domenica 30 dicembre 2012

La Storia le storie: la storia di Irene. Di Massimo Capuozzo

La storia di Irene comincia curiosamente due anni dopo la sua morte, quando, nel 1561, Dionigi Atanagi, un letterato legato alla Curia romana, pubblicò un volume Vita di Irene da Spilimbergo che piacque a Pietro Giordani e a Benedetto Croce. In quest'opera, che supera largamente le poesie composte per l'occasione da letterati e poeti famosi, si diffonde la vena sottilmente affettiva e melanconica di Atanagi nel breve distendersi della rievocazione biografica, rappresentando il personaggio diafano di una giovinetta in un clima di trasognata e poetica luminosità.

Gli elogi poetici contenuti – 279 in italiano e 102 poesie latine – appartengono a qualche anonimo e mentre altri sono scritti o attribuiti a personalità della cultura contemporanea tra cui Lodovico Dolce, Bernardo e Torquato Tasso, Tiziano, Luigi Tansillo, Angelo Di Costanzo, Benedetto Varchi e altri meno noti.
Irene nacque nel 1540 nel piccolo paese di Spilimbergo a circa 30 km a nord ovest di Udine, secondogenita del Conte Adriano da Spilimbergo e della nobile veneziana Giulia Da Ponte. Suo padre le impartì la prima educazione e rilevò ben presto la precocità intellettuale della figlia, che assimilava con tanta prontezza, quanto le era insegnato da suscitare l'ammirazione di quelli che la conoscevano: Bona Sforza, regina di Polonia, che di passaggio per il Friuli fu ospite dei Conti Spilimbergo, le donò due catene d'oro.
Il padre di Irene morì quando la bambina non aveva ancora dieci anni e, la madre, dopo il periodo di lutto, passò a seconde nozze, estromettendo la piccola dall’eredità paterna.
Suo nonno materno, Giovan Paolo Da Ponte volle Irene presso di sé e la giovinetta fece il suo ingresso nella nobile famiglia dei Da Ponte, una delle più illustri casate di Venezia, che vantava anche un doge, Nicolò Da Ponte.
Le qualità della giovinetta a Venezia ebbero modo di svilupparsi e di rendersi concreto: fra le dotte conversazioni e gli eleganti modi della nobile Olimpia Malipiero, Foscarina Venier e Adriana Contarini, Irene fu educata alle lettere, alla musica e al ricamo come tutte le patrizie veneziane; alla serietà degli studi fra le dotte dissertazioni letterarie di Pietro Bembo ed Elisabetta Quirini, consolatrice e compagna dei suoi pensieri e ispiratrice dei suoi ultimi sonetti amorosi dal 1537 in poi, cantata, oltre che da Bembo, da monsignor Giovanni Della Casa e ritratta da Tiziano; al culto del bello dalla familiarità di vita con Tiziano e Sansovino che, in fuga da Roma dopo il sacco del 1527, si era stabilito a Venezia.
Lo studio dei migliori scrittori italiani da Petrarca a Bembo assiduo nell'età dell'immaginazione e dell'entusiasmo e le dotte conversazioni accrebbero il patrimonio delle sue conoscenze tanto che cominciò ben presto ad attrarre l'attenzione degli illustri frequentatori del cinquecentesco palazzo Da Ponte.
Gli anni trascorsi nel vecchio castello di Spilimbergo, nella contemplazione delle bellezze della natura, del dolce paesaggio che dalle sponde del Tagliamento delicatamente si eleva fino alle verdi colline per perdersi nella grandiosità delle Alpi Carniche, avevano lasciato nel suo cuore un nostalgico desiderio di qualche cosa che potesse far rivivere il mondo interiore. A Spilimbergo aveva appreso ancora bambina il disegno da una certa Campaspe che frequentava il castello con altre ragazze; a Venezia, attratta nell'orbita di Tiziano, volle diventare sua allieva. E Tiziano, sebbene spesso ostile e infastidito dall’avere accanto allievi o imitatori, la accettò di buon grado e non era poco per lei divenire allieva di colui che fra i pittori era chiamato maestro universale".
L'amore per la natura, per quella natura che è straordinariamente superiore a qualsiasi tecnica pittorica e che sola può ispirare la bellezza fu il principio che unì maestro ed allieva fin dall'inizio. Per due anni Tiziano guidò amorevolmente Irene, incoraggiando e correggendo con paternità e con severità, indicandole come modello da imitare Giovanni Bellini che era stato suo maestro e che aveva saputo inculcargli tanta grazia straordinaria nelle sue Madonne.
Tiziano si preoccupò di instillare in Irene quel senso del bello che deriva dall'armonia dei colori e dall'equilibrio tra il semplice e il vero. Irene sentì nella persona e nell'arte di Tiziano qualche cosa che trascendeva le più elette capacità e fece meta dei suoi pellegrinaggi quasi quotidiani l'Assunta che già splendeva nella Chiesa dei Frari. La contemplazione e la meditazione di quel gioiello furono la sua scuola migliore. Volle allora cimentarsi con la tavolozza. Rimangono di lei tre quadretti che nell’armoniosa fusione delle tinte, delle luci, della composizione possono considerarsi una splendida prova della versatilità e dell'intuizione di Irene.
I tre quadri, portati alla luce dal conte Fabio di Maniago e raffiguranti rispettivamente "Noè che entra nell'Arca", il "Diluvio Universale", la "Fuga in Egitto", furono composti da Irene diciottenne, dopo un anno cioè di studio assiduo sotto la guida del suo illustre maestro, spinta da un profondo senso di emulazione per la pittrice Sofonisba Anguissiola che pur giovane già aveva fama meritata.
Oltre la pittura storico-biblica sembra che Irene abbia appreso da Tiziano anche l'arte del ritratto.
Irene fu anche scrittrice: poesie e alcune prose ma tutti questi saggi letterari andarono perduti.
Aveva appena diciannove anni quando una febbre violentissima la assalì, accompagnata da acutissimi dolori alla testa. Per ventidue giorni si dibatté tra la vita e la morte Il trapasso, anche nel tormento del male, fu sereno e cristianissimo com’era stata la sua vita. Era il 15 dicembre del 1559.
Tiziano che l'aveva tenuta come allieva prediletta, che l'aveva amata come un padre, la volle immortalare in un quadro, dove splendore, bellezza e compostezza si fondono mirabilmente. Il quadro del Conte Giulio di Spilimbergo e custodito nella sua casa di Maniago, fu in seguito fu portato in casa dei Conti Maniago.
È generalmente rifiutata dalla critica l'antica attribuzione ad Irene di Spilimbergo di un dipinto raffigurante S. Sebastiano nella parrocchiale dei SS. Mauro e Donato di Isola in Istria; la paternità della pala è stata infatti assegnata a un autore della scuola di Palma.
Massimo Capuozzo

6 commenti:

  1. Gentile prof Capuozzo, sono una storica dell arte di nascita e formazione fiorentina . Negli ultimi anni mi sono occupata di studiare la vita di Irene da Spilimbergo. leggo ora la sua interessantissima pagina che riguarda la giovane sfortunata pittrice e avrei un paio di domande da porle:

    1. I i tre quadretti che Lei dice riportati alla luce dal Conte Fabio Maniago , esistono veramente da qualche parte. chi li ha visti?
    2. A chi spetta e con che prove l ' attribuzione del S.Sebastiano d Istria a un pittore della scuola del Palma?
    Rinnovandole i complimenti per la bella pagina da lei scritta, La ringrazio dell'attenzione

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Gentilissima collega, le rispondo alla prima domanda Storia delle belle arti friulane scritta dal conte Fabio di Maniago di relativamente recente edizione (1999): è l'unico elemento che possediamo quindi le vuole indagare deve partire dal testo di Maniago
      Per quanto riguarda la seconda domanda a lume di memoria, a non sono certo ho desunto la notizia da una guida touring
      Non so lei ora dove si trovi ma se dovesse trovarsi in area veneta sarebbe bene che si recasse in loco e cercare nella locare biblioteca di solito gli storici locali sono delle fonti preziosissime
      Spero in una sua collaborazione con questo blog
      Grazie
      Massimo Capuozzo

      Elimina
    2. Gentile collega, in merito alla tua seconda domanda ho trovato qualcosa di più preciso:" La chiesa parrocchiale d'Isola conserva la pala del Miracolo di San Mauro,
      attribuita ad un Antonio (?) Seccante, che ci è ignoto; noi la crediamo opera
      di Alessandro di Spilimbergo da Monfalcone, che sposò la Lucia de Taxis di
      Bergamo, sorella di Bernardo, padre di Torquato Tasso. Reca le iniziali con cui
      questo autore usava segnare le sue opere A. S. F. 1587. Fu malamente ristaurata.
      La stessa chiesa ha un San Sebastiano attribuito a Irene da Spilimbergo, e una
      Deposizione che dovrebbe essere del Palma. L'abate Tentori nel suo Saggio
      della storia civile politica, ecclesiastica degli stati della republica di Venezia scrive
      che nella Collegiata di Dignano si ammirano (anno 1715) quadri bellissimi del
      Tintoretto, del Palma e di Paolo Veronese: queste tele sono scomparse; la stessa
      chiesa ha però un Cenacolo di Giovanni Contarini, (1549-605) autore della
      Resurrezione nel palco della chiesa di San Francesco di Paola in Venezia e di
      altre insigni pitture. È firmato: Joanes Contare. Di Giacomo Palma è la pala del-
      l' altare maggiore nella chiesa di San Cipriano delle M. M. Benedettine in Trieste. "
      Ecco anche l'URL
      https://archive.org/stream/listrianobilissi02capr/listrianobilissi02capr_djvu.txt
      Cordiali saluti

      Elimina
  2. gentile prof Capuozzo, la ringrazio per aver gentilmente risposto alle mie domande. la vita ma soprattutto lattivita di Irene da Spilimbergo resta avvolta in una fitta nebbia. La terro' informata su eventuali novita a riguardo. Ringraziandola ancora Lasaluto cordialmente

    RispondiElimina

Archivio blog