Negli
anni Cinquanta, la cultura artistica di Sofonisba fu ulteriormente promossa da
suo padre, bravissimo propagandista della ragazza:
egli badò a promuoverne la fama di sua figlia nelle
corti d’Italia, stabilendo contatti con Mantova, Ferrara, Parma, Urbino
e infine con Roma, per completare l’educazione di sua figlia e caldeggiarla presso
quelle corti. Amilcare era il primo, il più convinto e tenace patrocinatore delle
capacità della giovinetta: a tal proposito un interessante carteggio mostra
come fosse intenso il suo scambio di lettere con i potenti e con i massimi artisti
dell’epoca, nel raccomandare sua figlia. «Per la più cara cosa ch’io abbia, gli dedico
essa Sophonisba per sua serva e figliola…» arrivò a scrivere a
Michelangelo, il quale rispose con buoni giudizi ed incoraggiamenti e sostenne il
talento della ragazza presso il Granduca di Toscana: quando infatti Cosimo de
Medici chiese a Michelangelo un disegno, egli pensò di inviargli il disegno
della giovane e promettente pittrice, visto che il mondo era già pieno di
eccellenti uomini. Amilcare Anguissola aveva inviato a Michelangelo i disegni di
Sofonisba e fra quei disegni c'era anche un Fanciullo morso da un granchio,
oggi a Napoli nella Galleria Nazionale di Capodimonte: in esso la giovanissima
artista cremonese, allora poco più che ventenne, aveva colto l'espressione del
dolore infantile con un'invenzione che piacque molto a Michelangelo, allora
ottantaquattrenne, che lodò i suoi studi delle espressioni del riso e del
pianto, degni della mutevolezza della anima. Quella smorfia di dolore fermata
da Sofonisba si troverà poi nel Ragazzo
morso da un ramarro di Caravaggio.
La
fama di Sofonisba nacque presto tanto che lo stesso Giorgio Vasari, giunto nel
1566 in casa Anguissola per verificare la fama dalla ragazza, volle conoscerla e
le sue tele suscitarono in lui tanta impressione che la citò in seguito nelle sue Vite.
Sofonisba
era poco più di una ragazzina e già aveva sviluppato quella che Vasari definì la freschezza del suo disegnare, evitando
la maschera del volto per dedicarsi all’indagine psicologica. Il suo genio
creativo dava alle immagini anche realtà interiori, fatte di sentimenti,
emozioni, pensieri, movimenti dell’anima, colloqui taciuti nei segreti del
cuore, come nella celebre Partita a
scacchi, nella Vecchia che studia
l’alfabeto ed è derisa da una bambina, nel già citato Fanciullo morso da un granchio e in moltissimi altri che suscitano
lo stupore di studiosi e profani. Questa capacità di penetrare oltre
l’apparenza e di portare alla superficie ciò che essa nasconde fu il tratto
distintivo dei suoi tanti ritratti e autoritratti.
Sofonisba, benché preferisse presentarsi al pubblico come virgo bene educata, nell’Autoritratto al cavalletto, del
1556, mette in scena se stessa mentre dipinge
un'opera devozionale con Madonna e Bambino attraverso il solito gioco degli
specchi multipli, sulla scorta di un precedente modello iconografico della
pittura fiamminga.
Nell’Autoritratto alla spinetta, a Napoli
nella Galleria Nazionale di Capodimonte, una
delle opere cardine dell'attività giovanile di Sofonisba, collocabile
probabilmente intorno alla metà degli anni Cinquanta, come suggerisce
l’acquisita padronanza del mezzo espressivo. Quando l'artista entrò in contatto
con il miniatore croato Giulio Clovio, al servizio dei Farnese e amico di
Fulvio Orsini, attuò il superamento dell’analiticità descrittiva e mostra la
nuova predilezione per un morbido chiaroscuro: contro lo sfondo scuro che ha la
funzione di avvicinare il soggetto allo spazio reale dello spettatore, risalta
il volto illuminato della pittrice alla spinetta. Anche in questo autoritratto Sofonisba
si distingue per la ricerca di
espressività affettiva, vicina agli esiti di Moroni, e per l'intensa produzione
di autoritratti: l'immagine della prima donna famosa della storia della pittura
italiana doveva, infatti, suscitare certamente curiosità e ammirazione e
Sofonisba, nella scelta degli attributi, in questo caso la spinetta, dava ogni
volta dimostrazione della propria virtù e della propria completa educazione
artistica.
Nella
Partita a scacchi della collezione Radzinsky a Poznai, Sofonisba,
appena ventenne, già è padrona della tecnica pittorica ed affermata ritrattista:
in questo dipinto vive un vibrante realismo di
sapore lombardo che supera le formule manieristiche, sottraendosi alla
logica del ritratto, e costruisce un complesso racconto a più voci. Attorno a
una scacchiera sono disposte quattro figure femminili: tre sorelle minori di Sofonisba – Lucia, Minerva ed Europa – e un’anziana domestica, loro fedele governante, sono impegnate in una partita a scacchi in giardino con un
lontano paesaggio di fondo d’ispirazione fiamminga, mentre l’incrocio degli
sguardi e la mimica delle mani suggeriscono una corrente
interlocutoria tra i vari personaggi: tutti gli sguardi si cercano, ma
non trovano rispondenza. Lucia, la
ragazza che rivolge lo sguardo all’osservatore del dipinto, ha appena attuato
una brillante mossa di gioco: ha infatti mangiato la regina nera di
Minerva che alza la mano, forse in gesto di disappunto o di resa; la piccola
Europa sorride divertita. La posizione degli scacchi non è casuale, ma
rappresenta un momento saliente della partita. Lo spazio della tela è
saturo, quasi che la partita a scacchi non è altro che un pretesto per portare
in primo piano le relazioni familiari dei personaggi.
Il dipinto segna una tappa significativa, nella formazione di
Sofonisba, soprattutto per il gusto con cui il ritratto vi appare risolto in
scena di genere, non senza riflessi bresciani, specialmente di Moroni. Per
questa via, infatti, nei brani migliori della sua ricca produzione
ritrattistica, Sofonisba giunge a superare le remore del chiuso manierismo
cremonese nella freschezza di un'acuta e composta notazione aneddotica.
Vasari
parla con particolare ammirazione del Ritratto
di famiglia. Questo è uno dei dipinti più noti di Sofonisba ed è anche uno
dei più complessi sia per formato sia per impostazione spaziale sia per l’intreccio
tra la tipologia del ritratto di famiglia e quella del ritratto aulico
dinastico. Le ascendenze moroniane del tema iconografico del ritratto di
famiglia si impiantano su uno schema di profondi referenti simbolici legati
alla continuità dinastica della casata, mentre la serena quiete della partitura
narrativa si qualifica per un plastico vigore michelangiolesco, conferito
soprattutto alla postura paterna in primo piano il padre con il figlio
ultimogenito, molto desiderato dopo sei figlie, e rappresentato nell’abbraccio
paterno, più indietro c’è la sorella Minerva che sembra raggiungerli. La composizione,
circoscritta nello spazio da due tronchi d’albero, presenta sullo sfondo uno
splendido paesaggio segno di una certa influenza nordica. La raffigurazione del
padre della pittrice che abbraccia l’unico figlio maschio, Asdrubale, e che
ignora la figlia Minerva, è l’emblema della società cinquecentesca: il padre
investe le proprie attese sul maschio, pur avendo quattro figlie ricche di un talento
riconosciuto anche dai grandi dell’epoca.
Se
incisivo era stato l’intervento dell’abile Amilcare nel fare uscire da un
contesto provinciale la figlia, decisivo fu l’eccezionale talento di
quest’ultima.
Per
Sofonisba il primo passo fuori provincia
giunse con un invito alla Corte dei Gonzaga dove la giovane pittrice fece un
ritratto alla duchessa Margherita e alla nuora Elena d’Austria; da qui la
giovane spiccò quel primo volo che l’avrebbe condotta molto lontano.
Intanto,
i suoi dipinti erano molto ricercati nelle Corti italiane dove Sofonisba
partecipò come figura di spicco alla vita artistica: la vita e la carriera dell'artista, si svolsero per lo più tra importanti
Corti alle quali era chiamata come ritrattista, quale quella dei Farnese
di Parma. Ma Sofonisba fu un personaggio eccezionale
rispetto alle altre donne che si occuparono attivamente di arte poiché non era
né figlia né moglie né sorella di pittori o artisti in genere, ma soprattutto
perché lei e le sue sorelle, dato il loro rango,
non esercitarono mai la professione di artista per sostentamento, ma esercitarono
nobilmente la pittura, senza ricevere
mai commissioni ufficiali, regolate da un contratto notarile o comunque
commerciale e non vendettero mai le loro opere, ma le regalarono sotto la
tutela del padre, della corte o infine dei mariti, ricevendone in cambio
privilegi, gioielli, stoffe preziose e doni adatti al suo lignaggio.
Di
questo periodo è il bel Ritratto di
Alessandro Farnese, conservato di Dublino nella National Gallery of Ireland,
quando Alessandro non aveva ancora compiuto quindici anni. Oltre al cappotto tedesco, in broccato d'oro adorno di
perle, si scorge la fodera di ermellino, segno regale che spettava ad
Alessandro, come nipote di Carlo V: quest’opera divenne un modello di una felice
soluzione iconografica, adottata in seguito da Taddeo Zuccari negli affreschi
del palazzo Farnese a Caprarola, per proporre l’immagine adolescenziale del principe,
educato presso la corte reale.
La
penetrante investigazione psicologica leonardesca e la ricerca sugli umori sprigionati
dagli stati d’animo si intensificarono ulteriormente nel quinquennio 1555 –
1560 fino alla lenticolare accuratezza dell’indagine fiamminga, estesa anche ai
molteplici inserti narrativi di natura morta disseminati nelle scene pittoriche.
Ricordi
sentimentali si colgono nel Ritratto di
dama dipinto nel 1556 oggi a Berlino allo Statliche Museen Preussischer
Kulturbesitz, captando con lucida osservazione analitica la
sussurrata effusione che emana dall’espressione femminile, probabilmente
identificabile con la madre Bianca Ponzoni Anguissola.
Squisiti
esiti di verosimiglianza rimarca nel 1557 il Ritratto di dama a Berlino, che sembra instaurare una muta
conversazione con l’autrice esterna, anche qui auspicando una lenticolare
lettura col soffermarsi della luce intorno al collo impreziosito dalla collana
perlacea col pendaglio, scorrendo poi sui riverberi luminosi della veste per
inquadrare la pelliccia di zibellino, stretta nella mano sinistra.
La
tela del '59 La Sacra famiglia
dell’Accademia Carrara di Bergamo rivela una debole ripresa di moduli
parmigianineschi sempre derivati da Bernardino Campi. Il dipinto ha un’ambientazione
boschereccia e raffigura un momento di riposo durante la fuga in Egitto. La
Vergine porge dei fiori al Bambino che si gira verso di lei mentre gioca con la
barba di San Giuseppe: Sofonisba riproduce fedelmente gli effetti atmosferici
del cielo tempestoso e rende molto espressivi i volti. Sofonisba è una pittrice di anime: riesce a catturare le sensazioni, i sentimenti, i moti dell'animo fugaci e irripetibili
di ogni personaggio. Ella è molto attenta ai particolari: i riflessi di luce,
gli sguardi, le piccole smorfie labiali; l’anima del soggetto è il vero centro
focale delle sue opere.
Dopo
un breve soggiorno a Milano presso la corte del duca di Sessa, governatore di
Milano (1558-60), probabilmente accompagnata oltre che dai genitori
anche da Lucia, Sofonisba, col suo talento, riuscì nell’impossibile. Grazie al
duca d’Alba, le si aprirono le porte della Corte spagnola di Filippo II a Madrid: i requisiti della sua pittura valsero per la chiamata a
Madrid nel 1559 come Dama per la Regina Isabella di Valois.
Le
sue doti di ritrattista originale e squisita erano ormai riconosciute dai grandi
e dai potenti: dal Papa a Michelangelo, da Vasari a Filippo II di Spagna e proprio
questo re la volle alla sua corte per quindici anni.
Massimo Capuozzo
Ciao,
RispondiEliminaIo non parlo italiano, questa è una traduzione automatica, quindi non so come sarà... :), spero che tu capisca la mia domanda.
Mi puoi dire dove posso vedere la foto di Sofonisba di Isabellla de Valois pelliccia di zibellino.
Grazie per questo sito!
prado madrid
RispondiEliminamassimo capuozzo