Tra stretti vicoli e piccole
botteghe artigianali, si erge uno dei più suggestivi esempi di architettura
medioevale del Mezzogiorno d’Italia, la maestosa Cattedrale di San Matteo.
Alla sua costruzione contribuirono
soprattutto due circostanze: la traslazione delle reliquie di San Matteo da
Capaccio a Salerno e la conquista della città, nel 1075, da parte del duca
normanno Roberto il Guiscardo, che,
sconfitto Gisulfo II principe di Salerno, pose fine al principato longobardo.
Roberto il Guiscardo era già noto ai salernitani perché aveva sposato la colta principessa
Sichelgaita, sorella di Gisulfo II: esortato dall'arcivescovo Alfano I, dispose
che si costruisse una grande cattedrale in onore di San Matteo, non solo per
rafforzare la propria potenza e la propria immagine, ma soprattutto per
guadagnarsi il favore della cittadinanza e la benevolenza del Papa.
Con la demolizione delle chiese
paleocristiane di S. Maria degli Angeli, sorta a sua volta sulle rovine di un
tempio romano, e di S. Giovanni Battista e con le donazioni delle famiglie
patrizie salernitane si ricavarono i terreni su cui fu edificata la nuova
Cattedrale reimpiegando colonne, capitelli, architravi e lastre marmoree dei
templi pagani della città. La sua realizzazione avvenne in tempi brevissimi forse
troppo brevi: già nel 1081 fu, infatti, terminato il primo nucleo architettonico
costituito anche simbolicamente dalla Cripta, in cui furono riposte le spoglie
di S. Matteo e dei Santi e Martiri salernitani.
Le vicende della costruzione di questa
Cattedrale sono strettamente connesse all’intreccio politico fra Alfano I,
l’agonizzante potere longobardo e l’ascesa normanna di Roberto il Guiscardo.
Alfano come il suo amico l’abate Desiderio
di Montecassino, era un longobardo di nobile famiglia – imparentata con quella
del principe di Salerno – e divenne anch’egli monaco in Santa Sofia di
Benevento. Eletto abate di San Benedetto e poi arcivescovo di Salerno per la sua
fama di scrittore versatile e colto, produsse pregevoli Inni, ispirati ad
Orazio, e scrisse opere di vario genere: agiografia, teologia e medicina, e
raffinate traduzioni dal greco, base di successive esperienze cliniche e di
ricerca medica. Durante il suo episcopato, in corrispondenza con il movimento
per la riforma della Chiesa, Alfano accompagnò a Costantinopoli il principe di Salerno Gisulfo II, ospite del facoltoso
mercante amalfitano Pantaleone, per chiedere sostegno ed aiuto militare al basileus
Costantino X Ducas contro il
cognato Roberto e i suoi normanni e per promuovere una lega anti-normanna. Ma
Gisulfo, a sua insaputa, lasciò Alfano in ostaggio all'Imperatore d'Oriente:
dopo una inimmaginabile fuga tornò in Italia dove fu accolto da Roberto il Guiscardo e dalla moglie, la principessa
Sichelgaita. Quando nel 1075 il Guiscardo conquistò Salerno, Alfano
fece da mediatore, nella delicata fase di transizione, tra longobardi e
normanni. Per il ritrovamento delle reliquie di San Matteo lo stesso Papa
Gregorio VII si rallegrò con Alfano, che approfittò di tanto entusiasmo per
proporre a Roberto il Guiscardo la costruzione di un monumento che manifestasse
tutta la santità e lo splendore di Salerno che, nel 1076, era divenuta la
capitale dello stato normanno: una nuova cattedrale che potesse accogliere le
reliquie di San Matteo. La costruzione iniziò nel 1080 con il patrocinio di
Roberto il Guiscardo, ricordato come committente da alcune iscrizioni sul
portale centrale e fu consacrata dallo stesso papa Gregorio VII che nel 1084,
in piena lotta per le investiture,
era stato condotto a Salerno – dove morì nel
maggio 1085 – dallo stesso Roberto il Guiscardo, dopo essere stato
liberato dall'assedio dell'imperatore Enrico IV, in Castel Sant’Angelo.
Nella vicenda della cattedrale di
Salerno entra un nuovo protagonista: Papa Gregorio VII le cui linee-guida della riforma furono l'imitazione degli
apostoli e il ritorno alle consuetudini della Chiesa delle origini, che in
campo artistico si manifestò in un ritorno a forme e a temi paleocristiani:
l'arte divenne in questo modo un concreto mezzo di propaganda papale delle idee
riformatrici. Uno dei punti di partenza di questo ritorno al passato è stato
individuato nell'opera di Desiderio, poi successore di Gregorio con il nome di
Vittore III, che volle ricostruire il suo monastero ispirandosi alle grandi
basiliche paleocristiane con la consacrazione della chiesa nel 1070. Nell'ambito
della produzione libraria, le influenze più rilevanti della riforma gregoriana
sono state individuate nella diffusione delle grandi bibbie atlantiche e nel
rinnovamento della tipologia degli Exultet
in Italia meridionale conseguente all'imposizione della liturgia romana su quella
greca.
I celebrati avori
conservati nel Museo Diocesano e la cosiddetta cattedra gregoriana della
Cattedrale sono stati messi da alcuni in relazione con la presenza di Gregorio
a Salerno. Nell'impiego di marmi antichi rilavorati per i braccioli a protomi
leonine della cattedra – presumibilmente quella impiegata da Gregorio VII
durante la cerimonia di consacrazione del duomo – si trova attuato
concretamente quel ritorno all'Antico, legato alla riforma gregoriana, che
trovò un seguito nella produzione di seggi papali a Roma fino all'inizio del
Duecento.
La Cattedrale fu costruita tra il
1080 ed il 1084 e, alla fine dello stesso anno consacrata dal papa Gregorio
VII; per l’eccessiva celerità con cui fu costruita e per i cedimenti di terreno
dovuti a numerosi sismi, subì nei secoli numerosi rifacimenti.
L'arcivescovo
Alfano I, proveniente da Montecassino e legato all'abate Desiderio, si ispirò
alla chiesa costruita da quest'ultimo e ai modelli romani: Alfano,
che aveva assistito alla costruzione della nuova basilica cassinese e che nel
1071 era presente alla celebre cerimonia organizzata da Desiderio per
inaugurare la nuova abbazia, si ispirò per la forma e per la pianta della
costruzione al modello della chiesa
abbaziale di Montecassino, conoscendone profondamente il significato. La
cattedrale di Salerno con le sue tre navate – di cui quella centrale molto
larga – l’alzato altissimo, le tre absidi che ne coronano il fondo, il
quadriportico d'accesso, riprende esattamente quegli elementi di esaltazione
della romanità che Desiderio aveva introdotto a Montecassino, ispirandosi alle
basiliche paleocristiane di Roma pur con delle novità, come ad esempio la forma
della cripta ad aula con lo spazio scandito da colonne e con le
absidi in corrispondenza con quelle del transetto superiore. L'elemento di
romanità a Salerno è evidente anche nella presenza di numerosi elementi di
spoglio: colonne, capitelli, architravi.
Della tipologia cassinese Alfano
modificò solo le dimensioni, che furono quasi raddoppiate – nonostante i
problemi tecnici ed economici che una tale soluzione comportava – per esaltare
l'importanza di Salerno. L'imitazione di modelli aulici che caratterizzò gli
stili dei mosaicisti neocampani che lavorarono per gli arcivescovi Alfano
appare nei mosaici del duomo di Salerno. In realtà l'intera decorazione del
duomo è attribuita sia ad Alfano I, sia al suo successore Alfano II
(1085-1121).
L'aspetto attuale corrisponde per
ampia parte alla ristrutturazione barocca, avviata dopo il terremoto del 5
giugno 1688 su progetto dell'architetto napoletano Arcangelo Guglielmelli e
soprattutto all’opera di Ferdinando Sanfelice, modificato e completato
dall'architetto romano Carlo Buratti.
L'ingresso attuale è stato modificato
rispetto a quello medievale: mentre quello romanico prevedeva dodici scalini
semicircolari, quello attuale si presenta invece con una scalinata monumentale
a doppia rampa: dell’antico prospetto resta solo il portale detto Porta
dei Leoni a causa di due statue ai lati degli stipiti raffiguranti un
leone – simbolo della forza – e una leonessa con il suo cucciolo – simbolo
della carità. Sull’architrave, scolpita ad imitazione di un portale romano, una
scritta ricorda a chi entra l’alleanza tra i principati di Salerno e di Capua.
Il fregio, raffigurante una pianta di vite – evidente rimando al salvifico
Sangue di Cristo – presenta altre decorazioni animali: una scimmia – simbolo
dell’eresia – ed una colomba che becca i datteri – simbolo dell’anima che si
pasce dei piaceri ultraterreni; in alto sulla lunetta un affresco del
Seicento raffigura San Matteo mentre scrive il Vangelo ispirato dall’angelo.
L'ampio atrio, unico esempio di
quadriportico romanico in Italia oltre a quello della chiesa di
Sant’Ambrogio a Milano, è circondato da un porticato – ideale
continuazione verso l’esterno delle navate interne – retto da ventotto colonne
di spoglio, provenienti dal vicino Foro Romano, con archi a tutto sesto
rialzato decorati con intarsi di pietra vulcanica sulle lesene e ai pennacchi
poggiati su capitelli corinzi, che riecheggiano tipologie islamiche. L’atrio,
completato da uno splendido loggiato soprastante a bifore e pentafore,
è arricchito su tutti i lati da una serie di sarcofagi romani,
riutilizzati in epoca medievale, configurandosi come una specie di
Pantheon cittadino.
Sul lato meridionale sorge l’alto e
maestoso campanile arabo-normanno della metà del XII secolo. Il monumentale
campanile si eleva per quasi 52 metri con una base di circa dieci metri per
lato, fu commissionato da Guglielmo da Ravenna, arcivescovo di Salerno dal
1137 al 1152. La sua particolare composizione risponde ad una precisa esigenza
statica poiché i primi due piani, indubbiamente più pesanti, sono in
travertino e costituiscono una solida base di sostegno. Gli altri due piani
sono in blocchetti di laterizio, certamente più leggeri. Tutti i piani sono
alleggeriti da ampie bifore che scaricano i pesi lateralmente sugli angoli. La
torretta costituisce la parte più interessante con la decorazione a dodici
archi a tutto sesto intrecciati con alternanza regolare di diversi materiali
policromi. Le forme del campanile, inoltre, rimandano a precise simbologie
bibliche. I piani sono tre, numero equivalente ai livelli dell’universo secondo
le Sacre Scritture; inoltre, la forma cubica vuol ricordare la loro fisicità.
La torretta, invece, ha una forma circolare che nella Bibbia equivale
all’elemento ultraterreno; la parete esterna è percorsa da dodici colonnine –
quanti sono gli apostoli – che reggono la fascia stellata a sei punte – stella
ebraica – che è la raffigurazione del paradiso. In cima a tutto vi è la cupola,
la cui perfetta forma sferica rappresenta Dio.
L'ingresso principale alla chiesa
è costituito da una porta di bronzo bizantina, uno dei sei esemplari
bizantini presenti in Italia, fusa direttamente a Costantinopoli nel 1099,
inserita in un bel portale marmoreo medievale. La porta fu donata alla città da
due coniugi, Landolfo e Guisana Butrumile, è formata da cinquantaquattro
formelle in gran parte raffiguranti croci bizantine, presenta al centro una
teoria di 6 icone raffiguranti S. Paolo, S. Pietro, S. Simeone, Gesù
benedicente, S. Matteo e la Vergine, la raffigurazione simbolica di due grifi
che si abbeverano ad un fonte battesimale – il grifo, oltre che
dell’immortalità dell’anima, è anche simbolo della famiglia normanna degli
Altavilla, ai quali apparteneva il fondatore Guiscardo. Le porte bronzee
bizantine di Salerno insieme con le altre costituiscono una straordinaria
testimonianza del patrimonio artistico del Medioevo e un documento unico della
produzione metallurgica di Costantinopoli, di cui nelle regioni dell’impero
d’Oriente non è sopravvissuto nessun altro caso simile. Questi preziosi
manufatti non rappresentano solo un rilevante fenomeno di gusto legato al
sempre più largo successo riscosso dalle arti suntuarie di Bisanzio in epoca
romanica, ma sono anche un documento di primaria importanza per ricostruire
quelle rotte commerciali e artistiche
mediterranee nelle quali svolsero un ruolo decisivo le Repubbliche marinare,
soprattutto Venezia, Amalfi e Pisa.
La basilica è un imponente edificio
a tre navate, ma probabilmente in origine dovevano essere cinque, di cui quella
centrale è sormontata da una volta a botte, mentre il transetto presenta delle
capriate in legno rifatte negli anni cinquanta.
La navata centrale, originariamente
su colonne di spoglio – le colonne ed i capitelli originari sono stati in parte
scoperti all'interno dei pilastri barocchi durante i restauri – si apre
sull'ampio presbiterio nel quale si conservano il pavimento ad intarsi marmorei
e porzioni dei mosaici.
Al termine della navata s’inserisce
un coro ligneo: l’arcivescovo Romualdo
II Guarna (1163-1181) eresse nel Duomo una parete, rivestita di marmi e
mosaici, che separava il transetto dalla navata: iconostasi ante litteram,
demolita nel XIX secolo e sulla quale – secondo un’altra ipotesi – probabilmente
erano posti gli avori, divideva l'area presbiteriale dalla navata, una
divisione, ulteriormente sottolineata dalla delimitazione dei due celebri
amboni e del candelabro pasquale degli ultimi decenni del XII secolo. Durante
le ristrutturazioni barocche sia l'ambone sia l'iconostasi hanno subito delle
alterazioni che rendono oggi impossibile una ricostruzione dettagliata della
configurazione iniziale. Attorno all'altare si conserva ancora l’antico recinto
costituito da lastre ricoperte con intarsi marmorei.
I due
amboni salernitani, sorretti da colonnine tipicamente bizantine decorate
con un intarsio di pietre policrome e decorate con sculture e mosaici di ambito
siciliano, hanno un ruolo fondamentale nella
storia dell’arredo liturgico delle chiese del Mezzogiorno: dal periodo
paleocristiano ed altomedievale fino alla rinascita
dei secoli XII e XIII, questo tipo di arredo liturgico era caratterizzato dalla
presenza di un ambone a doppia rampa, privo quindi di colonne. A Roma, cuore
pulsante del patrimonium Petri, è
molto documentata la tipologia a doppia rampa, ma nei territori di influenza
campana invece i pulpiti di Salerno, strutturati a cassa su colonne, dovettero
svolgere dalla fine del XII secolo un’azione normativa tale da non lasciare più
spazio a nessuna variante, diventando l’indiscusso modello di riferimento. I
pulpiti salernitani Guarna e d’Aiello soppiantarono immediatamente la struttura
a doppia rampa, sebbene molto diffusa, come si evince anche dal superstite
ambone Rogadeo della Cattedrale di Ravello o dalle numerose miniature degli Exultet, ispirando a seguire tutti i
pulpiti prodotti in area campana, dalla stessa Ravello a Caserta, da Capua a
Sant’Angelo in Formis, da Teano a Sessa Aurunca.
Sulla sinistra, a cornu evangeli, è collocato l’ambone
Guarna del 1180 che, finemente decorato con mosaici e sculture, fu donato da
Romualdo Guarna, come è riportato sull’iscrizione che corre lungo il parapetto.
Il pulpito è retto da quattro colonne, tre delle quali sormontate da bellissimi
capitelli figurati, mentre la quarta presenta il capitello a motivi vegetali. Uno
dei tre è decorato con figure dalle code serpentiformi poste negli spigoli. Il
secondo presenta sulle facce delle figure femminili elegantemente scolpite in
abbigliamento classico e figure maschili che come atlanti sorreggono con fatica
gli spigoli del capitello. Nel terzo le figure femminili sono sostitute da
altrettante figure maschili mentre negli spigoli trovano posto leoni
accucciati. Colpisce il naturalismo con cui sono scolpite, quasi a tutto tondo,
le figure. Sugli archi si trovano, in rilievo sul fondo intarsiato, le
raffigurazioni di evangelisti – San Matteo e San Giovanni – e profeti. La base
della cassa è delimitata da una cornice scolpita a tralci avvitati. Un'aquila domina il gruppo marmoreo che costituisce il
leggio: si narrava che l'aquila, quando diventava vecchia, con volo possente si
librava fino al sole, le piume si bruciavano al calore ed essa cadeva in mare,
dal quale poi emergeva ringiovanita. Sul fondo del lettorino
poligonale si osserva il rilievo raffigurante la testa di Abisso.
Particolarmente interessanti sono le figure di atlanti uno giovane ed uno
vecchio che si trovano sugli spigoli. Particolarmente ricca è la lastra rivolta
verso la navata: nastri intrecciati ricavano degli spazi in cui trovano posto
figure di uccelli e draghi. Al particolare pregio delle sculture si affianca la
preziosità della decorazione musiva fondata sul ripetersi e sul complicarsi del
modulo di ispirazione bizantina del disco inscritto in una fascia a motivi
geometrici sempre diversi. Ogni pluteo è
decorato da cinque dischi, di porfido o di tessere musive dorate, uniti da
volute in mosaico. Un astratto valore iconico distingue nei dischi in alto un
mondo superiore, sede degli eletti, e nei dischi in basso un mondo inferiore,
il nostro. Il disco al centro simboleggia Gesù: centro dello spazio cosmico e della storia. Come
la scultura, anche la decorazione musiva appare in piena sintonia con quanto
era stato espresso nei grandi cantieri palermitani.
Molto più grande è l'ambone
D’Ajello del 1195 posto a destra, a
cornu epistulae la cui donazione è attribuita alla famiglia
dell’arcivescovo Niccolò D’Aiello. Se l’attribuzione è incerta, evidente appare
l’affinità stilistica con l’ambone Guarna, con il muro di recinzione e con il
cero pasquale, il che fa ipotizzare una contemporaneità di esecuzione nella
seconda metà del XII secolo. L’ambone è a pianta rettangolare su dodici colonne
a fusto liscio con capitelli in cui si ripetono più motivi ornamentali; sui
pannelli a mosaico si ritrova il motivo del disco inserito in una cornice a
spirale. I capitelli del colonnato, di fattura più semplice rispetto a quelli
dell'altro ambone soprattutto quelli con figure di uccelli, protomi e
cornucopie, sono in stretto collegamento con quelli di analogo soggetto, ma di
fattura meno raffinata, del chiostro di Monreale. Le lastre sono ricoperte con
motivi a nastri intrecciati a quinconce che ritagliano spazi ricoperti con
minuti intarsi multicolori. L'ambone ha due lettorini di cui quello rivolto
verso la navata raffigurante l'aquila che artiglia la testa dell'uomo col serpente. Il secondo, rivolto verso
il presbiterio, è costituito da due diaconi stanti su leoncini. Lo stile del
rilievo è molto diverso dal precedente è richiama esperienze di tipo settentrionale, francesi o tedesche.
Accanto all’ambone maggiore, c’è il
candelabro del cero pasquale, cilindrico e ricoperto da tarsie a zig-zag, a
spirale e lineari. La base di tipo corinzio è affiancata da quattro figure di
orsi accovacciati mentre il fusto è diviso in tre parti da nodi di cui quello
superiore è decorato con raffinati intarsi naturalistici.
Su tutta l'area prebiteriale –
coro, presbiterio e transetto – sono realizzati con motivi di tarsie policrome
eseguiti su ordine dell’arcivescovo Guglielmo da Ravenna, nella prima metà del
XII secolo.
Le tre absidi si innestano
direttamente sul muro orientale del transetto. Degli ampi mosaici originari,
della fine dell'XI secolo, rimangono solo pochi ma significativi frammenti dei
simboli di Matteo e Giovanni. Sul fondo dell'abside centrale si trova la
cattedra che si dice appartenuta al vescovo Alfano in fondo troneggia l’altare
decorato con paliotti d’argento. Nell'abside sinistra un mosaico dell'XI
secolo, completato ad affresco nel XIV secolo, raffigura il Battesimo di Cristo. L’abside della
navata destra, detta Cappella dei
Crociati, perché durante la visita di Papa Urbano II, fu istituita una
confraternita che si proponeva di raccogliere soldati e fondi per la
liberazione del Santo Sepolcro. Il committente, Giovanni da Procida, la fece
costruire e rivestire di mosaici nel 1258: Giovanni da Procida raffigurato in
atto di genuflessione nei pressi della figura centrale di San Matteo. Il
mosaico al centro della cappella rappresenta San Matteo in trono; al di sopra San Michele Arcangelo, ai lati San Lorenzo, Giacomo, Fortunato e
Giovanni. Ai piedi di San Matteo si vede, in piccolissime proporzioni, la
figura di Giovanni da Procida. Sotto l’altare è presente l’urna del Papa
Gregorio VII che morì in esilio a Salerno a causa della lotta per le
investiture. I mosaici che ornano tutta quest’area furono tutti rifatti nel
1954, ma degni di nota, poiché originali, sono quelli della navata destra
nonché quello bellissimo della controfacciata, raffigurante San Matteo
benedicente col Vangelo risalente agli anni di passaggio dal XII al XIII
secolo.
Al livello inferiore, in
corrispondenza dell'altare centrale, vi è la Cripta, primo nucleo nella costruzione del duomo. Già nel Marzo 1081, alla
presenza di Roberto Guiscardo e dell'Arcivescovo Alfano I, erano deposte le
reliquie di san Matteo, dei santi martiri e di altri santi. La cripta si
estende sotto il transetto ed il coro ed è costituita da un ambiente a sala con
nove file di tre campate, con volta a crociera poggiate su colonne; queste
ultime si snodano nelle diverse direzioni e formano, con mirabile effetto
architettonico, un intreccio di curve che degradano sfumando. L'impianto a sala
riprende una tipologia utilizzata dai monaci cluniacensi, ma la costruzione
complessiva della Cattedrale è frutto del nuovo clima spirituale e religioso
dell’XI secolo. Nel XVII secolo si determinarono per la Basilica inferiore
grandi trasformazioni anche dovute allo stato di degrado in cui versava. I
lavori furono commissionati a Domenico Fontana, responsabile del progetto
architettonico e decorativo.
Sempre dalla sagrestia si ha
accesso al complesso dell’ex seminario che attualmente ospita il Museo
diocesano: in esso sono conservati numerosi reperti tra cui sculture, pale
d’altare e frammenti decorativi provenienti dalla Cattedrale, inoltre nel museo
sono esposti gli Avori Salernitani: tessere decorate su avorio e raffiguranti
scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, che una volta decoravano l’antico
altare della Cattedrale.
La stessa scelta
iconografica della serie di tavolette d'avorio contiene un forte richiamo alla
tradizione romana. Questo ciclo di sessantasette tavole e
tavolette d'avorio scolpito, raffiguranti scene dell’Antico e del Nuovo
Testamento – provenienti dalla Cattedrale ed ora esposte per la
maggior parte nel Museo Diocesano di Salerno – è la più vasta, completa e meglio conservata serie di opere eburnee del
Medioevo cristiano al mondo. Il complesso proviene
dall'area artistico-culturale di Amalfi e Salerno che dal finire del secolo XI
al XIII produsse opere rilevanti, ed esso rappresenta uno sforzo di inventiva,
creatività e composizione notevole che non si ritrova nemmeno nei contemporanei
paliotti o retabli per altare.
Questi avori sono stati oggetto di
un dibattito critico molto complesso, nel quale si sono registrate posizioni
assai differenti sui committenti, sulla cronologia, sull’identificazione degli
autori e sulla possibile collocazione originaria –
dossale, cattedra episcopale, reliquiario, porta d'avorio. Le formelle
furono realizzate verosimilmente per arredare l’altare maggiore della
cattedrale, con la raffigurazione degli Episodi
dell’Antico e del Nuovo Testamento – tema
iconografico della decorazione delle antiche basiliche romane a partire da S.
Pietro – circondati da cornici a decori vegetali, dalle figure degli
apostoli e da testine di oranti, anch’essi realizzati in avorio. Un ciclo
complesso, quindi, ma smembrato già alla fine del XII secolo per sottrarlo
all’incursione depredatrice dell’imperatore Enrico VI.
I pezzi più affascinanti e
artisticamente pregevoli sono quelli raffiguranti le storie legate all’Antico e
il Nuovo Testamento. Nelle prime, le figure e le ambientazioni si stagliano
entro tavolette di forma rettangolare che hanno un andamento orizzontale e in
questo modo, gli autori riuscirono a rappresentare nella stessa formella anche
due episodi contemporaneamente. Nelle storie neotestamentarie, invece, le
raffigurazioni si dipanano sulle superfici in senso verticale: ciò fa intuire
che, nella posizione originaria del ciclo, esso avesse una funzione diversa,
quasi centrale nella composizione. Altro fattore rilevante è lo stile diverso,
frutto del felicissimo amalgama tra gli stili locali di
tendenza normanna, araba e bizantina, quest'ultima
orientata al recupero dell'arte classica, segno tangibile che l'opera sia
attribuibile ad almeno tre maestri e con una sovrabbondanza decorativa e di
sfondi che fa pensare ad una sorta di horror
vacui. Vi sono inoltre richiami precisi a Salerno e al mondo
orientale, con la città e i templi simili più a minareti e moschee che
a chiese cristiane. Sia i personaggi principali, sia quelli secondari sono
rappresentati mentre compiono un’azione, in cui nulla è lasciato al caso;
proprio come un attore in scena, ogni figura ha un ruolo specifico e
fondamentale ai fini della rappresentazione dell’episodio narrato, e raramente
funge da sfondo scenografico.
Sorprendenti sono gli elementi decorativi che impreziosiscono le architetture,
le ambientazioni e le vesti, raffigurati in modo preciso ed essenziale.
L’analisi stilistico-formale delle figure e delle architetture ha rivelato come
ad intagliare gli avori furono ben tre personalità artistiche differenti, ma
operanti probabilmente nella stessa bottega salernitana. Artisti che
adoperarono una svolta sul piano culturale, allontanandosi dai modi della
scuola amalfitana ancora imperante alla fine dell’XI secolo, per accostarsi ai
nuovi intendimenti romanici provenienti dall’Italia settentrionale e dalla
Francia meridionale e della Spagna. Dal
confronto con la cassetta eburnea di Farfa si deduce che dovettero esistere una
o più botteghe – attive nella Costa d'Amalfi – in cui era lavorato l'avorio:
questo ciclo di tavolette eburnee mostra anche un evidente collegamento della
manifattura in questione all'insieme delle arti suntuarie, prima fra tutte
l'oreficeria che richiedeva l'uso degli stessi strumenti, quali il cesello,
applicati ad opere fragili e delicate – interessante presenza questa di orefici
di origine greca o siciliana nell'area fra Amalfi e Salerno. La raffinatezza
dell'esecuzione, la libertà di espressione e di inventiva e la complessità del
risultato, caratterizza questa bottega, di elevatissimo livello nell'ambito del
panorama artistico campano. Come in genere tutto il panorama artistico campano
anche questi avori attestano i possibili contatti con l'arte islamica che
certamente in qualche modo giungeva tramite i contatti commerciali tra le due
sponde del Mediterraneo. L'apporto dell'arte islamica si coglie nella grande
perizia e nell’estro profusi per la resa degli apparati decorativi, per il
ricorso a distese di elementi floreali, fitomorfi se non addirittura astratti,
spesso usati come semplice riempitivo di superfici che altrimenti sarebbero
risultate vuote.
La prima caratteristica che
differenzia nettamente le tavolette eburnee
dalla cassetta di Farfa è il grande rilievo dato all'impianto architettonico che inquadra le scene, le suddivide e ne costituisce l'elaborato fondale;
sebbene in nessun caso l'artista sia riuscito a far realmente muovere le figure
in uno spazio dotato di profondità ma questo non rientrava nelle sue
intenzioni, egli si è accontentato piuttosto di offrire ai personaggi un
fondale estremamente ricco e preziosamente cesellato, che manca del tutto in
altre opere coeve. Il ricorso sistematico alle quinte architettoniche nonché
alla spartizione dei riquadri istoriati mediante altri elementi architettonici
come colonnine e paraste, lega saldamente gli artefici delle tavolette all'arte
bizantina ed al mondo tardo antico e carolingio da cui proviene il maggior
numero di elaborazioni del tema iconografico di Cristo nel Limbo, intento a
trarne fuori i Progenitori. Ma il richiamo all'arte tardo antica risiede
soprattutto nell'uso dell'elemento architettonico come quinta ed inquadramento;
in questo senso il richiamo più immediato è con le numerose fronti di
sarcofago, a porte di città, ad immagini di edifici, mura merlate e porte, così
frequenti nei cicli pittorici e musivi delle basiliche e chiese tardo antiche e
altomedievali, spesso raffigurate a simboleggiare la Gerusalemme celeste quale
ambientazione delle teofanie che decoravano absidi e grandi arche sepolcrali.
Massimo Capuozzo
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