venerdì 4 settembre 2009

Ugo Spirito: un maestro classico di modernità. Note biobibliografiche di Lucia Cascone

Un gruppo di studiosi, raccolto attorno alla Fondazione Ugo Spirito, ha recentemente intrapreso il progetto di pubblicare, presso l’editore Luni, le più significative opere di Ugo Spirito, una delle coscienze più lucide ed inquiete della filosofia contemporanea italiana ed europea. Questa iniziativa si inserisce organicamente in una ripresa degli studi sulla tradizione filosofica novecentesca in Italia, molto segnata dalla parabola del neoidealismo nella prima metà del secolo, una corrente che, con il tramonto del regime fascista, è caduta nel dimenticatoio, a causa delle tumultuose trasformazioni del dopoguerra e delle ansie innovatrici, e talvolta alquanto velleitarie dei tempi più recenti.
Queste nuove edizioni si caratterizzano non solo per l’impegno filologico, seguendo indiscutibili criteri di precisione documentaria, ma anche per l’accuratezza con la quale si sono voluti ricostruire genesi e significato del pensiero di Ugo Spirito, portando all’attenzione dei lettori la consistenza speculativa e l’attualità del pensiero attualistico e problematicistico.
Di grande rilievo è l’analisi del momento cruciale che segnò il distacco di Spirito dall’attualismo per cercare vie nuove, momento individuato nella persecuzione subita da Spirito proprio all’avvio della sua carriera universitaria, ostacolata da quanti non perdonavano all’allievo, forse prediletto, di Gentile le sue vedute sulla corporazione proprietaria, oggettivamente pericolose per gli interessi degli imprenditori, sui quali si poggiava la solidità economica dell’Italia fascista e lo stesso consenso al regime.
Spirito era promotore di un fascismo di sinistra, controcorrente e destinato ad una crescente marginalizzazione, senza giungere, tuttavia, ad una vera e propria rottura col regime nemmeno negli anni della guerra.
La ricostruzione delle interpretazioni dell’opera di Spirito, dei legami che questo filosofo coltivò con altri grandi esponenti della cultura italiana e delle critiche, simpatetiche o distruttive, alle quali fu sottoposto il suo pensiero, nella sua minuziosa precisione rende conto dell’ampiezza delle risonanze e della consistenza delle posizioni assunte da Spirito, pensatore che mantenne sempre viva la consapevolezza della dimensione di ricerca insita nell’esistenza e quindi nella riflessione, anche al prezzo di andare controcorrente.
Ugo Spirito nacque ad Arezzo, il 9 settembre 1896, dall’ingegner Prospero e da Rosa Leone, e trascorse la sua adolescenza nell’ambiente provinciale di Caserta e di Chieti: i suoi interessi spaziavano dalla fotografia, alla telegrafia Morse e all’arte: dipinse, infatti, numerosi quadri, ma durante gli anni della formazione universitaria ed in seguito alle critiche dell’amico Mario Praz, bruciò quasi tutto. Frequentò il Ginnasio-Liceo G.B. Vico di Chieti, dove ebbe come professore di filosofia Emilio La Rocca, che esercitò su di lui un’influenza profonda e duratura e con cui mantenne sempre stretti contatti.
Il 10 gennaio del 1918, Spirito assistette per la prima volta ad una lezione di Giovanni Gentile, allora all’inizio del suo insegnamento romano e, nel dicembre dello stesso anno, si laureò in giurisprudenza con una tesi su I doveri inerenti al diritto di patria potestà.
Spirito, però, continuò gli studi e, il 10 luglio del 1920, si laureò in Filosofia con una tesi su Il pragmatismo nella filosofia contemporanea. Nel 1921, Spirito vinse il premio Corsi dell’Università di Roma e pubblicò la sua tesi su Il pragmatismo a Firenze nel 1921: ad essa Ernesto Buonaiuti dedicò un ampio articolo su Il Tempo del 12 marzo.
Nel 1922, Spirito conobbe Benedetto Croce che, su suo invito, accettò di far parte della redazione de La nuova politica liberale: con Croce, in seguito, Spirito entrò in polemica e, dopo il 1923, la rottura fu definitiva.
Nel 1923 Spirito, vinse ancora il premio A. Loria per il concorso indetto dall’Università di Torino, collaborò, insieme con Carmelo Licitra ed ad Arnaldo Volpicelli, alla fondazione ed alla direzione della Nuova politica liberale (successivamente chiamata Educazione politica e, poi, Educazione fascista); dal gennaio 1923 al luglio 1924 diresse la rivista Educazione nazionale.
Ugo Spirito primeggiava su tutti per impegno didattico e per capacità di coinvolgimento degli studenti: il suo metodo puntava, infatti, sull'apprendimento dell'arte di pensare, anziché di nozioni specifiche. Le sue lezioni erano rinomate, quanto i suoi pomeriggi di discussione del giovedì: tre ore, non di lezione, ma di discussione serrata su un problema filosofico, uno soltanto per un intero anno accademico ed al concetto di sogno fu dedicato un anno. Ai giovedì di Ugo Spirito intervenivano tante e diverse persone: gli studenti, i numerosi assistenti e inoltre partecipanti di varie età, convinzioni e provenienze. Ugo Spirito ascoltava tutti, rilanciava la discussione e guidava la discussione verso nuove prospettive interpretative. Volendo indicare un tratto distintivo del pensiero di Ugo Spirito, si può affermare che esso consisteva nella curiosità e nel rispetto per qualsiasi posizione. Non esisteva per lui una parola definitiva, ma la ricerca della verità doveva essere portata sempre ulteriormente avanti.
In Spirito la ricerca dell’incontrovertibile sembrò acquietarsi per parecchi anni in virtù della fede nell’attualismo, nell’adesione alla filosofia di Giovanni Gentile, che aveva soddisfatto l’esigenza metafisica dell’assoluto: «L’aveva soddisfatta perché, uscendo dalla certezza scientifica di senso comune propria del positivismo, aveva ribadito tale certezza, dando ad essa un fondamento speculativo di gran lunga più critico e più persuasivo». Dall’interno dell’attualismo, intanto, si erano determinati alcuni dubbi sostanziali che assumevano dimensioni sempre maggiori e tali da investire insieme la sicurezza scientifica e quella filosofica. Ma questa volta i dubbi non potevano essere superati, facendo ricorso ad un’altra metafisica. Ora, invece, con la crisi della nuova metafisica, la sensazione del vuoto diventava dominante. La speranza di una nuova certezza assoluta non poteva essere ragionevolmente alimentata dalla situazione che si era determinata. «Bisogna riconoscere che una sola via poteva aprirsi e fatalmente porsi: la via di capovolgere la situazione e far diventare incontrovertibile proprio la mancanza di quella sicurezza e di quell’assoluto di cui si avvertiva l’assoluta necessità. All’incontrovertibile positivo si doveva sostituire l’incontrovertibile negativo».
Nel 1925, Spirito fu uno dei firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti, e del fascismo fu il teorico del Corporativismo; e nello stesso anno pubblicò la Storia del diritto penale italiano.
Nel 1927, Spirito, con Arnaldo Volpicelli, fu fondatore e direttore del periodico bimestrale Nuovi studi di diritto, economia e politica, nella convinzione programmatica che «lo specialismo scientifico non è atomico particolarismo, ma distinzione che si ritaglia e si articola nell’unità del sapere e della vita spirituale». Questa tesi fu ulteriormente esplicitata da Spirito in una comunicazione presentata nel maggio del 1929 al VII Congresso Nazionale di Filosofia, nella quale giunse alla formulazione dell’identità di scienza e filosofia, nel tentativo di ritrovare la vera filosofia nella politica, nella pedagogia, nel diritto e nell’economia.
Spirito dopo aver aderito assai giovane all'attualismo gentiliano, di cui fu uno dei più brillanti interpreti, se ne distaccò gradualmente negli anni Trenta, pur senza rinnegarne alcuni principi di fondo: Spirito cominciò così ad elaborare una concezione speculativa che definì problematicistica.
Nel 1930 Spirito pubblicò L’idealismo italiano e i suoi critici e, nel 1932, lasciò l'insegnamento della filosofia ed accettò la cattedra di Economia corporativa a Pisa, che Bottai gli propose e nello stesso anno pubblicò I fondamenti dell’economia corporativa; il 25 Marzo del 1932, Spirito espose le proprie idee a Mussolini, che espresse, a riguardo, la sua piena approvazione, successivamente resa publica su Il Popolo d'Italia il 3 ottobre e a Ferrara, al II convegno di studi sindacali e corporativi, espose la teoria della corporazione proprietaria, per un definitivo superamento della concezione tradizionale della proprietà privata: fu attaccato da tutti, industriali e sindacalisti, trovò l'appoggio di Mussolini, ma non fu sufficientemente sostenuto da Giuseppe Bottai.
In questi anni Spirito diresse la Collezione di Classici del Liberismo e del Socialismo.
Nel 1933, Spirito pubblicò Scienza e filosofia. Spirito in quest’opera sottolineò con forza la non inferiorità della conoscenza scientifica rispetto alla conoscenza filosofica, l'impossibilità di sopprimere la scienza nella filosofia e la necessità di stabilire tra esse un'organica collaborazione. Si trattava, insomma, di fare sul serio scienza che sia filosofia e filosofia che sia scienza, in un costante nesso dialettico.
In questa prospettiva Spirito chiamava la propria concezione attualismo costruttore, in quanto vedeva il pensiero chiamato ad un'elaborazione attiva, costruttrice appunto, per un perseguimento di sapere e di certezze (mai definitive) da condursi non lontano, ma dentro le scienze positive.
Nel 1935, Spirito partecipò al concorso per il premio della R. Accademia dei Licei per gli studi corporativi, ma le proprie opere non furono esaminate dalla commissione: in via riservata alcuni membri gli comunicarono che il premio gli sarebbe stato assegnato, se contro di lui non ci fossero stati insormontabili pregiudizi di carattere politico. Nel 1937 Spirito pubblicò La vita come ricerca, nel 1939 pubblicò Dall’economia liberale al corporativismo, nel 1941 pubblicò La vita come arte.
Nel 1948 Spirito pubblicò Il problematicismo, in cui egli giunse finalmente ad una fondazione più compiuta del proprio pensiero. In che cosa consiste allora il problematicismo? Spirito risponde, dicendo che dire problematicità significa in primo luogo dire insoddisfazione e conseguente ricerca incessante della soluzione o della soddisfazione. Il suo filosofare accade «con l'occhio rivolto unicamente alla verità cui si anela, senza subordinare la ricerca a nessun presunto valore, a nessuna autorità ha nessuna pressione del senso comune e della forza della tradizione». «Ciò che io posso affermare senza timore di smentita è che sento il desiderio di dare una conclusione al mio discorso, di togliere in esso ogni contraddizione che la conclusione renda impossibile o gratuita. Ora, finché rimango in tale situazione, cercando di uscirne, ma non avvertendo di esserne effettivamente uscito, l'istanza critica non degenera in alcuna forma di dogmatismo. Il problematicismo, cioè, è inconfutabile. Ed è inconfutabile perché, a differenza di tutte le altre conclusioni, quella del problematico non è più negata, ma confermata dalla constatazione del suo carattere contraddittorio. In altri termini, l'unica differenza rispetto alle altre posizioni è che – ammesso il circolo vizioso – il problematicista aggiunge di non saperne uscire. La confutazione non basta a farlo mutare di via, perché è già scontata in partenza. La sua posizione diventa inconfutabile o insuperabile nei riguardi di ogni critica negativa, perché l'ammissione di tale critica è proprio il fondamento del suo argomentare». Tutto questo comunque non condusse Spirito allo scetticismo più radicale o alla disperazione. Al contrario, se il problematicismo segnò la consapevolezza di una crisi totale, potette prepararsi al domani con la speranza di un mondo che era illuminato da una luce non illusoria. Il nostro animo, dice Spirito, si apre all'avvenire, lasciando cadere tutti i paraocchi, con un desiderio di vero non diminuito da alcuna presunta certezza. E questo è possibile perché bisogna riconoscere l'assolutezza formale di ogni affermazione umana. Non appare possibile, infatti, che l'uomo apra bocca senza dare alla propria parola un valore di certezza senza riserve e perciò il carattere della universalità e della necessità logica. Per quanto si trattava di affermare la problematicità, la relatività o l'erroneità del proprio discorso, sta di fatto che l'elemento dubitativo o addirittura negativo, e esplicitamente riconosciuto, diventa contenuto di un’affermazione che lo trascende e la cui certezza non è affatto compromessa dal riconoscimento compiuto.
Come ben s'intende, la prospettiva teorica sopra accennata esigeva non solo un nuovo concetto di scienza, ma anche un nuovo concetto di filosofia. Ed è proprio tale esigenza, congiunta con un'interpretazione estremamente mossa e complessa del rapporto conoscenza-realtà e uomo-mondo, che sta alla base del problematicismo di Spirito. Problematicistica la concezione del pensatore romano lo è anzitutto per l'abbandono dei fondamenti metafisico-assoluti cari alla tradizione idealistico-attualistica. La sostituzione del concetto gentiliano di Atto con quello di vita e di prassi vuole appunto esprimere in prima istanza il privilegio di un orizzonte dotato di una terrena, concreta, imprevedibile (e proprio per ciò problematica) pluralità di forme e di valori.
Problematicistica tale concezione lo è poi anche (e soprattutto) per l'insistita e appassionata interpretazione della filosofia come problema e non soluzione, apertura e non conclusione; processo di dubbio che tende a diventare sempre più radicale. Alla luce di tutto ciò non sorprende che Spirito accentuò il modus operandi della ricerca quale carattere peculiare della filosofia. La ricerca pone, infatti, in luce la struttura costitutivamente aperta, complessa, problematica, anzi addirittura antinomica della vita. Pensare la vita (questo, per Spirito, è uno dei compiti primari della filosofia) significa accettare la sfida dell'antinomia sempre risorgente e che non dà tregua sollevata appunto dalla vita. Da questo punto di vista né il razionalismo metafisico, né il positivismo, né l'irrazionalismo offrono adeguate soluzioni, perché tendono a superare o a dissolvere l'antinomia. Solo lo storicismo ha imboccato la strada giusta, quella della soluzione dialettica dell'antinomia, ma non l'ha portata ad una realizzazione completa, esasperandone invece l'aspetto intellettualistico. Per Spirito si tratta invece di articolare ulteriormente questa soluzione dialettica, ancorandola all'uomo concreto che vive nell'esigenza sempre più imperiosa di allargare i limiti della propria esperienza, tendendo all'ideale di un'esperienza totale.
Tale soluzione dialettica è resa trasparente nella vita assunta come arte, cioè assunta nelle dimensioni di immediatezza, tensione vissuta, creatività che si manifestano nel modo più evidente e intenso nell'attività lato senso estetica. Quell'arte da cui abbiamo tratto i motivi per caratterizzare l'immediatezza spirituale di chi ricerca, se ha potuto veder slargati i propri limiti fino a coincidere con la vita, resta poi, nella sua specificità, a segnare i punti culminanti della vita stessa, in quanto protesa nello spazio per raggiungere l'universale (La vita come arte, I). La dimensione dell'arte è poi allargata e integrata da Spirito con quella dell'amore: dell'amore come fruizione appagante dell'immediato e come unità profonda con gli altri uomini ricercanti, che vanno riconosciuti nella loro costitutiva diversità e per ciò stesso amati.
Tale conclusione portò Spirito a modificare in parte il suo pensiero, passando dal problematicismo ad un nuovo tipo di problematicismo che egli chiamò onnicentrismo.
L'accentuazione del pluralismo dell'esperienza e della diversità negli esseri umani trova la propria definitiva formulazione teorica nella già ricordata concezione onnicentristica. Anch'essa, per Spirito, era essenzialmente un'ipotesi, che un giorno avrebbe dovuto, come tutte le altre, essere superata e accantonata. Tuttavia per ora interpreta efficacemente la condizione spirituale dell'uomo contemporaneo: la sua coscienza della precarietà dell'esperienza e insieme il suo bisogno di assolutezza.
Nell'ultima fase del suo pensiero, Spirito approfondì gli assunti del problematicismo nella direzione di una dottrina definita onnicentrismo: una visione filosofica radicalmente immanentistica che da un lato sottolineava l'infinita pluralità e relatività del mondo e dall'altro valorizzava la positività del tutto e la centralità di ogni cosa, approfondendo insieme il principio della ricerca, vista come lo strumento più adeguato, per appropriarsi di questa realtà polimorfa e contraddittoria.
Nella prospettiva dell'onnicentrismo la vita si fa atto di radicale affermazione in ogni sua forma: forma che è sempre assoluta in quanto centro, relativa in quanto periferia, e che si identifica così col mondo, con la realtà assunta nella sua poliedricità e nella sua attualità, caratterizzata dalla pluralità dei suoi centri, sempre in movimento in se stessi e rispetto agli altri.
L'onnicentrismo è anche in grado, per Spirito, di ispirare un nuovo umanesimo, che deve essere affermato sul terreno sia etico-sociale sia educativo. Si tratta di un umanesimo che riserva uno spazio privilegiato alla scienza, rivaluta più in generale tutte le attività dell'uomo (a cominciare dal lavoro) e accoglie in sé anche la dimensione della religiosità, interpretata come il senso dell'assoluto e dell'infinito. In tale contesto, l'uomo è riportato alla società e il suo conoscere e il suo agire diventano realtà collettiva; la vera trasformazione è data dalla sostituzione del soggetto sociale a quello singolo, e la sostituzione non può non ingigantire le possibilità della conoscenza e dell'azione.
«Si deve ammettere, inizia Spirito, che nonostante il non sapere, la vita del problematicista continua in una serie di decisioni e di scelte che sono in contraddizione con l'assenza affermata di ogni criterio di valutazione. Il che ci porta a riconoscere che in fondo la vita, e cioè la parola non può essere che un atto radicale di affermazione. Sì che io potrò dubitare di tutto e di tutti, ma non del criterio con cui dubito e che solleva il dubitare ad assoluto sapere. Io dunque so e non posso non sapere. Tutto è assoluto: tutto è in ogni cosa è perciò niente è vano. È chiaro che se ogni parola è assoluta, ogni parola è necessariamente verità: ogni parola esprime la verità perché esprime tutto il mondo in una centralità originale e libera; essa non può non essere vera perché non può non essere un fatto, come ogni altro fatto dell'universo». Giudicare significherà allora, dice Spirito, «costruire il mio quadro, pronunciare la mia parola, ordinare i miei valori ma non mai giudicare l'altro in quanto altro, con me stesso in quanto giudice. Il fatto che io non possa giudicare l'altro vuol dire semplicemente che non posso vivere della sua centralità: io non sono responsabile di fronte all'altro, come l'altro non è responsabile di fronte a me, ognuno dei due, essendo responsabile unicamente di fronte a se stesso e cioè nell'ambito della propria realizzazione. Ma il vero e il bene vivono negli altri come in lui, e l'unità è sempre realizzata perché il reale è uno in ognuno; tutto sarà sempre macrocosmo e microcosmo». Queste furono le ultime parole di Ugo Spirito. Non sono però quelle finali della sua ricerca: infatti, dopo aver riconosciuto che, comunque, i caratteri costitutivi dell'onnicentrismo rimangono quelli della ipoteticità e della inverificabilità, egli ci lascia con una domanda in sospeso: «Il problematicismo si è trasformato per il riconoscimento dell'impossibilità di problematizzare se stesso e per la constatazione del dogmatismo della posizione ipercritica. Potrà avere diversa sorte l'ipotesi dell'assolutezza di ogni parola?»
Nel 1949, Spirito prese parte al I Congresso Nazionale di Filosofia che si tenne in Argentina, dal 30 marzo al 9 aprile; nello stesso anno egli fu nominato presidente a vita della Fondazione G. Gentile per gli studi filosofici.
Nel 1953 Spirito pubblicò La vita come amore, nel 1955 pubblicò Significato del nostro tempo.
Nel 1956, Spirito si recò in Unione Sovietica, proprio nel delicato momento del passaggio dal regime di Stalin a quello di Kruscev, con il quale ebbe un lungo colloquio di circa tre ore. Uno dei frutti di questo viaggio fu costituito dal saggio Comunismo orientale e comunismo occidentale. La sostanziale delusione del comunismo realizzato portò Spirito a misurarsi con un nuovo elemento che lo affascinò particolarmente, la scienza.
Nel 1961 Spirito pubblicò Inizio di una nuova epoca, nel 1964 Spirito pubblicò Nuovo umanesimo, nel 1966 Spirito pubblicò Dal mito alla scienza.
Nel 1975, come presidente della Fondazione G. Gentile, Spirito organizzò, con L'Istituto dell'Enciclopedia Italiana e la Scuola Normale Superiore di Pisa, l'importante convegno internazionale su Il pensiero di Giovanni Gentile, tenendovi una relazione intitolata Gentile romano.
Nella prima fase del proprio lavoro Spirito, fu essenzialmente un divulgatore entusiasta ed un apologista instancabile dell'attualismo. Tale fase fu avviata già con la prima opera Il pragmatismo nella filosofia contemporanea del 1921, e fu proseguita col più importante volume L'idealismo italiano e i suoi critici del 1930, in cui era riconosciuto a Gentile il ruolo di massima guida filosofica, perché in lui, il concetto di filosofia si esplicava nella sua piena dialetticità e lo spirito annulla ogni alterità e si afferma nella sua infinità creatrice. Tuttavia, già con Scienza e Filosofia, Spirito delineava una prospettiva per più versi originale ed autonoma rispetto all'attualismo, collocandosi con Guido Calogero ed altri su quel fronte che fu detto della sinistra attualistica.
Il principale obiettivo della sinistra attualistica era di mantenere sì il primato gentiliano del fare (l'Atto) ma, insieme, di demetafisicizzarlo: di ancorarlo cioè al concreto agire degli uomini entro il concreto orizzonte mondano. Mentre però Calogero sviluppò questo programma in direzione essenzialmente etica, considerando esaurita e conclusa quella che chiamava la filosofia del conoscere, Spirito si impegnò intensamente proprio nell'ambito della problematica gnoseologica, pervenendo a risultati assai diversi da quelli cui erano giunti Gentile e Croce.
Per quanto riguarda il carteggio tra Calogero e Spirito è bene precisare subito la consistenza e le caratteristiche. Si trattava di 57 tra lettere e cartoline postali inviate da Calogero a Spirito.
Siamo quindi di fronte ad un epistolario di una certa consistenza purtroppo incompleto, che lo rende meno utile di quello che sarebbe stato se completo.
Le lettere riguardano perlopiù comunicazioni relative alla concreta attività di ricerca e di insegnamento di due studiosi, e poi di due professori universitari.
Nel 1975 Spirito organizzò, con la collaborazione dell’Enciclopedia italiana e della Scuola Normale Superiore di Pisa il primo convegno su Giovanni Gentile.
Nel 1977 Spirito tenne una conversazione alla Rai sul tema: Cos'è il corporativismo moderno.
Anche negli ultimi anni la casa di Ugo Spirito continuò ad essere meta di incontri ed era frequentata specialmente da giovani che venivano a cogliere, dalla voce del maestro, i frutti di un'esperienza singolare di vita interiore ed intellettuale.
Ugo Spirito morì improvvisamente a Roma il 28 aprile. Dopo la morte del filosofo è stata costituita la Fondazione Ugo Spirito.
Lucia Cascone.

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