “bianchi”….ma lordi di sangue. E assistevamo a due guerre mondiali, 50 milioni di morti in Europa ormai del tutto dimenticati, segno di quanto considerazione abbia la vita umana per questi falsi cultori dei “diritti dell’uomo”, guerre la cui responsabilità operativa non può che essere ascritta al capitalismo europeo nel suo complesso e non solo a quello italo-germanico.
Dal secondo dopoguerra non abbiamo assistito alla pace, ma ad un mero spostamento del fronte, dove le guerre ma anche le lotte sanguinose per la sopravvivenza di interi popoli (decolonizzazione in Africa ed Asia, movimenti di liberazione in America latina), sono state allora all’ordine del giorno. Mentre questa classe egemone, grazie al potere economico totalitario, predicava i “diritti dell’uomo” a coprire i propri interessi particolari, essa non solo sparava ed uccideva ma cancellava intere culture nel mondo per sostituirle con la propria, cosa di cui ci accorgiamo solo in questi ultimi decenni quando ormai è troppo tardi per esse.
In contemporanea al rafforzamento dei concetti di libertà, democrazia, diritto, ora diritti dell’uomo – ennesimo grimaldello per arrogarsi il diritto di intervenire imperialisticamente laddove i propri interessi economici, sempre ben occultati come in Iraq, lo richiedano – ci si ritrovava di fronte alla creazione forzosa di questo Universalismo borghese – non semplice somma aritmetica di quei concetti – che deve tuttora servire da “extrema ratio” per una auto-difesa dei dominanti.
Esso è stato talmente efficace da aver intaccato le coscienze dei più, identificandosi essi, oramai, con la stessa classe dominante di cui sono una ridicola scopiazzatura (dall’operaio col nuovo fuoristrada acquistato a debito, all’immigrato che vuole diventare occidentale) e semmai, massa di manovra.
È indubbio che questa classe abbia imparato una grande lezione storica (le rivoluzioni che l’hanno messa in discussione nel ‘900) ed è indubbio che essa si sia accorta che è meglio avere dei subalterni, in Occidente, intorno ad essa, in condizioni socio-economiche non miserabili, sia come cuscinetto verso i miserabili veri, sia come struttura sociale in grado di assorbire le esigenze di riproduzione economica del capitalismo.
Ecco la nuova via, il neo-capitalismo, incentrato sul consumo, snodo essenziale e in prospettiva da riprodurre il più ampiamente possibile, per la sopravvivenza del sistema fondato sull’estorsione di lavoro non-pagato dalla quale accumulare capitali.
È indubbio il fallimento della borghesia come classe dominante ed egemone, quella stessa classe che ha sempre promesso (ed ha avuto 2 secoli per dimostrarlo) il migliore dei mondi possibili, ma di cui continuiamo a vedere solo la faccia violenta e senza scrupoli, ed è ora di presentarle il conto.
Innanzitutto dal punto di vista morale. E a chi si identifichi con essa, perché ritiene di avere qualcosa da perdere dalla sua fine, a questo punto chiediamo di guardarsi allo specchio e di chiedere il conto a se stesso.
1) Fenomeno di accantonamento ed occultamento di denaro che viene sottratto dal ciclo economico. Possibile nel medioevo in quanto la produzione per il profitto che andava re-investito in maniera sempre più allargata, non era assolutamente affermata. Essa è resa possibile dall’industrializzazione.
2) Attraverso la separazione tra i produttori diretti, trasformati in operai salariati, e i mezzi di produzione che, concentrati nelle mani degli imprenditori, si trasformano in capitale. È un processo tipico dello sviluppo capitalista.
3) Il risultato di questo miglior mondo possibile è che i 4/5 degli esseri umani vive – oggi – in condizioni penose.
4) Scritto nel 1929, quando Moravia aveva appena 22 anni, il romanzo è a tutt’oggi di un’attualità sconvolgente, quasi che nel corso di questi anni non sia cambiato niente. A ben vedere, se non ci limitiamo solo a guardare le lunghissime autostrade, i palazzi ed i progressi dell’informatica, ma cerchiamo di comprendere i sentimenti, le virtù e le passioni che animano i singoli uomini, allora possiamo trovare una facile spiegazione all’attualità del romanzo. L’indifferenza era ed è ancora oggi uno dei mali principali della nostra società, in cui a dispetto dei progressi della scienza, sempre più forte ed impellente si avverte la necessità di veri contatti umani.
La mia indagine è partita dal saggio Vai a: Navigazione, cerca
Apocalittici e integrati pubblicato da Umberto Eco nel 1964.
In questo testo, il semiologo italiano elenca delle considerazioni pro e contro la cultura di massa, di cui individua aspetti positivi e negativi.
Aspetti negativi
· Si cerca di andare incontro al gusto medio evitando l’originalità.
· La cultura di massa è caratterizzata dall’omologazione culturale. Opinione che rimanda al concetto formulato da McLuhan[1] di villaggio globale[2] dove non esistono più differenziazioni culturali.
· Il pubblico è inconscio di sé come gruppo sociale e subisce tale cultura.
· È presente la tendenza a suggerire emozioni già costruite, con funzione provocatrice si danno le emozioni già pronte.
· I prodotti mass-mediali sono sottomessi a leggi di mercato, diventando oggetto di persuasione pubblicitaria.
· Il pensiero è sclerotizzato e costituito da slogan e citazioni.
· Compresenza di informazioni culturali e gossip.
· Concezione di visione passiva e acritica del mondo, scoraggiando sforzo individuale.
· Incoraggiamento dell’ informazione verso il presente e indifferenza verso il passato.
· Impegno del tempo libero solo a livello superficiale.
· Creazione di mit e simboli con tipi che sono facilmente riconoscibili.
· Il lavoro della mente è rivolto a opinioni comuni (endoxa): la gente ama il conformismo di costumi, valori e principi sociali.
· I mass-media auspicano una società paternalistica e solo superficialmente democratica. I modelli sembrano imposti dal basso ma sono espressione di una cultura degradata, pseudo-popolare e imposta dall’alto.
Aspetti positivi
· La cultura di massa non è identificabile con regimi capitalistici ma è anche espressione di democrazia popolare.
· La cultura si apre a categorie sociali che prima non vi accedevano.
· Spesso l’informazione è sovrabbondante ma ciò può dare una parvenza di formazione a persone che prima non ne avevano.
· Soddisfa la necessità di intrattenimento.
· Permette la diffusione di opere culturali a prezzi molto bassi.
· I mass-media sensibilizzano uomo nei confronti del mondo: aprono scenari prima negati.
Eco cerca di creare positività in un termine spesso usato con accezione negativa. Se siamo inseriti in una società industriale non ci si può staccare dai media. Industria culturale di per sé non è negativa, ma lo è il consumismo, che vede il libro come oggetto di merce: quando però esso veicola dei valori diviene strumento efficace per la sua diffusione.
[1] Herbert Marshall McLuhan (Edmonton, 21 luglio 1911 – Toronto, 31 dicembre 1980) è stato un sociologo canadese.
La fama di Marshall McLuhan è legata alla sua interpretazione visionaria degli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli. La sua riflessione ruota intorno all’ipotesi secondo cui il mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi sull’immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell’informazione di volta in volta veicolata. Di qui, la sua celebre tesi secondo cui "il mezzo è il messaggio".
La galassia Gutenberg In questo libro McLuhan sottolinea per la prima volta l’importanza dei mass media nella storia umana; in particolare egli discute dell’influenza della stampa a caratteri mobili sulla storia della cultura occidentale.
Nel libro McLuhan illustra come con l’avvento della stampa a caratteri mobili si compia definitivamente il passaggio dalla cultura orale alla cultura alfabetica. Se nella cultura orale la parola è una forza viva, risonante, attiva e naturale, nella cultura alfabetica la parola diventa un significato mentale, legato al passato. Con l’invenzione di Gutenberg queste caratteristiche della cultura alfabetica si accentuano e si amplificano: tutta l’esperienza si riduce ad un solo senso, cioè la vista. La stampa è la tecnologia dell’individualismo, del nazionalismo, della quantificazione, della meccanizzazione, dell’omogeneizzazione, insomma è la tecnologia che ha reso possibile l’era moderna.
Alla base del pensiero di McLuhan (e della Scuola di Toronto di cui egli, insieme a W. J. Ong, è il maggiore rappresentante) troviamo un accentuato determinismo tecnologico, cioè l’idea che in una società la struttura mentale delle persone e la cultura siano influenzate dal tipo di tecnologia di cui tale società dispone.
Gli strumenti del comunicare - Questo è tra i lavori maggiormente noti di McLuhan, e costituisce una ricerca innovativa nel campo dell’ecologia dei media. È qui che McLuhan afferma che è importante studiare i media non tanto in base ai contenuti che veicolano, ma in base ai criteri strutturali con cui organizzano la comunicazione. Questo pensiero è notoriamente sintetizzato con la frase "il medium è il messaggio". Tuttavia sarebbe fuorviante ridurre l’analisi condotta ai soli mezzi di comunicazione di massa o mass - media. La riflessione di McLuhan abbraccia, in linea generale, qualsiasi tipo di media. In effetti la versione originale in inglese del libro in questione è titolata Understanding Media (vale a dire Capire i media) mentre la traduzione italiana - "Gli strumenti del comunicare" - trae evidentemente in inganno.
McLuhan afferma che "nelle ere della meccanica, avevamo operato un’estensione del nostro corpo in senso spaziale. Oggi, dopo oltre un secolo di impiego tecnologico dell’elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio" (Mc Luhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967, p. 9). Ad esempio un primo medium analizzato da McLuhan è stato quello tipografico. McLuhan osserva infatti che la stampa ha avuto un grande impatto nella storia occidentale, veicolando la Riforma protestante, il razionalismo e l’illuminismo. Si può dunque asserire che qualsiasi tecnologia costituisce un medium nel senso che è un’estensione ed un potenziamento delle facoltà umane, e in quanto tale genera un messaggio che retroagisce con i messaggi dei media già esistenti in un dato momento storico, rendendo complesso l’ambiente sociale, per cui è necessario valutare dei media l’impatto in termini di "implicazioni sociologiche e psicologiche".
McLuhan afferma che il contenuto di una trasmissione ha in realtà un effetto minimo sia in presenza di programmi per bambini o di spettacoli violenti. Si tratta certamente di una forzatura, questa, che però tende a mettere l’accento sulla struttura dello strumento che sovente viene dimenticata a favore del contenuto. Per esemplificare il solito film (contenuto) visto alla televisione o al cinema (medium) ha un effetto diverso sullo spettatore. Per cui la struttura della televisione e la struttura del cinema hanno un impatto particolare nella società e sugli individui che deve essere colto e analizzato attentamente.
McLuhan osserva che ogni medium ha caratteristiche che coinvolgono gli spettatori in modi diversi; ad esempio, un passo di un libro può essere riletto a piacimento, mentre (prima dell’avvento delle videocassette) un film deve essere ritrasmesso interamente per poterne studiare una parte. È in questo testo che McLuhan introduce la classificazione dei media in caldi e freddi.
Fra le tesi più illuminanti, quella per cui ogni nuova tecnologia (comprese la ruota, il parlato, la stampa), esercita su di noi una lusinga molto potente, tramite la quale ci ipnotizza in uno stato di "narcisistico torpore". Se non abbiamo gli anticorpi intellettuali adatti, questo capita appena ne veniamo in contatto, e ci porta ad accettare come assiomi assoluti, le assunzioni non neutrali intrinseche in quella tecnologia. Se invece riusciamo a evitare di esserne fagocitati, possiamo guardare quella tecnologia dall’esterno, con distacco, e a quel punto riusciamo non solo a vedere con chiarezza i principi sottostanti e le linee di forza che esercita, ma anche i mutamenti sociali diventano per noi un libro aperto, siamo in grado di intuirli in anticipo e (in parte) di controllarli.
Il mezzo è il messaggio
L’espressione "il mezzo è il messaggio" ci dice perciò che ogni medium va studiato in base ai criteri strutturali in base ai quali organizza la comunicazione; è proprio la particolare struttura comunicativa di ogni medium che lo rende non neutrale, perché essa suscita negli utenti-spettatori determinati comportamenti e modi di pensare e porta alla formazione di una certa forma mentis. Ci sono, poi, alcuni media che secondo McLuhan assolvono soprattutto la funzione di rassicurare e uno di questi media è la televisione, che per lui era un mezzo di conferma: non era un medium che desse luogo a novità nell’ambito sociale o nell’ambito dei comportamenti personali.
La televisione non crea delle novità, non suscita delle novità, è quindi un mezzo che conforta, consola, conferma e "inchioda" gli spettatori in una stasi fisica (stare per del tempo seduti a guardarla) e mentale (poiché favorisce lo sviluppo di una forma mentis non interattiva, al contrario di internet e di altri ambienti comunicativi a due o più sensi).
Mass media "caldi" e mass media "freddi"
Questa classificazione ha dato luogo ad equivoci e a discussioni, dovute al fatto che gli aggettivi "caldo" e "freddo" sono stati adoperati in senso antifrastico, cioè in senso opposto rispetto loro reale significato.
McLuhan classifica come "freddi" i media che hanno una bassa definizione e che quindi richiedono un’alta partecipazione dell’utente, in modo che egli possa "riempire" e "completare" le informazioni non trasmesse; i media "caldi" sono invece quelli caratterizzati da un’alta definizione e da una scarsa partecipazione. McLuhan nei suoi scritti parrebbe cadere in contraddizione nel definire "caldo" o "freddo" un particolare Medium, nel caso della scrittura per esempio questa viene dapprima definita fredda poi "calda ed esplosiva".
Per superare questa ambiguità occorre distinguere il senso emotivo degli aggettivi "caldo" e "freddo" da quello matematico, specificamente adottato nel senso di una diretta proporzione fra "temperatura mediatica" e "quantità di informazione". Questa proporzione ha senso nell’ambito di uno ed un solo canale sensoriale. Confrontare il "calore" della radio con quello della televisione è un madornale vizio di forma, poiché l’una agisce sull’udito e l’altra sulla visione. Benché, ovviamente, televisione e cinema abbiano una forte componente uditiva, nell’analisi della loro temperatura mediatica questa non è indicativa, a meno che non si consideri lo specifico canale acustico in un’analisi a parte.
Ha senso, invece, un confronto tra media di diversa "vocazione" sensoriale, se si ragiona sugli effetti, in merito ad una determinata strategia (ad esempio la propaganda politica).
[2] Villaggio globale La locuzione villaggio globale è stata usata per la prima volta da Marshall McLuhan, uno studioso delle comunicazioni di massa, nel 1964, in un suo libro ("Gli strumenti del comunicare" - originale: "Understanding Media: The Extensions of Man") in cui, nel passaggio dall’era della meccanica a quella elettrica, ed alle soglie di quella elettronica, analizzava gli effetti di ciascun "medium" o tecnologia sui cambiamenti del modo di vivere dell’uomo.
Il mondo nuovo apertosi nel Novecento è per Mc Luhan caratterizzato da una decentralizzazione, che sposta il punto primario di interesse e di osservazione (e di finalizzazione) dalla soggettiva visione nella dimensione di villaggio, alla spersonalizzata visione globale, concetto che ampliò in "War and Peace in the Global Village" (1968), segnalando come la globalizzazione del villaggio "elettrico" apportasse e stimolasse più "discontinuità, e diversità, e divisione" di quanto non accadesse nel precedente mondo meccanico.
Indicata da taluni come un ossimoro (per la compresenza di riferimenti ad unità geografiche minori e totali), la locuzione è divenuta di vastissima diffusione al sorgere di nuove tecnologie (prima delle quali Internet) che consentirono una facilitazione ed un’accelerazione delle comunicazioni umane di grande rilievo, divenendo quasi un sinonimo delle interconnessioni per la comunicazione e dei risultati che consentono. In questo senso, spesso senza riferimenti all’originario senso filosofico, la locuzione si applica sia per definire che il gigantesco globo si sia ridotto ad un ambito facilmente esplorabile al pari di un villaggio, sia che (almeno per la comunicazione) ciascun villaggio che lo compone abbia oggi abbattuto i suoi confini non più terminandosi, e dunque coincidendo con il globo.
Alla locuzione si fa in genere risalire il termine di globalizzazione.
Auguste Comte
La storia di ogni società esistita fino ad oggi è la storia delle lotte di classe.
Karl Marx
Introduzione
Sono passati più o meno 2 secoli da quando siamo entrati nel ciclo storico della borghesia come classe dominante. La sua affermazione è stata possibile grazie alla sua progressiva emancipazione dal giogo delle classi nobili.
Il fenomeno della tesaurizzazione e quello dell’esproprio dei mezzi di sussistenza delle classi depauperate al tempo stesso ha consentito questa polarizzazione in poche mani della ricchezza e dei mezzi per produrla. A nulla sono serviti gli appelli morali o la cultura cristiana ad evitare tragedie, nefandezze e miseria generalizzata. Inutile parlare – per l’appunto - della violenza con cui tale condizione di superiorità è stata raggiunta. Si tratta in primo luogo di una coercizione economica la quale poi ha l’appoggio dello Stato, reale comitato d’affari organizzato anche militarmente, della borghesia.
Non solo questi fenomeni sono stati analizzati – e stigmatizzati - da economisti che nulla avevano a che spartire col Socialismo degli albori, come Smith e Ricardo, ma le loro analisi piene di contenuti problematici sono servite proprio a Marx e al movimento socialista per inquadrare il fenomeno, anche nei suoi risvolti ideologici, e a dare una coscienza del proprio stato ai subalterni, conferendo loro una visione e una strumentazione che gli permettesse di uscire da una condizione di oggettiva oppressione. Peraltro di questa coscienza, fu innervata – seppure con molti distinguo – anche l’esperienza politica del Repubblicanesimo Risorgimentale che giunse fino agli Azionisti (fino agli anni dell’immediato secondo dopoguerra) a cui, al limite, ma proprio al limite, potremmo contestare il fatto di non essersi mai saputi rendere veramente autonomi dalla classe dominante borghese, appunto. Ma di cui nessuno può negare la coscienza dello stato (inteso sia in senso politico-amministrativo sia economico) in cui versavano le classi subalterne dell’epoca.
Lo stesso errore lo potremmo imputare anche a molti comunisti, comunque, che ancora oggi continuano a fare una politica del “male minore”, invece di formare dei quadri che siano coscienti della propria alterità rispetto al sistema.
Il problema è quello delle elite intellettuali: esse oramai, dal sindacalismo alle organizzazioni politiche, sono le elite classiche totalmente integrate nella struttura della classe dominante.
Fatto sta che in questi due secoli concetti generici quanto plasmabili in qualunque modo a seconda delle esigenze di chi domina - come democrazia, libertà, diritto - sono diventati armamentario borghese, declinati unicamente nel senso della necessità di sopravvivenza di questa classe sociale.
Mentre si declinavano questi luminosi concetti, nascondendo che essi erano un grimaldello per omologare l’ambiente sociale ai propri obiettivi e per attaccare chi si opponeva ad essi smascherandone le intenzioni, allo stesso tempo assistevamo a guerre per la spartizione di aree di influenza, in Europa come nel resto del mondo (dove stragi coloniali furono perpetrate con la copertura ideologica di teorie se non apertamente razziste nel senso hitleriano del termine, almeno “differenzialiste”) dove proprio i subalterni erano obbligati a combattere per interessi che non si potevano decentemente definire “propri”, dove la miseria causata dalle sperequazioni classiste imposte dal sistema capitalistico causavano morti per inedia e malattie da far accapponare la pelle.
E dove, a chi si ribellava alle condizioni esistenti, veniva riservato il piombo dei plotoni d’esecuzione o degli eserciti “bianchi”….ma lordi di sangue. E assistevamo a due guerre mondiali, 50 milioni di morti in Europa ormai del tutto dimenticati, segno di quanto considerazione abbia la vita umana per questi falsi cultori dei “diritti dell’uomo”, guerre la cui responsabilità operativa non può che essere ascritta al capitalismo europeo nel suo complesso e non solo a quello italo-germanico.
Dal secondo dopoguerra non abbiamo assistito alla pace, ma ad un mero spostamento del fronte, dove le guerre ma anche le lotte sanguinose per la sopravvivenza di interi popoli (decolonizzazione in Africa ed Asia, movimenti di liberazione in America latina), sono state allora all’ordine del giorno. Mentre questa classe egemone, grazie al potere economico totalitario, predicava i “diritti dell’uomo” a coprire i propri interessi particolari, essa non solo sparava ed uccideva ma cancellava intere culture nel mondo per sostituirle con la propria, cosa di cui ci accorgiamo solo in questi ultimi decenni quando ormai è troppo tardi per esse.
In contemporanea al rafforzamento dei concetti di libertà, democrazia, diritto, ora diritti dell’uomo – ennesimo grimaldello per arrogarsi il diritto di intervenire imperialisticamente laddove i propri interessi economici, sempre ben occultati come in Iraq, lo richiedano – ci si ritrovava di fronte alla creazione forzosa di questo Universalismo borghese – non semplice somma aritmetica di quei concetti – che deve tuttora servire da “extrema ratio” per una auto-difesa dei dominanti.
Esso è stato talmente efficace da aver intaccato le coscienze dei più, identificandosi essi, oramai, con la stessa classe dominante di cui sono una ridicola scopiazzatura (dall’operaio col nuovo fuoristrada acquistato a debito, all’immigrato che vuole diventare occidentale) e semmai, massa di manovra.
È indubbio che questa classe abbia imparato una grande lezione storica (le rivoluzioni che l’hanno messa in discussione nel ‘900) ed è indubbio che essa si sia accorta che è meglio avere dei subalterni, in Occidente, intorno ad essa, in condizioni socio-economiche non miserabili, sia come cuscinetto verso i miserabili veri, sia come struttura sociale in grado di assorbire le esigenze di riproduzione economica del capitalismo.
Ecco la nuova via, il neo-capitalismo, incentrato sul consumo, snodo essenziale e in prospettiva da riprodurre il più ampiamente possibile, per la sopravvivenza del sistema fondato sull’estorsione di lavoro non-pagato dalla quale accumulare capitali.
È indubbio il fallimento della borghesia come classe dominante ed egemone, quella stessa classe che ha sempre promesso (ed ha avuto 2 secoli per dimostrarlo) il migliore dei mondi possibili, ma di cui continuiamo a vedere solo la faccia violenta e senza scrupoli, ed è ora di presentarle il conto.
Innanzitutto dal punto di vista morale. E a chi si identifichi con essa, perché ritiene di avere qualcosa da perdere dalla sua fine, a questo punto chiediamo di guardarsi allo specchio e di chiedere il conto a se stesso.
1) Fenomeno di accantonamento ed occultamento di denaro che viene sottratto dal ciclo economico. Possibile nel medioevo in quanto la produzione per il profitto che andava re-investito in maniera sempre più allargata, non era assolutamente affermata. Essa è resa possibile dall’industrializzazione.
2) Attraverso la separazione tra i produttori diretti, trasformati in operai salariati, e i mezzi di produzione che, concentrati nelle mani degli imprenditori, si trasformano in capitale. È un processo tipico dello sviluppo capitalista.
3) Il risultato di questo miglior mondo possibile è che i 4/5 degli esseri umani vive – oggi – in condizioni penose.
4) Scritto nel 1929, quando Moravia aveva appena 22 anni, il romanzo è a tutt’oggi di un’attualità sconvolgente, quasi che nel corso di questi anni non sia cambiato niente. A ben vedere, se non ci limitiamo solo a guardare le lunghissime autostrade, i palazzi ed i progressi dell’informatica, ma cerchiamo di comprendere i sentimenti, le virtù e le passioni che animano i singoli uomini, allora possiamo trovare una facile spiegazione all’attualità del romanzo. L’indifferenza era ed è ancora oggi uno dei mali principali della nostra società, in cui a dispetto dei progressi della scienza, sempre più forte ed impellente si avverte la necessità di veri contatti umani.
La mia indagine è partita dal saggio Vai a: Navigazione, cerca
Apocalittici e integrati pubblicato da Umberto Eco nel 1964.
In questo testo, il semiologo italiano elenca delle considerazioni pro e contro la cultura di massa, di cui individua aspetti positivi e negativi.
Aspetti negativi
· Si cerca di andare incontro al gusto medio evitando l’originalità.
· La cultura di massa è caratterizzata dall’omologazione culturale. Opinione che rimanda al concetto formulato da McLuhan[1] di villaggio globale[2] dove non esistono più differenziazioni culturali.
· Il pubblico è inconscio di sé come gruppo sociale e subisce tale cultura.
· È presente la tendenza a suggerire emozioni già costruite, con funzione provocatrice si danno le emozioni già pronte.
· I prodotti mass-mediali sono sottomessi a leggi di mercato, diventando oggetto di persuasione pubblicitaria.
· Il pensiero è sclerotizzato e costituito da slogan e citazioni.
· Compresenza di informazioni culturali e gossip.
· Concezione di visione passiva e acritica del mondo, scoraggiando sforzo individuale.
· Incoraggiamento dell’ informazione verso il presente e indifferenza verso il passato.
· Impegno del tempo libero solo a livello superficiale.
· Creazione di mit e simboli con tipi che sono facilmente riconoscibili.
· Il lavoro della mente è rivolto a opinioni comuni (endoxa): la gente ama il conformismo di costumi, valori e principi sociali.
· I mass-media auspicano una società paternalistica e solo superficialmente democratica. I modelli sembrano imposti dal basso ma sono espressione di una cultura degradata, pseudo-popolare e imposta dall’alto.
Aspetti positivi
· La cultura di massa non è identificabile con regimi capitalistici ma è anche espressione di democrazia popolare.
· La cultura si apre a categorie sociali che prima non vi accedevano.
· Spesso l’informazione è sovrabbondante ma ciò può dare una parvenza di formazione a persone che prima non ne avevano.
· Soddisfa la necessità di intrattenimento.
· Permette la diffusione di opere culturali a prezzi molto bassi.
· I mass-media sensibilizzano uomo nei confronti del mondo: aprono scenari prima negati.
Eco cerca di creare positività in un termine spesso usato con accezione negativa. Se siamo inseriti in una società industriale non ci si può staccare dai media. Industria culturale di per sé non è negativa, ma lo è il consumismo, che vede il libro come oggetto di merce: quando però esso veicola dei valori diviene strumento efficace per la sua diffusione.
[1] Herbert Marshall McLuhan (Edmonton, 21 luglio 1911 – Toronto, 31 dicembre 1980) è stato un sociologo canadese.
La fama di Marshall McLuhan è legata alla sua interpretazione visionaria degli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli. La sua riflessione ruota intorno all’ipotesi secondo cui il mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi sull’immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell’informazione di volta in volta veicolata. Di qui, la sua celebre tesi secondo cui "il mezzo è il messaggio".
La galassia Gutenberg In questo libro McLuhan sottolinea per la prima volta l’importanza dei mass media nella storia umana; in particolare egli discute dell’influenza della stampa a caratteri mobili sulla storia della cultura occidentale.
Nel libro McLuhan illustra come con l’avvento della stampa a caratteri mobili si compia definitivamente il passaggio dalla cultura orale alla cultura alfabetica. Se nella cultura orale la parola è una forza viva, risonante, attiva e naturale, nella cultura alfabetica la parola diventa un significato mentale, legato al passato. Con l’invenzione di Gutenberg queste caratteristiche della cultura alfabetica si accentuano e si amplificano: tutta l’esperienza si riduce ad un solo senso, cioè la vista. La stampa è la tecnologia dell’individualismo, del nazionalismo, della quantificazione, della meccanizzazione, dell’omogeneizzazione, insomma è la tecnologia che ha reso possibile l’era moderna.
Alla base del pensiero di McLuhan (e della Scuola di Toronto di cui egli, insieme a W. J. Ong, è il maggiore rappresentante) troviamo un accentuato determinismo tecnologico, cioè l’idea che in una società la struttura mentale delle persone e la cultura siano influenzate dal tipo di tecnologia di cui tale società dispone.
Gli strumenti del comunicare - Questo è tra i lavori maggiormente noti di McLuhan, e costituisce una ricerca innovativa nel campo dell’ecologia dei media. È qui che McLuhan afferma che è importante studiare i media non tanto in base ai contenuti che veicolano, ma in base ai criteri strutturali con cui organizzano la comunicazione. Questo pensiero è notoriamente sintetizzato con la frase "il medium è il messaggio". Tuttavia sarebbe fuorviante ridurre l’analisi condotta ai soli mezzi di comunicazione di massa o mass - media. La riflessione di McLuhan abbraccia, in linea generale, qualsiasi tipo di media. In effetti la versione originale in inglese del libro in questione è titolata Understanding Media (vale a dire Capire i media) mentre la traduzione italiana - "Gli strumenti del comunicare" - trae evidentemente in inganno.
McLuhan afferma che "nelle ere della meccanica, avevamo operato un’estensione del nostro corpo in senso spaziale. Oggi, dopo oltre un secolo di impiego tecnologico dell’elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio" (Mc Luhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967, p. 9). Ad esempio un primo medium analizzato da McLuhan è stato quello tipografico. McLuhan osserva infatti che la stampa ha avuto un grande impatto nella storia occidentale, veicolando la Riforma protestante, il razionalismo e l’illuminismo. Si può dunque asserire che qualsiasi tecnologia costituisce un medium nel senso che è un’estensione ed un potenziamento delle facoltà umane, e in quanto tale genera un messaggio che retroagisce con i messaggi dei media già esistenti in un dato momento storico, rendendo complesso l’ambiente sociale, per cui è necessario valutare dei media l’impatto in termini di "implicazioni sociologiche e psicologiche".
McLuhan afferma che il contenuto di una trasmissione ha in realtà un effetto minimo sia in presenza di programmi per bambini o di spettacoli violenti. Si tratta certamente di una forzatura, questa, che però tende a mettere l’accento sulla struttura dello strumento che sovente viene dimenticata a favore del contenuto. Per esemplificare il solito film (contenuto) visto alla televisione o al cinema (medium) ha un effetto diverso sullo spettatore. Per cui la struttura della televisione e la struttura del cinema hanno un impatto particolare nella società e sugli individui che deve essere colto e analizzato attentamente.
McLuhan osserva che ogni medium ha caratteristiche che coinvolgono gli spettatori in modi diversi; ad esempio, un passo di un libro può essere riletto a piacimento, mentre (prima dell’avvento delle videocassette) un film deve essere ritrasmesso interamente per poterne studiare una parte. È in questo testo che McLuhan introduce la classificazione dei media in caldi e freddi.
Fra le tesi più illuminanti, quella per cui ogni nuova tecnologia (comprese la ruota, il parlato, la stampa), esercita su di noi una lusinga molto potente, tramite la quale ci ipnotizza in uno stato di "narcisistico torpore". Se non abbiamo gli anticorpi intellettuali adatti, questo capita appena ne veniamo in contatto, e ci porta ad accettare come assiomi assoluti, le assunzioni non neutrali intrinseche in quella tecnologia. Se invece riusciamo a evitare di esserne fagocitati, possiamo guardare quella tecnologia dall’esterno, con distacco, e a quel punto riusciamo non solo a vedere con chiarezza i principi sottostanti e le linee di forza che esercita, ma anche i mutamenti sociali diventano per noi un libro aperto, siamo in grado di intuirli in anticipo e (in parte) di controllarli.
Il mezzo è il messaggio
L’espressione "il mezzo è il messaggio" ci dice perciò che ogni medium va studiato in base ai criteri strutturali in base ai quali organizza la comunicazione; è proprio la particolare struttura comunicativa di ogni medium che lo rende non neutrale, perché essa suscita negli utenti-spettatori determinati comportamenti e modi di pensare e porta alla formazione di una certa forma mentis. Ci sono, poi, alcuni media che secondo McLuhan assolvono soprattutto la funzione di rassicurare e uno di questi media è la televisione, che per lui era un mezzo di conferma: non era un medium che desse luogo a novità nell’ambito sociale o nell’ambito dei comportamenti personali.
La televisione non crea delle novità, non suscita delle novità, è quindi un mezzo che conforta, consola, conferma e "inchioda" gli spettatori in una stasi fisica (stare per del tempo seduti a guardarla) e mentale (poiché favorisce lo sviluppo di una forma mentis non interattiva, al contrario di internet e di altri ambienti comunicativi a due o più sensi).
Mass media "caldi" e mass media "freddi"
Questa classificazione ha dato luogo ad equivoci e a discussioni, dovute al fatto che gli aggettivi "caldo" e "freddo" sono stati adoperati in senso antifrastico, cioè in senso opposto rispetto loro reale significato.
McLuhan classifica come "freddi" i media che hanno una bassa definizione e che quindi richiedono un’alta partecipazione dell’utente, in modo che egli possa "riempire" e "completare" le informazioni non trasmesse; i media "caldi" sono invece quelli caratterizzati da un’alta definizione e da una scarsa partecipazione. McLuhan nei suoi scritti parrebbe cadere in contraddizione nel definire "caldo" o "freddo" un particolare Medium, nel caso della scrittura per esempio questa viene dapprima definita fredda poi "calda ed esplosiva".
Per superare questa ambiguità occorre distinguere il senso emotivo degli aggettivi "caldo" e "freddo" da quello matematico, specificamente adottato nel senso di una diretta proporzione fra "temperatura mediatica" e "quantità di informazione". Questa proporzione ha senso nell’ambito di uno ed un solo canale sensoriale. Confrontare il "calore" della radio con quello della televisione è un madornale vizio di forma, poiché l’una agisce sull’udito e l’altra sulla visione. Benché, ovviamente, televisione e cinema abbiano una forte componente uditiva, nell’analisi della loro temperatura mediatica questa non è indicativa, a meno che non si consideri lo specifico canale acustico in un’analisi a parte.
Ha senso, invece, un confronto tra media di diversa "vocazione" sensoriale, se si ragiona sugli effetti, in merito ad una determinata strategia (ad esempio la propaganda politica).
[2] Villaggio globale La locuzione villaggio globale è stata usata per la prima volta da Marshall McLuhan, uno studioso delle comunicazioni di massa, nel 1964, in un suo libro ("Gli strumenti del comunicare" - originale: "Understanding Media: The Extensions of Man") in cui, nel passaggio dall’era della meccanica a quella elettrica, ed alle soglie di quella elettronica, analizzava gli effetti di ciascun "medium" o tecnologia sui cambiamenti del modo di vivere dell’uomo.
Il mondo nuovo apertosi nel Novecento è per Mc Luhan caratterizzato da una decentralizzazione, che sposta il punto primario di interesse e di osservazione (e di finalizzazione) dalla soggettiva visione nella dimensione di villaggio, alla spersonalizzata visione globale, concetto che ampliò in "War and Peace in the Global Village" (1968), segnalando come la globalizzazione del villaggio "elettrico" apportasse e stimolasse più "discontinuità, e diversità, e divisione" di quanto non accadesse nel precedente mondo meccanico.
Indicata da taluni come un ossimoro (per la compresenza di riferimenti ad unità geografiche minori e totali), la locuzione è divenuta di vastissima diffusione al sorgere di nuove tecnologie (prima delle quali Internet) che consentirono una facilitazione ed un’accelerazione delle comunicazioni umane di grande rilievo, divenendo quasi un sinonimo delle interconnessioni per la comunicazione e dei risultati che consentono. In questo senso, spesso senza riferimenti all’originario senso filosofico, la locuzione si applica sia per definire che il gigantesco globo si sia ridotto ad un ambito facilmente esplorabile al pari di un villaggio, sia che (almeno per la comunicazione) ciascun villaggio che lo compone abbia oggi abbattuto i suoi confini non più terminandosi, e dunque coincidendo con il globo.
Alla locuzione si fa in genere risalire il termine di globalizzazione.
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