I
monasteri benedettini che si
diffusero in tutta Europa dalla fondazione del primo a Montecassino nel
528 per opera di San Benedetto da Norcia (480-547)
furono importanti centri di resistenza alla degradazione della vita civile La
regola che egli dettò per i suoi
monaci che costituivano una comunità razionalmente organizzata,
imponeva, accanto alla preghiera e alla meditazione, il lavoro manuale
e intellettuale.
Per
tutto il medioevo, l'abbazia di
Montecassino fu un centro vivissimo di cultura attraverso i suoi abati, le sue biblioteche, i suoi archivi, le scuole scrittorie e
miniaturistiche, che trascrissero e conservarono molte opere dell'antichità.
Testimonianze storiche del più alto interesse e di sicura validità sono state
raccolte e tramandate a Montecassino: dai primi preziosi documenti in lingua volgare ai famosi codici miniati cassinesi, ai preziosi
e rarissimi incunaboli.
Dall’inizio
del VI secolo la società intera fu modificata dall’imponente diffusione
degli ordini monastici che
fondarono in tutta Europa centinaia di conventi,
dove si radunarono grandi masse di
monaci. Il monachesimo benedettino si diffuse in Inghilterra, in
Irlanda, in Svizzera (abbazia di San Gallo), in Germania (abbazia di Fulda), in
Francia. Grande sostenitore del movimento benedettino fu Gregorio Magno,
assertore del valore liturgico e propagandistico della musica e del canto.
Queste comunità si collocarono in genere nelle campagne, inizialmente su terreni loro concessi da feudatari, vescovi, re e papi: ben presto divennero i centri più attivi non solo dal punto di vista religioso, ma
anche economico. I monasteri
benedettini, istituiti secondo la regola della preghiera e del lavoro, crearono, infatti, organizzate e potenti aziende agricole, alle quali si dovette il
dissodamento e la bonifica di terre strappate alle selve e alle paludi.
Molti monasteri crebbero enormemente, sia per il dissodamento di terreni resi coltivabili, sia per le
continue donazioni e concessioni fatte dai
signori locali; perciò fu necessaria una rigida organizzazione gerarchica, in cima alla quale si pose l’abate, il
religioso che aveva il governo della
comunità e dei suoi beni che, nel complesso, presero il nome di abbazia. Alcune di queste giunsero a controllare territori vasti come grandi feudi e i loro abati esercitarono un potere pari
a quello di baroni o marchesi. Accanto alla
chiesa abbaziale e al convento, sorsero
molti altri edifici: biblioteche, magazzini, botteghe artigianali e anche veri opifici per la fabbricazione di merci. Questi centri
monastici acquisirono una tale centralità economica e politica che molti di essi ebbero importanza strategica e furono fortificate.
Per essere monaci non occorreva
soltanto la fede, ma era necessario alimentare questa virtù con la lettura e lo
studio ed i monasteri non avevano
solo la funzione di proteggere il Cristianesimo in un periodo di invasioni
barbariche e di saccheggi, ma furono anche i
principali luoghi della riorganizzazione, della conservazione e della trasmissione del sapere e lo conservarono nelle loro ricche
biblioteche: i monasteri più importanti
avevano una biblioteca e
provvedevano, nello scriptorium, laboratorio
di riproduzione di testi religiosi, scientifici, filosofici, letterari, alla trascrizione e allo studio dei manoscritti
di testi sacri, ma anche di opere profane.
Lo scriptorium era il laboratorio
di copiatura dei testi e di produzione
dei manoscritti: a volte era
addossato alla chiesa e comunicava con essa a livello del coro, a volte era prospiciente il chiostro, come si vede
in molte abbazie cistercensi, e i
monaci stavano seduti vicino alle
finestre, su sedie davanti a tavoli consoni al loro lavoro. L'intero
ciclo di produzione avveniva sul posto; i monaci che vi operavano avevano mansioni distinte ed erano spesso
affiancati da amanuensi salariati; le
competenze e le responsabilità culturali erano differenti poiché la scelta dei testi da ricopiare era, di fatto, una selezione delle opere che si ritenevano degne di essere
tramandate. Il lavoro era fatto da soli o in
gruppo sotto la dettatura di un
lettore. Ogni copista si occupava di
un fascicolo oppure dava il cambio nella copiatura nel verso o
nel mezzo di una carta, cercando di
armonizzare la sua scrittura con quella dei confratelli. Con la rinascita carolingia e in seguito con la rinascita ottoniana, gli scriptoria europei ebbero un nuovo notevole impulso.
Per secoli i monasteri svolsero
un ruolo decisivo per le sorti della cultura occidentale, rappresentando per
molta parte della cultura classica un luogo di sicuro riparo e di riproduzione
dei codici antichi.
I monasteri furono oasi in cui si
salvò l’ideale di ordine, di vita regolata dalla legge, che costituiva la più
cospicua eredità della cultura romana in un mondo in preda al disordine e alla violenza.
I
monaci, più che i vescovi cittadini, ebbero il merito della conversione delle
popolazioni rurali ancora pagane,
favoriti dalla vicinanza ai contadini e dalla maggior comprensione per la loro
cultura ed il monastero, con il declino del primato della città, prese il posto del vescovado come centro della vita
religiosa e dell’organizzazione
ecclesiastica.
I monasteri ebbero una funzione
di primaria importanza per la circolazione non solo delle idee, ma anche delle
tecniche e dei linguaggi figurativi in tutto l’Occidente.
Nelle scuole monastiche studiava
non soltanto il clericus,
l’uomo di chiesa, ma anche chi apparteneva al popolo secolare e si radunava
attorno alla chiesa in cerca di protezione. Le scuole municipali, che erano
state distrutte dal passaggio delle invasioni barbariche, furono sostituite
dalle scuole monastiche, che presero il loro posto ed impartirono i primi rudimenti
della lettura, della scrittura e del calcolo: il loro obiettivo era la
diffusione del catechismo e della dottrina religiosa.
Nelle isole britanniche – dove dalla metà del V secolo si erano insediati
gli Angli e i Sassoni – ebbe un ruolo decisivo, per il tramandarsi delle
tradizioni letterarie antiche e per la produzione di opere miniate, l’apostolato
dei monaci irlandesi; fra questi spicca la figura di San Colombano (540-615),
infaticabile missionario e viaggiatore che fondò, fra l’altro, l’abbazia di
Bobbio, centro propagatore di spiritualità, ma anche di copiatura e decorazione
di straordinari codici miniati.
I frequenti spostamenti dei
monaci irlandesi e anglosassoni da un monastero all’altro della Britannia e
del continente favorirono gli scambi e gli influssi reciproci fra i più attivi
centri scrittori del continente e quelli delle isole britanniche. I monasteri
divennero un luogo d’incontro e di scambio
culturale tra monaci che passavano
da un’abbazia ad un’altra e nei luoghi di sosta dei grandi
pellegrinaggi.
Fino all’ XI secolo, l'educazione
era impartita presso i monasteri e, in misura minore, presso le sedi vescovili.
Le scuole erano istituite prevalentemente per la formazione del clero, mentre
sporadico era l'interesse dei laici per l'apprendimento; comunque coinvolgeva
una stretta minoranza e l'uso della scrittura e del latino rimanevano una
prerogativa del clero, dal momento che ogni produzione letteraria e dottrinale
era di matrice ecclesiastica.
Nel Medioevo fu la Chiesa ad
assumere integralmente il compito della trasmissione del sapere e
dell'istruzione. Gli elementi del sapere, del resto, erano molto ridotti e
l'educazione, anche quella dei signori, si fondava soprattutto su contenuti e
precetti morali. Poiché la Chiesa rimase l'unica istituzione educativa
dell'Occidente la conseguenza fu la clericalizzazione del sapere: tutta la
cultura divenne espressione prodotto degli uomini di Chiesa, praticamente gli
unici a conoscere la lettura e la scrittura.
Durante l’Alto Medioevo si definiva
intellettuale chi aveva il compito di produrre e di diffondere la cultura e
questa figura si identificava con il clericus, il chierico,
l’uomo di Chiesa
per eccellenza – adibito alle funzioni liturgiche, alla predicazione e ai
compiti pastorali – il quale abitava in un monastero, era molto
istruito, ma era semplicemente un propagatore del sapere, sebbene talvolta il
chierico si trovasse in una dimensione di confine e di sovrapposizione con quella dello
scrittore laico. Per questo motivo il termine chierico indicò
indifferentemente sia l’uomo di Chiesa sia l’intellettuale, la cui formazione
avvenne sempre all’interno delle strutture della Chiesa – scuole episcopali,
monasteri, abbazie.
Il chierico leggeva e scriveva in latino, conosceva
le Sacre Scritture e le interpretava, occupava un posto di rilievo nelle
gerarchie sociali del Medioevo: egli era, in sostanza, un uomo di potere e, per
questa ragione, il suo servizio diviene fondamentale anche nelle curiae, le cancellerie, dove si
amministravano e si gestivano la politica e l’economia e qui l’intreccio tra
potere ecclesiastico e potere laico costituisce una delle prerogative
fondamentali del clericus: da questo stretto legame si origina anche una
visione della politica fortemente influenzata dalle concezioni religiose.
Diversa era invece la funzione di questo
intellettuale nel monastero, dove poteva ricoprire incarichi di varia natura:
era adibito alla ricopiatura dei testi, al loro commento e traduzione e, in
occasioni particolari, – ma siamo allora in presenza di personalità di livello
più complesso – egli si comporta come un vero auctor, sviluppando le proprie
idee, ma attenendosi sempre al pensiero di altre auctoritates.
I veri maestri della cultura
altomedioevale le vere auctoritates furono i padri della Chiesa, la cui opera
(patristica) costituiva la base d'ogni conoscenza e, insieme, la mediazione più
sicura con la cultura classica.
La tradizione classica era
riconosciuta superiore dal punto di vista formale, anzi offriva un modello di
perfezione che si considerava insuperabile. Ma il problema stava nel fatto che
questi testi non erano stati toccati dalla rivelazione, non contenevano la
verità cristiana. Perciò l'atteggiamento della Chiesa nei confronti della
tradizione classica fu di rifiuto i termini dottrinali, ma di costante
assimilazione pratica: da un lato si studiavano i classici per potersene
servire, dall'altro si rifiutavano i loro valori filosofici e morali. Per
queste ragioni gli intellettuali del medioevo non rispettavano l'integrità dei
testi pagani, ma estrapolavano materiali da utilizzare nelle più svariate
occasioni, isolando le opere dal loro contesto storico e culturale.
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