Properzia
de' Rossi (1490 – 1530) è
stata la
prima scultrice in Europa. Bella ed affascinante, passionale e
sensibile, durante la sua breve e tormentata esistenza, riuscì a vivere
intensamente come poche donne dell’epoca e a costituire un modello per molte
artiste che vennero dopo di lei. Indubbiamente rappresentò un elemento di
disturbo nel panorama artistico bolognese per la sua accesa e straripante
sensualità e per il suo carattere passionale nella
vita e nell’arte: ancora nel XIX secolo le fu dedicata una tragedia
dal ravennate Paolo Costa (1771 - 1836) cui Properzia, a tre secoli dalla morte,
ispirò una tragedia in versi intitolata a lei. Era senz’altro una donna
controcorrente, poiché si sottrasse al vincolo
del matrimonio e scelse la convivenza, guadagnandosi l’epiteto di concubina,
fatto cui si collegò la critica contemporanea che l’accusò di usare la sfera
sessuale per ottenere in scambio incarichi. I tratti peculiari delle sue
scelte di vita, anche nel senso delle sue scelte artistiche, motivano in parte la predilezione per tecniche contrassegnate da un impegno-sfida: piccoli tocchi
di cesello impressi su noccioli di frutta alternati a colpi vibrati sulle
lastre di marmo.
Properzia era figlia naturale del
notaio Girolamo de’ Rossi di Bologna
e nacque nel 1490 probabilmente
a Bologna. Neppure per lei manca un aneddoto che ne tratteggi la precocità
infantile, prefigurando l'attività futura: si racconta, infatti, che da bambina,
il suo gioco preferito era quello di modellare nella creta figure d'uomini e di
animali.
Secondo
la tradizione, Properzia si formò nello studio dell'incisore
bolognese Marcantonio Raimondi, quando lei era un’adolescente di sedici anni e lui di
dieci anni maggiore di lei; da
Raimondi apprese l’arte della miniatura e della scultura in marmo e terracotta fino al 1507,
anno in cui l’incisore lasciò Bologna per Roma.
Il misogino Giorgio Vasari,
mai tenero con gli artisti bolognesi, era rimasto talmente impressionato
dall’abilità tecnica di Properzia, capace di scolpire perfino noccioli di pesca,
che le dedicò un ritratto leggendario nelle sue celebri Vite: l'eccezionale presenza di una donna che mise le «tenere e
bianchissime mani nelle cose meccaniche, e fra la ruvidezza de' marmi e
l'asprezza del ferro» destò la sua stupita ammirazione e le riservò un
esaltante elogio per la sua bellezza e per il suo virtuosismo come
intagliatrice di noccioli di frutta. Un ritratto tanto celebrato da crearne un
mito.
Presso
il Museo Civico Medievale di Bologna,
si conserva uno stemma eseguito in forma di gioiello per la nobile famiglia
Grassi: esso è realizzato in filigrana d'argento e vi è raffigurata un’aquila bicefala,
sormontata da una corona. Nella filigrana sono incastonati a giorno undici
noccioli di pesca, intagliati dalla scultrice. Per ciascun nocciolo, Properzia
eseguì due immagini: da una parte l'effige di un apostolo e dall'altra quella
di una santa, l'aquila imperiale a due teste sormontata da corona sintetizza un’interessante
iconografia, rappresenta, infatti, un emblema araldico e al contempo un simbolo
di devozione.
In
un nocciolo di pesca, parte di una collana conservata al Palazzo
Pepoli-Bonamini di Pesaro, Properzia scolpì l’intera Passione di Gesù.
Secondo
alcune fonti, è opera sua anche un nocciolo di ciliegia con incise sessanta
teste ed incastonato in un anello conservato presso il Gabinetto delle Gemme della
Galleria degli Uffizi di Firenze.
Questi
gioielli sono preziosi non tanto per il valore intrinseco dei materiali, quanto
per la perizia dell'esecuzione: essi, infatti, suscitarono le lodi di
collezionisti e di esperti d'arte, come si rileva dalle parole tratte da un
manoscritto di Marcello Oretti: «...figurine così ben mosse, che è uno stupore
il vederle.»
La
vita di Properzia, che «fu del corpo bellissima, e sonò, e cantò ne' suoi
tempi, meglio che femmina della sua città», secondo le parole di Vasari, è
avvolta in gran parte dall'ombra ed è caratterizzata da inquietudini e
trasgressioni, che secondava il suo ingegno,
definito da Vasari “capriccioso e destrissimo”.
Le sue mirabili miniature la fecero notare e molti nobili bolognesi
cominciarono a commissionarle busti in marmo. Properzia giunse così alle opere
di grandi dimensioni grazie alla fama procuratale dai lavori ad intaglio su
superfici infinitesime.
Per la chiesa bolognese di Santa Maria del Barracano, eseguì alcune figure per il baldacchino e per l’altare
maggiore, attirandosi per questo l’invidia dei rivali: precisione di
tratto ed abilità inventiva trovavano espressione nella sua vibrante capacità
di far guizzare dai materiali – legno, marmo o calcare – figure turgide,
rappresentate nella pienezza delle loro emozioni.
Nel 1520, Properzia fu citata in giudizio e processata
insieme
al giurista Anton Galeazzo Malvasia, del quale era ritenuta convivente, per aver danneggiato la proprietà di un vicino, il vellutaro
Francesco da Milano: vilipesa con l'epiteto di concubina fu accusata d'aver schiantato,
con la complicità del suo amante, «ventiquattro piedi di vite ed un arbore di
marasca».
Tra tutte queste turbolenze
esistenziali, Properzia tra il
1525 e il 1526 ottenne il premio della sua vita: l’esecuzione di alcuni lavori nel cantiere
della basilica di San Petronio di Bologna per la decorazione della facciata ovest della Cattedrale con
figure di angeli e di sibille.
Il cantiere di San Petronio
significava per lei lavorare
nel cantiere più prestigioso della città: mentre il portale centrale era stato
realizzato da Jacopo Della Quercia dal 1425 al 1434,
i due portali laterali furono disegnati da Ercole Seccadenari – ingignero
dal 1524 della Fabbrica della Basilica
di San Petronio – e dovevano
essere decorati da formelle: i pilastri ospitano, infatti, Scene bibliche, mentre
gli architravi Storie del
Nuovo Testamento. Alla decorazione
partecipavano gli artisti più in vista del momento, da Amico
Aspertini, a Niccolò Tribolo, ad Alfonso Lombardi, a Girolamo da Treviso, fino
a Zaccaria da Volterra e
allo stesso Saccadenari. Properzia era l’unica donna in un contesto
artistico, quello della scultura, di esclusiva prerogativa maschile a causa della maggiore difficoltà, provata proprio
dall'assenza di donne scultrici. Ma
Properzia aveva vinto il concorso e doveva realizzare due formelle in marmo sul
tema della castità di Giuseppe.
Alla
particolare attenzione dell'intreccio narrativo,
rapidamente sintetizzato nelle due formelle
Giuseppe e la moglie di Putifarre e La moglie di Putifarre accusa
Giuseppe, è associato un dramma
interiore, riflesso della personale vicenda biografica di Properzia: Vasari riconduce la formella con Giuseppe e la moglie di Putifarre alla passione della bella
Properzia non ricambiata per un giovane bolognese, forse Anton Galeazzo
Malvasia, con cui sembra comunque convivesse. Nelle sembianze di Giuseppe,
l'artista avrebbe, infatti, rappresentato l'uomo amato, ritraendo invece la
propria fisionomia nei panni della seduttrice.
Nella Genesi si racconta che la moglie del ricco signore d'Egitto Putifarre si fosse
infatuata del giovane schiavo Giuseppe che per le sue capacità, era stato posto
a capo dell'amministrazione della casa. La donna cercò di sedurlo, ma piccata dal rifiuto del
ragazzo, si vendicò accusandolo di aver tentato di farle violenza, mostrando come prova la
veste dello schiavo, della quale questi si era liberato per fuggire dalle mani
della moglie del padrone. Per questa falsa accusa Giuseppe fu rinchiuso nelle
prigioni del Faraone dove, però trovò grazia agli occhi del direttore del
carcere al punto che questi gli affidò le sue stesse mansioni.
Al
di là degli aspetti romanzeschi ed autobiografici proposti da Vasari, questo bassorilievo
rimanda piuttosto ad un’interpretazione al femminile del testo biblico, in cui i
modelli figurativi raffaellizzanti per la resa del morigerato Giuseppe, si
fanno michelangioleschi nel gesto forte e deciso del braccio della donna che
tenta il giovane afferrandogli il mantello con braccia vigorose: l’emergere
aggressivo e protagonistico della figura femminile, l’attenzione con cui è
indagato il suo corpo, reso con assoluta naturalezza, può indurre ad un’immediata
identificazione con l’inquieta scultrice, qui intenta quasi a proclamare senza ritegno
la volontà femminile della propria vita affettiva sentimentale e sessuale. Più che
una confessione autobiografica è la dichiarazione di un modo di intendere la
propria condizione umana, sociale e professionale.
L’invidia dei colleghi le causò la solita accusa di
concubinaggio con il nobile Malvasia: coinvolta in una lite avvenuta notte
tempo insieme al pittore Domenico Francia, graffiò
la faccia del pittore Vincenzo Miola. Al processo intervenne come testimone
accusatore anche il collega Amico Aspertini, forse
determinato a stroncare con Miola la carriera della pericolosa rivale, con evidente
ostilità verso Properzia, al punto di adoperarsi – a detta di Vasari – per
screditarla fino ad ottenere che le formelle le fossero pagata un vilissimo prezzo: evidentemente la
fama di Properzia costituiva un elemento di disturbo nei riguardi del monopolio
artistico maschile e le citazioni in giudizio potevano essere un efficace
strumento per mettere a rischio il suo prestigio.
Tuttavia,
nonostante l'ostile concorrenza degli altri maestri attivi nel cantiere di S.
Petronio, Properzia riuscì ad ottenere anche altre importanti commissioni, ma i
suoi interventi furono comunque controllati
e sottoposti alla supervisione del fiorentino Tribolo,
infatti, dagli atti di pagamento, si deduce che la scultrice si limitava ad
eseguire in marmo i modelli predisposti dall'artista: Properzia eseguì Gli
Angeli reggenti i simboli della passione e
le diverse Sibille, dalle
movenze ancora di sapore michelangiolesco.
Per
l’undicesima cappella della Basilica di San Petronio Properzia realizzò due
angeli in altorilievo, posti ai lati dell’Annunciazione
di Domenico Brusasorci. Suo è anche un’altra formella che raffigura La visita della regina di Saba a Salomone.
È
noto che Properzia avesse ricevuto molte commesse per realizzare sculture in
legno e marmo, ma molte opere non sono documentate e l’attribuzione è incerta.
Per salvaguardare
la propria posizione, in seguito al clima conflittuale determinato dalle
rivalità degli altri artisti, Properzia ricorse alla protezione dei Pepoli, per
i quali eseguì un bassorilievo che ritrae, il Conte Guido già defunto copiando mirabilmente
un oggetto fornitogli dal figlio, conservato presso la proprietà
della famosa famiglia a Palata.
È abbastanza difficile invece distinguere
la produzione di Properzia nell'esecuzione dei capitelli del portico del
palazzo Salina-Amorini a Bologna, perché l'artista collaborò con altri scultori
di fama: la prerogativa estetica dell'edificio consiste, infatti, non solo
nella struttura architettonica, ma soprattutto nelle invenzioni decorative
delle sculture che ne abbelliscono il prospetto.
A Properzia sono
inoltre attribuiti gli intagli nel cortile di palazzo Grassi a Bologna.
Alla sua turbolenta
vita corrisponde un epilogo tragico.
La sua fama era giunta
anche al Papa Clemente VII dei Medici che avrebbe voluto conoscerla. Vasari riferisce
che, al termine dell'incoronazione di Carlo V il 24 febbraio del 1530, papa
Clemente VII chiese di incontrare la scultrice, ma gli fu risposto che Properzia
era morta di peste, quella stessa settimana,
notizia «che li spiacque grandissimamente».
Questa donna a
forti tinte, ammirata, invidiata e forse molto infelice, era morta sola com’era sempre vissuta nell'ospedale di
San Giobbe ed era stata sepolta nell'ospedale
della Morte.
Aveva
appena trentanove anni.
Massimo Capuozzo
Amo la steria delle donne e la studio per divulgarla nelle mie conferenze,Adriana Abate Occhipinti Trapani
RispondiEliminaSeguo Properzia dal 1974 e vi ringrazio per larticolo cosi articolato.Finalmente torna nella luce😁bravo.Ma mi sono sempre chiesto.....ha visto 'i modi' di Marcantonio?Io dico di si!!!!🙃
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