mercoledì 28 novembre 2012

I monasteri benedettini: la clericalizzazione della cultura di Massimo Capuozzo

All’origine della fondazione dei grandi istituti religiosi in Occidente vi furono due correnti missionarie: da una parte l'Italia, con la fondazione di Vivarium, il primo grande monastero che cercava di coniugare il mondo antico con la nuova cultura cristiana, e in seguito Montecassino, dotato della più grande biblioteca d'Europa; dall'altra, con la politica unificatrice di papa Gregorio Magno, la Chiesa irlandese fondata nel V secolo dal bretone san Patrizio.
I monasteri benedettini che si diffusero in tutta Europa dalla fondazione del primo a Montecassino nel 528 per opera di San Benedetto da Norcia (480-547) furono importanti centri di resistenza alla degradazione della vita civile La regola che egli dettò per i suoi monaci che costituivano una comunità razionalmente organizzata, imponeva, accanto alla preghiera e alla meditazione, il lavo­ro manuale e intellettuale.
Per tutto il medioevo, l'abbazia di Montecassino fu un centro vivissimo di cultura attraverso i suoi abati, le sue biblioteche, i suoi archivi, le scuole scrittorie e miniaturistiche, che trascrissero e conservarono molte opere dell'antichità. Testimonianze storiche del più alto interesse e di sicura validità sono state raccolte e tramandate a Montecassino: dai primi preziosi documenti in lingua volgare ai famosi codici miniati cassinesi, ai preziosi e rarissimi incunaboli.
Dall’inizio del VI secolo la so­cietà intera fu modificata dall’impo­nente diffusione degli ordini monastici che fondarono in tutta Europa centinaia di conventi, dove si radunarono grandi mas­se di monaci. Il monachesimo benedettino si diffuse in Inghilterra, in Irlanda, in Svizzera (abbazia di San Gallo), in Germania (abbazia di Fulda), in Francia. Grande sostenitore del movimento benedettino fu Gregorio Magno, assertore del valore liturgico e propagandistico della musica e del canto.
Queste comunità si collocarono in genere nelle campagne, inizialmente su terreni loro concessi da feudatari, vescovi, re e papi: ben presto di­vennero i centri più attivi non solo dal punto di vista religioso, ma anche economico. I monasteri benedettini, istituiti secondo la regola della preghiera e del lavoro, crearono, infatti, organizzate e potenti aziende agricole, alle quali si dovette il dissodamento e la bonifica di terre strappate al­le selve e alle paludi. Molti monasteri crebbero enormemente, sia per il disso­damento di terreni resi coltivabili, sia per le continue donazioni e concessioni fatte dai signori locali; perciò fu necessaria una rigida organizzazione gerarchica, in cima alla quale si pose l’abate, il religioso che aveva il governo della comunità e dei suoi beni che, nel complesso, presero il nome di abbazia.  Alcune di queste giunsero a controllare territori vasti come grandi feu­di e i loro abati esercitarono un potere pa­ri a quello di baroni o marchesi. Accanto alla chiesa abbaziale e al convento, sorse­ro molti altri edifici: biblioteche, magazzi­ni, botteghe artigianali e anche veri opifici per la fabbricazione di merci. Questi centri monastici acquisirono una tale centralità economica e politica che molti di essi ebbero importanza strate­gica e furono fortificate.
Per essere monaci non occorreva soltanto la fede, ma era necessario alimentare questa virtù con la lettura e lo studio ed i monasteri non avevano solo la funzione di proteggere il Cristianesimo in un periodo di invasioni barbariche e di saccheggi, ma furono anche i principali luoghi della riorganizzazione, del­la conservazione e della trasmissione del sapere e lo conservarono nelle loro ricche biblioteche: i monasteri più importanti avevano una bi­blioteca e provvedevano, nello scriptorium, laboratorio di riproduzione di testi religiosi, scientifici, filosofici, letterari, alla trascrizione e allo studio dei ma­noscritti di testi sacri, ma anche di opere profane.
Lo scriptorium era il laboratorio di copiatura dei testi e di produzione dei manoscritti: a volte era addossato alla chiesa e comunicava con essa a livello del coro, a volte era prospiciente il chiostro, come si vede in molte abbazie cistercensi, e i monaci stavano seduti vicino alle finestre, su sedie davanti a tavoli consoni al loro lavoro. L'intero ciclo di produzione avveniva sul posto; i monaci che vi operavano avevano mansioni distinte ed erano spesso affiancati da amanuensi salariati; le competenze e le re­sponsabilità culturali erano differenti poiché la scelta dei testi da ricopiare era, di fatto, una selezione delle opere che si ritenevano degne di es­sere tramandate. Il lavoro era fatto da soli o in gruppo sotto la dettatura di un lettore. Ogni copista si occupava di un fascicolo oppure dava il cambio nella copiatura nel verso o nel mezzo di una carta, cercando di armonizzare la sua scrittura con quella dei confratelli. Con la rinascita carolingia e in seguito con la rinascita ottoniana, gli scriptoria europei ebbero un nuovo notevole impulso.
Per secoli i monasteri svolsero un ruolo decisivo per le sorti della cultura occidentale, rappresentando per molta parte della cultura classica un luogo di sicuro riparo e di riproduzione dei codici antichi.
I monasteri furono oasi in cui si salvò l’ideale di ordine, di vita regolata dalla legge, che costituiva la più cospicua eredità della cultura romana in un mondo in preda al disordine e alla violenza.
I monaci, più che i vescovi cittadini, ebbero il merito della conversione del­le popolazioni rurali ancora pagane, favoriti dalla vicinanza ai contadini e dalla maggior comprensione per la loro cultura ed il monastero, con il declino del primato della città, prese il posto del vescovado come centro della vita religiosa e dell’organizzazione ecclesiastica.
I monasteri ebbero una funzione di primaria importanza per la circola­zione non solo delle idee, ma anche delle tecniche e dei linguaggi figu­rativi in tutto l’Occidente.
Nelle scuole monastiche studiava non soltanto il clericus, l’uomo di chiesa, ma anche chi apparteneva al popolo secolare e si radunava attorno alla chiesa in cerca di protezione. Le scuole municipali, che erano state distrutte dal passaggio delle invasioni barbariche, furono sostituite dalle scuole monastiche, che presero il loro posto ed impartirono i primi rudimenti della lettura, della scrittura e del calcolo: il loro obiettivo era la diffusione del catechismo e della dottrina religiosa.
Nelle isole britanniche – dove dalla metà del V secolo si erano insedia­ti gli Angli e i Sassoni – ebbe un ruolo decisivo, per il tramandarsi delle tradizioni letterarie antiche e per la produzione di opere miniate, l’apostolato dei monaci irlandesi; fra questi spicca la figura di San Colombano (540-615), infaticabile missionario e viaggiatore che fondò, fra l’altro, l’abbazia di Bobbio, centro propagatore di spiritualità, ma anche di copiatura e decorazione di straordinari codici miniati.
I frequenti spostamenti dei monaci irlande­si e anglosassoni da un monastero all’altro della Britannia e del continente favorirono gli scambi e gli influssi reciproci fra i più attivi centri scrittori del continente e quelli delle isole britanniche. I monasteri divennero un luogo d’incontro e di scambio culturale tra monaci che passava­no da un’abbazia ad un’altra e nei luoghi di so­sta dei grandi pellegrinaggi.
Fino all’ XI secolo, l'educazione era impartita presso i monasteri e, in misura minore, presso le sedi vescovili. Le scuole erano istituite prevalentemente per la formazione del clero, mentre sporadico era l'interesse dei laici per l'apprendimento; comunque coinvolgeva una stretta minoranza e l'uso della scrittura e del latino rimanevano una prerogativa del clero, dal momento che ogni produzione letteraria e dottrinale era di matrice ecclesiastica.
Nel Medioevo fu la Chiesa ad assumere integralmente il compito della trasmissione del sapere e dell'istruzione. Gli elementi del sapere, del resto, erano molto ridotti e l'educazione, anche quella dei signori, si fondava soprattutto su contenuti e precetti morali. Poiché la Chiesa rimase l'unica istituzione educativa dell'Occidente la conseguenza fu la clericalizzazione del sapere: tutta la cultura divenne espressione prodotto degli uomini di Chiesa, praticamente gli unici a conoscere la lettura e la scrittura.
Durante l’Alto Medioevo si definiva intellettuale chi aveva il compito di produrre e di diffondere la cultura e questa figura si identificava con il clericus, il chierico, l’uomo di Chiesa per eccellenza – adibito alle funzioni liturgiche, alla predicazione e ai compiti pastorali – il quale abitava in un monastero, era molto istruito, ma era semplicemente un propagatore del sapere, sebbene talvolta il chierico si trovasse in una dimensione di confine e di sovrapposizione con quella dello scrittore laico. Per questo motivo il termine chierico indicò indifferentemente sia l’uomo di Chiesa sia l’intellettuale, la cui formazione avvenne sempre all’interno delle strutture della Chiesa – scuole episcopali, monasteri, abbazie.
Il chierico leggeva e scriveva in latino, conosceva le Sacre Scritture e le interpretava, occupava un posto di rilievo nelle gerarchie sociali del Medioevo: egli era, in sostanza, un uomo di potere e, per questa ragione, il suo servizio diviene fondamentale anche nelle curiae, le cancellerie, dove si amministravano e si gestivano la politica e l’economia e qui l’intreccio tra potere ecclesiastico e potere laico costituisce una delle prerogative fondamentali del clericus: da questo stretto legame si origina anche una visione della politica fortemente influenzata dalle concezioni religiose.
Diversa era invece la funzione di questo intellettuale nel monastero, dove poteva ricoprire incarichi di varia natura: era adibito alla ricopiatura dei testi, al loro commento e traduzione e, in occasioni particolari, – ma siamo allora in presenza di personalità di livello più complesso – egli si comporta come un vero auctor, sviluppando le proprie idee, ma attenendosi sempre al pensiero di altre auctoritates.
I veri maestri della cultura altomedioevale le vere auctoritates furono i padri della Chiesa, la cui opera (patristica) costituiva la base d'ogni conoscenza e, insieme, la mediazione più sicura con la cultura classica.
La tradizione classica era riconosciuta superiore dal punto di vista formale, anzi offriva un modello di perfezione che si considerava insuperabile. Ma il problema stava nel fatto che questi testi non erano stati toccati dalla rivelazione, non contenevano la verità cristiana. Perciò l'atteggiamento della Chiesa nei confronti della tradizione classica fu di rifiuto i termini dottrinali, ma di costante assimilazione pratica: da un lato si studiavano i classici per potersene servire, dall'altro si rifiutavano i loro valori filosofici e morali. Per queste ragioni gli intellettuali del medioevo non rispettavano l'integrità dei testi pagani, ma estrapolavano materiali da utilizzare nelle più svariate occasioni, isolando le opere dal loro contesto storico e culturale.

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