venerdì 4 settembre 2009

Massimo Bontempelli: 900 tra fascismo e Stracittà di Massimo Capuozzo

La rivista 900. Cahiers d’Italie et d’Europe – della quale si sono interessati A. Saccone, col suo saggio Massimo Bontempelli: il mito del ‘900 del 1979 ed Elena Urgnani in Sogni e visioni. Massimo Bontempelli fra surrealismo e futurismo, del 1991 che, nonostante sia un po’ datato, ho trovato ancora molto valido, soprattutto per alcuni paragrafi del primo capitolo come Impegno politico e coscienza ideologica e Bontempelli come intellettuale mediatore fra gli Apparati del Potere e il Popolo – fondata e diretta da Massimo Bontempelli – uno degli autori più rimossi dalla coscienza critica contemporanea – nel novembre del 1926 e con la condirezione di Curzio Malaparte, era pubblicata a Roma in francese, nei primi due anni, ed in italiano, nei due anni successivi, con cadenza trimestrale: solo nell'ultimo anno essa fu pubblicata con cadenza mensile.
Bontempelli fu sempre molto riservato su tanti aspetti di questa iniziativa: non ne è nota, infatti, la genesi come tornaconto del regime fascista, ma si può ipotizzare, basandosi sul fastidio percepito da Mussolini che, nella ridefinizione storica delle origini del fascismo, inciampava spesso nella parola Futurismo, dietro di cui c'erano decenni significativi della vita ideologico-culturale italiana e che non gli piacesse sentire l’anziano, ma sempre esplosivo Marinetti duce dei futuristi, proclamare – durante le serate futuriste tra il 1921 e il 1924 – sullo stesso piano la potenza mentale delle calvizie elettriche di D'Annunzio, Mussolini e Marinetti.
Mussolini poteva essere interessato ad un movimento di idee che ponesse indirettamente fine all’insistente Futurismo storico, ancora molto clamoroso ed invadente. Malaparte, per la sua posizione di fascista estremista ed intransigente, già incaricato di creare e di costruire il mito del duce, si mostrava l’intellettuale più adatto ad accogliere i desideri di Mussolini: per questo, Malaparte dovette ricevere qualche incitamento, sebbene egli avesse già scoperto la necessità di un'Italia barbara, in possesso di propri caratteri, spontanei e contadini.
900 nacque quindi quasi certamente col consenso di Palazzo Venezia, affinché fosse assestata una battuta d'arresto al Futurismo, considerato l’unica avanguardia, offerta alla giovane letteratura italiana. Mussolini, sempre pronto a stimolare ogni iniziativa culturale non contraria ideologicamente al regime, sostenne anche l'impresa Bontempelli-Malaparte, dalla quale si aspettava la nascita di una letteratura celebrativa del Fascismo, diffusa in Europa attraverso una rivista scritta in francese, circostanza questa che costituì già il primo grande fraintendimento tra 900 e Mussolini.
Ma chi era Massimo Bontempelli? Per comprenderne la figura ed i suoi rapporti con il fascismo, è opportuno fare un passo indietro.
Nato nel 1878, Bontempelli era entrato molto tardi nel Novecento, dopo aver rifiutato un suo passato tradizionalista, quando, congedato nel 1919, aveva pubblicato Il Purosangue, un volume di poesie, scritte tra il 1916 e il 1918, di vaga ispirazione futurista, era stato tra i fondatori del Fascio Politico Futurista di Milano ed aveva composto Siepe a Nordovest un’opera teatrale, anch’essa intrisa di vago sapore futurista. Nel 1920, Bontempelli aveva pubblicato il romanzo La vita intensa, già pubblicato a puntate tra marzo e dicembre del 1919 in Ardita, supplemento mensile de Il Popolo d'Italia, il giornale diretto da Mussolini, e, nel 1921, il romanzo La vita operosa, storia di un reduce che vuol buttarsi negli affari, narrata sullo sfondo di una Milano esplosa e collassata, come si presentava nel dopoguerra, alla vigilia del Fascismo. I soggiorni parigini, nel 1921 e nel 1922, avevano messo Bontempelli in contatto con le nuove avanguardie francesi, che avevano cambiato profondamente la sua icona dell'artista moderno: i brevi romanzi La scacchiera davanti allo specchio, del 1922, ed Eva ultima del 1923 denotano infatti, uno stile ispirato all'arbitrio irrazionale ed alla casualità apparente dei sogni, un'impostazione di scrittura, che presenta fortissime assonanze con il Primo manifesto del Surrealismo di André Breton del 1924. Quando si stabilì a Roma, Bontempelli, ormai convinto assertore del Fascismo, nel quale vedeva lo strumento politico più adatto a traghettare l’Italia nella società moderna, prese parte al Teatro degli Undici, fondato da Stefano Pirandello, Stefano Landi ed Orio Vergani, e strinse amicizia con Luigi Pirandello, che lo spronò a scrivere anche drammi per la sua compagnia: da quel sodalizio erano nati due pezzi teatrali, Nostra Dea, del 1925, di cui fu protagonista Marta Abba, e Minnie la candida del 1927, la cui messa in scena fu curata dallo stesso Pirandello.
Su questo scenario ideologico – fra futurismo, surrealismo e fascismo – si innesta l’idea di 900.
In una lettera pubblicata sulla terza pagina de Il Tevere – un giornale spregiudicato ed combattivo fondato e diretto da Telesio Interlandi – Bontempelli chiarì le ragioni del suo progetto di 900: «La rivista sarà redatta in francese perchè ha intenzione: 1) di segnalar bene la parte che l’Italia ha (contro l’opinione comune) nella formazione di un’atmosfera poetica nuova; tanto nuova che il nostro tempo è, credo, il preludio di una nuovissima terza èra, dopo il classicismo cha va da Omero a Cristo (escluso), e il classicismo che va da Cristo al balletto russo (compreso), come ho già annunziato altre volte. 2) di far più intenso tale contributo col buttare addirittura audacemente in gara i giovanissimi valori italiani con i men giovani valori delle altre Nazioni. 3) di ottenere che sieno essi valori italiani, esportandosi e penetrando, a premere sugli stranieri e informarli di sé, contrariamente a quanto è avvenuto in tempi più timidi. Per ottenere questi fini mi occorre una lingua che sia ampiamente letta in Europa. Ad altri il compito di imporre la lingua italiana a tutto il mondo della cultura; ma sarà un lento lavoro. Spero che tra 10 anni 900 potrà essere scritto in italiano e così letto in tutta Europa. Per ora, se lo scrivessi in italiano lo leggerebbero 1000 italiani e 50 stranieri; in francese lo leggeranno ugualmente quei 1000 italiani, più 5000 stranieri, secondo il computo infallibile che abbiamo fatto Suckert [Malaparte n. d. a.] e io quando abbiamo preso la risoluzione che ha destato tante apprensioni. Uno dei caratteri che credo necessario fomentare nella letteratura moderna, è la immaginazione inventiva, la facoltà di creare miti, favole, personaggi, così vivi da mantenere il solido della loro vita, anche tradotti, anche rinarrati in altre forme. Una delle riprove del valore di un’opera novecentista sarà la sua traducibilità. Per ciò ai giovanissimi che stanno con me in questo tentativo orgoglioso impongo questo sacrificio e questa minorazione; di presentarsi senza l’aiuto e il vantaggio del loro idioma; e quale idioma!».
Bontempelli diresse un comitato internazionale di redazione, costituito da intellettuali come gli italiani Alberto Moravia, Corrado Alvaro, Renato Barilli, Emilio Cecchi, Antonio Aniante, Marcello Gallian, Alberto Spaini e stranieri come André Malraux, Philippe Soupault e Blaise Gendrars, M. Jakob, Virginia Woolf, D.H. Lawrence, Ramón Gómez de la Serna, James Joyce, Gorge Kaiser, Pierre Mac Orlan e dal terzo numero il sovietico Il'ja Grigorevic Erenburg, ed ebbe due segretari di redazione, Corrado Alvaro a Roma e Nino Frank a Parigi.
900, tuttavia, nonostante avesse come collaboratori dei non allineati al Fascismo, non era una rivista antifascista, anzi fiancheggiava il regime, infatti, al gruppo era molto vicina Margherita Sarfatti che, per alcuni aspetti, anche se indiretti, ne dovette essere mentore. Di qui nascevano il suo europeismo e la sua antidemocraticità. Ma il suo era un europeismo nazionalisticamente inteso tanto che egli scrive «nel momento stesso che ci sforziamo di essere europei, ci sentiamo perdutamente romani», nonché, convintamente antidemocratico, scrive: «oggi abbiamo in Europa due tombe della democrazia ottocentesca. Una è a Roma, l'altra a Mosca».
È opportuno a questo proposito ricordare che la nascente diplomazia fascista aveva riconosciuto diplomaticamente l’Unione Sovietica, con un atto formalizzato il 7 febbraio 1924, evento questo che – secondo Manfredi Martelli nel suo Mussolini e la Russia del 2007 – faceva dell’Italia fascista il primo paese europeo a riconoscere la Russia comunista.
In quattro preamboli – Giustificazione, Fondamenti, Consigli, Analogie –pubblicati in francese nei quaderni dell'autunno 1926, nel marzo e nel giugno del 1927, e tradotti nel 1938 dallo stesso Bontempelli, lo scrittore aveva costituito un articolato programma culturale, che esponeva le principali linee dell'azione novecentista.
«Il compito più urgente e preciso del secolo ventesimo, sarà la ricostruzione del tempo e dello spazio». Così inizia l’articolo La ricostruzione del tempo e dello spazio con cui Bontempelli illustra nel primo numero della rivista gli obiettivi di 900, che, con la sua diffusione e con il suo comitato di redazione internazionali, voleva – sprovincializzando la cultura italiana e portandola a contatto con la letteratura europea – aprirsi alle esperienze letterarie dell'epoca – surrealismo, espressionismo e dadaismo – e voleva promuovere un consenso estetico di massa, fondato sul realismo magico e sui miti moderni, che avrebbe finalmente sancito l'accordo tra gli intellettuali e il regime.
Non a caso 900 tradusse e diffuse autori stranieri – nel giro di soli tre anni, 900 ospitò il dadaista Ribemont-Dessaignes e il surrealista Soupault, fece conoscere per la prima volta in Italia sezioni tradotte dall'Ulisse di James Joyce e da La signora Dalloway di Virginia Woolf, riportò il Profilo di George Grosz, scritto da Ivan Goll, gli inediti di Anton Čechov e Le memorie postume del vecchio Teodoro Kusmic di Lev Tolstoj – e predilesse l’ispirazione metafisica della cultura europea.
Bontempelli come Carlo Carrà operò una mediazione fra moderno ed antico, basata sull’allusività e sulla magia dell’oggetto, ma diversamente dai metafisici e similmente a Mario Sironi ricercava nuovi linguaggi che potessero aprire ad una comunicazione diretta con il pubblico e che permettessero la nascita di un nuovo rapporto tra l’intellettuale e le grandi masse della società moderna: la costruzione degli intrecci, l’abbandono del culto della forma, la formulazione del criterio della traducibilità, in base al quale l’opera migliore era quella che meglio si prestava alla traduzione in altre lingue e, più tardi, quella che poteva diventare soggetto cinematografico senza snaturarsi.
Tutto questo nasceva dall’aristocratica consapevolezza intellettuale delle limitate qualità del destinatario-massa, interessato di più alla vicenda e al suo scioglimento ed attratto soprattutto dalle immagini, che in quegli anni iniziavano a riempire le pagine delle riviste.
La rivista, sostenendo che il Novecento avesse avuto inizio con la guerra mondiale, oltre che come decisa presa di posizione contro l'Ottocento, si pose in una posizione di recupero del Novecento letterario. Polemizzando contro la tradizione veristica del tardo Ottocento, e nel contempo, contro la letteratura accademica fatta soltanto di raffinatezza stilistica, Bontempelli teorizzò un’arte che superasse ogni limitazione grettamente realistica e trasfigurasse in favola il dato reale attraverso «precisione realistica di contorni, solidità di materia ben poggiata al suolo e intorno come un’atmosfera di magia che faccia sentire, traverso l’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la nostra vita si proietta».
Per Bontempelli «la tradizione è la cosa più strana che esista. Anzi non esiste affatto: è una formula a posteriori, è una finzione giuridica con la quale la storia letteraria accomoda tutto». Dell’idealismo esasperò la componente irrazionalista: il mito e la magia divennero, infatti, gli strumenti teorici ed ideali del rinnovamento delle arti e del presente con i mezzi dell’evasione metafisica – mitologia, magia e mistero – tanto che sulla rivista teorizzò la sua poetica del realismo magico, una peculiare combinazione di fantasia, di avventura e di intelligenza, in cui l’intellettuale rifiutava la realtà, vivendo in un senso magico, incardinato nel surrealismo francese e nella cosmopolitica vita moderna, ed accostandosi così a Pirandello le cui affinità sono state ben rilevate da Simona Micali che, nel suo studio scrupoloso ed appassionato Miti e riti del moderno del 2002 di questi scrittori, osserva che essi invece di confrontarsi con la tradizione mitologica, si imposero di creare dei nuovi miti nel ventesimo secolo.
Nel citato articolo La ricostruzione del tempo e dello spazio, Bontempelli definì i caratteri fondamentali del realismo magico: «Piuttosto che di fiaba, abbiamo sete di avventura. La vita più quotidiana e normale, vogliamo vederla come un avventuroso miracolo: rischio continuo, continuo sforzo di eroismi o di trappolerie per scamparne. L’esercizio stesso dell’arte diviene un rischio di ogni momento. Non esser mai certo dell’effetto. Temere sempre che non si tratti d’ispirazione ma di trucco. Tanti saluti ai bei comodi del realismo, alle truffe dell’impressionismo. Nessuna norma, nessun dato di confronto per giudicare i risultamenti. Non sarà possibile combinarvi sopra alcun aristotelismo. Siamo sempre sulla corda tesa o sulla cresta di un flutto: e tuttavia sorridi e accendi la pipa. Nessuna legge: ma ogni opera, ogni capitolo, ogni pagina, detterà a se stessa la propria ferrea legge unica, che non deve più servire un’altra volta. Ecco la regola di vita e d’arte per cent’anni ancora: avventurarsi di minuto in minuto in cui o si è assunti in cielo o si precipita».
Già con la particolare suddivisione della storia della civiltà occidentale in tre epoche, Classica, Romantica e Contemporanea, Bontempelli, aderendo alla concezione ciclica, all’utopia della rigenerazione del tempo e della storia attraverso l’inizio di un nuovo ciclo, teorizza la necessità di elaborare nuovi miti popolari con nuovi contenuti e con nuove forme, comprensibili e godibili da tutti, proponendo la riscoperta di un approccio vergine ed infantile, un ritorno ad un’infanzia creatrice come Pirandello vagheggia un ritorno all’originaria sorgente archetipica. La storia non è più la condanna dell’uomo cacciato dal paradiso degli archetipi e scagliato nel tempo profano, privo di guida e di conforto, ma diventa rappresentazione del mito nuovo, spazio sacro del rito di rigenerazione collettiva, che per Bontempelli è palingenesi storica e politica, per Pirandello è palingenesi morale ed estetica.
La mitopoiesi novecentista di Bontempelli si delinea in due direzioni, da un lato offre una sorta di quotidianizzazione del mito, dall’altro opera una mitizzazione del quotidiano: l’amore, il sogno, sono altrettanti miracoli, che solo l’animo candido riesce a vedere.
Le esperienze intellettuali mitopoietiche di Pirandello e di Bontempelli, come del resto quelle del futurismo marinettiano, sono contigue, pur essendo autori che si differenziano notevolmente nella loro poetica. Ma far derivare la loro mitopoiesi dalla comune matrice fascista sarebbe troppo semplicistico, perché le adesioni al fascismo di Bontempelli e di Pirandello ebbero natura e significato diversi ed il forte interesse del fascismo nei confronti del mito, palese per le sue potenzialità di cementare la coesione collettiva e di legittimare il potere, era orientato soprattutto verso il consolidamento di mitologie tradizionali, manipolate in modo da supportare il regime e per caratterizzare i suoi riti collettivi. Il fascismo invece non provò mai un particolare interesse nei confronti dei nuovi miti, deludendo le aspettative di Bontempelli e di Pirandello, che si aspettavano maggiori consensi di quelli che in realtà le loro opere ricevettero, sia dal regime sia dal pubblico fascista.
Il rapporto Pirandello-Bontempelli non fu solo di pura filiazione – come già affermò Leone de Castris in Storia di Pirandello, del 1962 – ma Bontempelli concorse a certe atmosfere di realismo magico di alcune opere drammaturgiche, verificabili in lavori pirandelliani degli anni Trenta come Lazzaro, ma, più tangibilmente riscontrabili nelle due ultime opere La favola del figlio cambiato ed I giganti della montagna, dove si nota un ulteriore avvicinamento di Pirandello a Bontempelli: accomunati dall’idea di voler offrire al pubblico miti moderni, i due rivelano le stesse modalità di produzione. In La favola del figlio cambiato, opera in versi composta in funzione de I Giganti della montagna, si assiste ad una fiaba che resta sospesa tra verità fiabesca e consapevole illusione. Questa ambiguità e questa vaga sospensione tra vero e illusorio, tra fiaba e realtà, e soprattutto l’atteggiamento di Pirandello nei confronti del meraviglioso e dell’onirico, coincidono perfettamente con quello novecentista bontempelliano.
900 nasceva tuttavia imbrattata di tutte le lordure: in francese, con un comitato di direzione nel quale, accanto a Bontempelli, figuravano i nomi di quattro scrittori europei assolutamente anticonformisti, liberali al limite dell'anarchia, estranei al concetto paesano e ottocentesco che Mussolini possedeva della cultura, come lo spagnolo Ramon Gomez de la Sema, l’irlandese italianizzante James Joyce, George Kaiser, caposcuola del teatro espressionista tedesco, ed il fumiate francese Pierre Mac Orlan; i segretari di redazione inoltre erano, a Roma, Corrado Alvaro, antifascista e redattore del Mondo di Amendola e Cianca, ed a Parigi Nino Frank, emigrato e associato ai gruppi di opposizione democratica già usciti clandestinamente, dall'Italia dopo l’assassinio Matteotti. Il motivo antifuturista che avrebbe potuto incontrare l'approvazione e la convenienza di Mussolini, si sfaldava e si diluiva in ragioni teoriche, espresse nel preambolo di Bontempelli al primo fascicolo, che proclamavano la giustezza delle idee di Benedetto Croce che aveva scritto: «Il problema attuale dell'estetica è la difesa della classicità contro il romanticismo, del momento sintetico e formale e teoretico, in cui è il proprio dell'arte, contro quello affettivo, che l'arte ha per istituto di risolvere in sé, e che ai nostri giorni le si rivolta contro e cerca di usurparne il posto». E Bontempelli annunciava nella prima pagina del primo fascicolo di 900 proprio questa restaurazione come compito il più urgente e definito del XX secolo, cioè quella ricostruzione dello Spazio e del Tempo e, perciò, della Immaginazione. Bontempelli non poteva esprimere una professione di fede crociana più schietta, di quella contenuta in un altro passaggio della stessa Giustificazione, dove proclamava l'esercizio dell'arte come un rischio continuo, la impossibilità di leggi regolatrici dell'opera d'arte nella quale «ogni opera, ogni pagina detterà da sé le sue leggi draconiane e uniche, che non saranno più valide per un'altra volta. Regola della vita e dell'arte per cento anni: avventurarsi ad ogni istante, sino al momento in cui non si diventa una costellazione o si crolla». Ma Bontempelli si scopriva anche meglio in un passaggio successivo: «In tutto ciò che si è detto prima, non bisogna vedere un atto d'accusa contro quell'Idealismo che ha strappato la nostra età virile dai rovi nei quali la nostra adolescenza s'era trovata impigliata».
Presto la polemica si scatenò su Bontempelli. Le tare liberali e non-fasciste, l'inviso europeismo, i nomi, tutti molto malvisti a Mussolini, dei collaboratori e condirettori stranieri, tra loro il comunista sovietico Il’ja Ehrenburg, ba­starono a provocare un attacco a tenaglia contro 900 e contro i novecentisti, subito indicati come internazionalisti, comunisti e diventati di colpo esclusivi sostenitori di una forma d'arte metropolitana, meccanizzante, americaneggiante, che si disse dispregiativamente Stracittà.
Queste erano tuttavia accuse infondate poiché tra gli stracittadini si trovavano personalità legate alle origini, al colore e al calore di ben precisi climi poetici: come il catanese Antonio Aniante, i napoletani Giovanni Artieri e Francesco Cipriani, il calabrese Corrado Alvaro e via dicendo; mentre tra gli strapaesani, partigiani di una retorica contadina, si trovavano i raffinatissimi Leo Longanesi e Mino Maccari, provenienti dal più raffinato surrealismo parigino e lo stesso colto e sofisticato Malaparte, già passato attraverso molte esperienze letterarie e non tutte italiane.
900, le cui riviste satelliti erano I Lupi (1928), L’Interplanetario (1928) e Duemila (1929), diffondeva un’ideologia cittadina, industrializzata e borghese, che proclamava il trionfo del moderno sulla tradizione, da realizzarsi nella terza epoca – dopo la classica e la romantica – quella novecentista, caratterizzata dal progresso, dalla massificazione, dall’industrialismo e dall’urbanesimo.
La periodicità trimestrale di 900 durò fino al quinto quaderno del 1927 numero con cui, in seguito alle violente polemiche scoppiate fra Strapaese e Stracittà, e per le quali Malaparte, consapevole anche del valore della tradizione contadina e provinciale italiana, ritirò il suo appoggio alla rivista, passando clamorosamente nel campo opposto, per fondare il movimento di Strapaese, che raccoglieva invece le istanze della tradizione contadina italiana e collaborando con la rivista L’italiano che ne sosteneva le idee.
Bontempelli restò da solo a dirigere 900, ma il dialogo internazionale che aveva tentato di instaurare, il suo miraggio novecentista di aprire la provincia culturale italiana all'Europa e il progetto ad esso collegato di esportarvi una letteratura più giovane e nuova, si svolse in condizioni difficili e sospette, tanto che, dopo il quarto numero, il regime impose a 900 di usare la lingua italiana e l'avventura novecentista di Bontempelli stava per concludersi: nel 1928, Bontempelli, divenuto segretario nazionale del Sindacato Fascista Autori e Scrittori, chiuse la rivista nel giugno del 1929.
Il consolidamento delle sue posizioni arrivò un po' dopo: conclusasi brevemente la parabola della rivista 900, il 23 ottobre 1930 Bontempelli fu nominato Accademico d'Italia, mentre dalla teorizzazione, svolta sulla rivista, della funzione fantastica della letteratura discendeva, tradotta in arte, una serie di romanzi, Il figlio di due madri del 1929, Vita e morte di Adria e dei suoi figli del 1930, Gente nel tempo del 1937 che cominciarono ad imporsi per la generazione di giovani Nelle sue favole metafisiche, nei suoi miti Bontempelli portò a notevoli realizzazioni queste premesse riuscendo a creare atmosfere rarefatte ed irreali, talvolta allucinate, nelle quali il dato reale si carica di una componente visionaria ed evocativa, attraverso una prosa ferma e lucida.
La sua urgenza di ricostruire il Tempo e lo Spazio – scrive di lui Giovanni Artieri – divenne un modo un po’ misterioso, di dire agli scrittori: mettete il naso fuori della finestra, sbattete l'uscio di casa, andatevene per il mondo, a guardarlo e a descriverlo. Tutti quelli che sono usciti dalla matrice novecentista sono stati viaggiatori e descrittori del mondo attorno a loro e non superficiali testimoni e attori dei suoi drammi e commedie. Bontempelli vedeva l'esistenza di un mistero, di una magia anche nella più umile e borghese contingenza.

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