lunedì 1 marzo 2010

Cavour: legittimità ed illegittimità di un uomo politico di Antonio Del Gaudio

Camillo Benso, conte di Cavour, andò al potere nel 1852 e cominciò la sua opera di grande tessitore, tentando di rompere l’isolamento internazionale del piccolo Piemonte con lo scopo di trovare appoggi stranieri al suo obiettivo politico: l’espansione territoriale del suo Stato.
La storia unitaria italiana si inserì in questo contesto geopolitico europeo ed è assurdo attribuire i suoi sviluppi esclusivamente ai fermenti rivoluzionari, come se si fosse potuta sviluppare sotto vuoto senza il benestare di Francia e Inghilterra, le due superpotenze che avevano rispettivamente l’esercito e la marina più potenti del mondo: l’Italia era politicamente zero, gli altri erano in sella da secoli.
Cavour cercava l’alleanza di Francia ed Inghilterra, le uniche potenze disposte ad appoggiarlo allo scopo di ridimensionare l’influenza dell’Austria sulla penisola: queste due potenze, nel marzo 1854, entrarono in guerra contro la Russia a fianco dell’Impero Ottomano, per opporsi alla politica espansionistica dello Zar che aveva occupato due principati danubiani di dominio turco e che scatenò la guerra di Crimea del 1854-1856.
Già il 28 dicembre del 1855, Cavour aveva inviato una nota nella quale si chiedeva di parlare, nel prossimo consesso europeo, anche della situazione italiana agli ambasciatori di Francia e Inghilterra a Torino; poi a Parigi, in un colloquio privato con Napoleone III consegnò un memoriale nel quale pregava l’Imperatore di “obbligare l’Austria a rendere giustizia al Piemonte e sollevare le condizioni di Veneti e Lombardi, di sforzare il Re di Napoli a non più scandalizzare l’Europa, di far allontanare le truppe austriache dalla Romagna”.
Dietro le quinte Cavour ebbe colloqui privati anche con gli altri inviati diplomatici.
La trama piemontese di espansione territoriale, mascherata dall’ideale unitario, si sviluppò ulteriormente al congresso di Parigi (14 febbraio - 16 aprile 1856) seguito alla guerra di Crimea.
Cavour, diversamente da Ferdinando II, non solo non era diplomaticamente isolato, ma giocò spregiudicatamente su due tavoli, sfruttando a suo vantaggio l’appoggio della Francia e dell’Inghilterra: accettò segretamente la proposta di alleanza della Francia, ponendo le basi per una seconda guerra contro l’Austria, contemporaneamente si tenne amica l’Inghilterra con intensi contatti diplomatici; il suo obiettivo immediato era l’unificazione dell’Italia settentrionale e centrale sotto i Savoia.
Napoleone III fece sapere a Cavour che avrebbero potuto vedersi segretamente nella località termale di Plombiers: Cavour si presentò il 21 luglio 1858, con passaporto falso ed insieme siglarono un preaccordo, rimasto per lungo tempo segreto a tutte le altre potenze europee, che stabiliva un ampliamento del regno di Sardegna con i territori strappati al nemico austriaco in caso di vittoria, l’incorporazione dei ducati di Parma, Piacenza e Modena, nonché le Legazioni pontificie (Bologna e Ferrara) e la Romagna. L’accordo prevedeva inoltre la creazione di un regno dell’Italia Centrale comprendente Toscana, Marche, Umbria e parte del Lazio, dato a Gerolamo Napoleone, cugino dell’Imperatore, che aveva anche in dote la principessa Clotilde, figlia di Vittorio Emanuele II; questi 4 stati (regno dell’Alta Italia, regno dell’Italia centrale, Stato della Chiesa e Regno delle Due Sicilie) sarebbero stati riuniti in una confederazione sotto la presidenza onoraria del Papa, ma di fatto sarebbe stata sotto l’influenza francese.
In questo progetto, il Regno delle Due Sicilie era lasciato a Ferdinando II, sebbene Napoleone III non facesse mistero del suo desiderio di rovesciarlo per metterne a capo suo cugino Luciano Murat (figlio di Gioacchino, già re francese di Napoli) che negli anni del congresso di Vienna aveva lanciato anche un proclama al popolo delle Due Sicilie, invitandolo a rovesciare l’odioso mostro.
In cambio dell’appoggio alla guerra e per ottenere il consenso all’annessione dei popoli dell’Italia centrale, la Francia avrebbe ottenuto dal Regno di Sardegna i territori di Nizza e la Savoia, oltre al risarcimento delle spese militari.
Nel gennaio 1859 ci fu la stesura definitiva degli accordi franco-piemontesi in cui non si parlava più specificamente dei territori da annettere al Piemonte, ma solo di quelli che la Francia avrebbe ottenuto, cioè Nizza e la Savoia.
Nella convenzione del 1859, che formò la base dell’alleanza franco-sarda per la guerra di quell’anno, l’imperatore Napoleone III aveva vietato la creazione di corpi irregolari, per eludere questo divieto il conte Cavour, il successivo febbraio, fece inserire nelle modificazione alla legge sulla Guardia Nazionale un articolo con cui il Governo era autorizzato a formare corpi speciali con volontari iscritti sui ruoli della Guardia Nazionale. I primi volontari non incorporati nell’esercito regolare furono mandati a Cuneo dove s’iniziò la formazione del corpo che prima fu chiamato: Cacciatori della Stura e poi prese il nome di Cacciatori delle Alpi.
La seconda guerra d’indipendenza, in realtà fu una vera e propria guerra franco-austriaca: iniziò il 29 aprile 1859:
· il 23 aprile l’Austria lancia al Piemonte un ultimatum di 3 giorni, con la richiesta di disarmo;
· il 26 aprile l’ultimatum fu respinto e Cavour con la sua politica provocatoria e sfruttando l’inesperienza di Francesco Giuseppe, Imperatore d’Austria, riuscì a mostrare all’Europa il suo Stato come vittima e gli Asburgo come aggressori,
· il 27 aprile scattò la clausola degli accordi di Plombiers e la Francia doveva scendere in campo.
In realtà l’intervento della Francia era già avvenuto nei mesi precedenti con la mobilitazione dell’esercito francese che, all’epoca dei fatti, era pienamente operativo, infatti esso fu trasferito verso il Piemonte via terra (con un ordine di Napoleone III del 21 aprile, quindi prima che gli avvenimenti precipitassero) e via mare (il giorno stesso della scadenza dell’ultimatum). Per queste ragioni, molti storici affermano che l’Austria fu costretta ad entrare in guerra, giocando d’anticipo, per cercare di battere gli avversari sul tempo prima che organizzassero le loro forze alleate.
· Il 28 ed il 29 aprile in seguito ad un’insurrezione a Firenze Leopoldo II di Lorena fugge all'estero: il governo provvisorio chiese a Vittorio Emanuele II di assumere la dittatura.
· Il 4 giugno 1859 l’esercito franco-piemontese sconfisse l’Austria a Magenta.
· Il 9 giugno la duchessa di Parma Maria Luisa di Borbone lasciò il potere ad un governo provvisorio filopiemontese.
· L’11 giugno il duca di Modena Francesco V lasciò il suo Stato con l'esercito: il nuovo governo riconobbe l'unione al Piemonte votata nel 1848.
· Il 12 giugno a Bologna il legato pontificio fu cacciato e fu costituito un governo provvisorio.
· Il 24 giugno nelle battaglie di Solferino e S. Martino, gli austriaci furono duramente sconfitti.
· L’11 luglio la II guerra d'indipendenza si concluse con l’armistizio di Villafranca con cui l'Austria cedette la Lombardia alla Francia che a sua volta la cedette al Regno di Sardegna.
L’improvvisa decisione presa da Napoleone III di ritirarsi dal conflitto con l’armistizio di Villafranca tra Austria e Francia, fece infuriare Cavour che si sentì tradito dall’imperatore e si dimise dal governo.
· Il 14 agosto 1859 nel Plebiscito del Ducato di Parma, il popolo votò per l'annessione al Piemonte.
· Il 20 agosto l'assemblea toscana approvò l'unione al Piemonte.
· Il 21 agosto l'assemblea modenese votò l'unione al Piemonte.
· Il 10 ottobre a Bagheria scoppiò un'insurrezione subito soffocata dalla polizia borbonica.
· Il 10 novembre si concluse la conferenza di pace di Zurigo (cominciata l'8 agosto) dove fu definita la cessione della Lombardia al Regno di Sardegna.
Nel gennaio 1860 il conte tornò al governo.
Nella primavera del 1860 la situazione politica italiana era molto fluida e lo stesso Cavour cominciava a pensare all’unificazione della penisola. Le difficoltà erano ancora notevoli perché la Francia non avrebbe accettato un attacco piemontese contro lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie, quest’ultimo difeso dalla Russia. Cavour riuscì allora a stringere ottimi rapporti anche con l’Inghilterra che, per tutelare i suoi interessi economici e per arginare l’espansione francese, si propose come alleata del Regno di Sardegna.
Fra il 12 ed 14 marzo accordo franco-piemontese per la cessione alla Francia di Nizza e della Savoia, in cambio della benevolenza francese verso le annessioni fu definito. Garibaldi, non avendo tollerato il modo in cui Cavour aveva barattato Nizza, fu cacciato due volte dal Piemonte come indesiderabile ed allora, sebbene non fosse in buoni rapporti con neppure con Mazzini, decise di prendere parte ad un progetto avviato da Mazzini.
Il 5-6 maggio del 1860, mentre Cavour stava ancora cercando di persuadere il parlamento a rassegnarsi alla cessione di Nizza, Garibaldi ruppe ogni indugio e condusse un migliaio di volontari sul teatro dell’insurrezione che ancora ribolliva in Sicilia: il 3 Aprile era iniziata la rivolta siciliana a Boccadifalco ed il giorno seguente la rivolta scoppiata a Palermo, era stata subito soffocata, ma essendosi estesa nelle campagne il 18 aprile l’esercito borbonico aveva soffocato la rivolta siciliana. L’armatore genovese Rubattino fornì a Garibaldi le navi per la spedizione dei Mille. Cavour fece tutto il possibile per bloccare la partenza dei Mille, ma alla fine decise di temporeggiare: se l’insurrezione fosse fallita il suo governo non avrebbe detto nulla; se avesse vinto, sarebbe intervenuto per riportare l’ordine. Gli altri ministri erano disposti ad utilizzare la marina contro Garibaldi, ma Cavour era combattuto, perché erano in corso le elezioni parlamentari, nelle quali temeva di perdere voti ed in quel momento, la sua coalizione governativa rischiava di spaccarsi sulla questione di Nizza. Cavour inoltre temeva che quel coglione del re simpatizzasse per Garibaldi e che cercasse solo un pretesto per nominare un nuovo primo ministro.
Per questi complessi motivi Cavour preferì lasciare che gli eventi seguissero il loro corso, sperando di poterne approfittare qualunque ne fosse stato l’esito.
L’11 maggio Garibaldi sbarcò a Marsala, il 14 maggio a Salemi Garibaldi si proclamò dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele, re d'Italia. Il 15 maggio a Calatafimi le truppe borboniche di Landi furono sconfitte dai garibaldini. Si riaccese la rivolta nelle campagne. Il 16 maggio i Mille presero la strada per Palermo.
Prima che il governo di Torino fosse riuscito a prendere una decisione, Ga­ribaldi aveva compiuto l'impossibile conquistando Palermo[1]:
Quando Cavour ricevette la notizia da Palermo, approfittò dell'occasione: consentì l'invio di rinforzi in Sicilia e, nello stesso tempo, mandò La Farina ad annettere l'isola al Piemonte prima che i demo­cratici potessero provocare altri problemi. Ma Garibaldi, sapendo che Cavour avrebbe cercato di fermare i suoi volontari prima che passassero nel napoletano, rifiutò di cedere una base di cui avrebbero avuto bisogno per continuare le operazioni sul continente.
Cavour si trovò quindi in difficoltà, poiché non poteva permettere che un capo popolare come Garibaldi unificasse l'Italia e ne offrisse la corona al re, inoltre, se i ribelli avessero continuato ad avanzare, si sarebbero probabilmente scontrati con la guarnigione francese che difendeva il papa a Roma: di conseguenza, fu impedito che ulteriori rinforzi si unissero a Garibaldi. Cavour era intanto impegnato in trattative col governo borbonico a Napoli, ma evidentemente non era il momento adatto per procedere in maniera convenzionale: di conseguenza, mentre conduceva questi negoziati, la legazione di Cavour a Napoli istigava anche una cospirazione mirante a rovesciare i Borbone e a pre­venire nel contempo l'arrivo di Garibaldi nella capitale[2].
Tra il 25 giugno e il 30 agosto, Francesco II concesse la costituzione e affidò la formazione del governo al principe di Scalea. Garibaldi formò l’esercito del Meridione, conquistò Milazzo e distrusse il forte ed il generale Clary concesse Messina a Garibaldi. Sbarcato in Calabria, Garibaldi conquistò Reggio e sconfisse la brigata Borbonica di Briganti, causando la fuga del generale Vial a Napoli che permise l’entrata di Garibaldi a Cosenza. Il governo del principe di Scalea cadde.
I conservatori ave­vano schernito l'idea di una guerra insurrezionale per bande in Italia, ma avevano avuto torto: con intuito, Garibaldi si era appellato direttamente ai contadini, e proprio il movimento contadino contribuì a terrorizzare un esercito e una polizia di grosse dimensioni inducendoli ad una resa umiliante[3].
Tra il 4 e il 7 settembre Garibaldi sbarcò a Sapri e poi entrò a Salerno, mentre Francesco II lasciò la capitale per andare a Gaeta ed ordinò al suo esercito di ritirarsi al nord del Volturno. Garibaldi, entrato a Napoli, costituì un nuovo governo.
All’ingresso di Garibaldi a Napoli, Cavour reagì con un disegno assai più accorto. Lo straordinario successo di Garibaldi aveva così riacceso gli entusiasmi per l'unificazione immediata, che lo stesso Cavour si lasciò conquistare da quest'idea considerata un tempo solo un’eresia mazziniana e capì c’era una sola possibilità per fermare Garibaldi e riprendere l'iniziativa: Cavour era consapevole che tra le file Garibaldine i democratici ed i repubblicani erano molto forti e decisi a realizzare riforme sociali non congeniali alla monarchia sabauda, come l’assegnazione di terre ai combattenti meridionali e lo scorporo del latifondo anche a danno degli ordini religiosi. Egli temeva inoltre che l’invasione garibaldina del Lazio, oltre a suscitare in tutta la penisola un’ondata di entusiasmo democratico e anticlericale, avrebbe indotto Napoleone III ad intervenire con le armi.
Ancora una volta Cavour trasformò in vantaggio la propria debolezza: ancora una volta seppe agire abilmente su Napoleone III, considerate anche le sue notevoli difficoltà sul fronte prussiano e, prospettatogli lo spettro della formazione di una repubblica mazziniana e anticlericale nell’Italia centro meridionale, lo stesso imperatore sollecitò Cavour a fare intervenire l’esercito regolare piemontese, che penetrò nelle Marche e aveva battuto l’esercito papale, che tentava di sbarrargli il passaggio.
In gran fretta creò sul confine ponti­ficio degli incidenti che gli diedero il pretesto per invadere l'Umbria e le Marche, adducendo il pretesto di voler salvare il papa dalla rivoluzione.
L'invasione ebbe successo e la vittoria sul piccolo corpo di truppe pontificie a Castelfidardo fu celebrata ad arte nell'audace tentativo di trasferire su Vittorio Emanuele II una parte del prestigio di Garibaldi[4]. Una volta occupato lo Stato pontificio, fu possibile invadere anche il napoletano, spiegando alla Francia che solo questo avrebbe potuto indurre Garibaldi a piegarsi. Messo di fronte alla prospettiva di una guerra civile, Garibaldi dovette infatti sottomettersi e l’incontro del 26 ottobre 1860 tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi, nei pressi di Teano, poneva fine alla spedizione di Garibaldi e di fatto assicurava alla dinastia sabauda il Regno delle due Sicilie, mentre qualche giorno prima, il 21 ottobre, c’era stato il plebiscito sull'annessione del Regno delle Due Sicilie al Piemonte. Il termine annessione fu usato intenzionalmente da Cavour, per evitare ipotesi per lui inammissibili come quella di riunire gli italiani in un'assemblea costituente: la nuova Italia, come la intendeva Cavour, doveva essere il più possibile una pro­iezione del Piemonte. Ma il processo di piemontesizzazione riuscì spesso difficoltoso in regioni italiane che si videro ridotte alla condizione di territori conquistati ed annessi, inoltre molti funzionari a Torino furono molto scontenti dell’ingresso di meridionali, avvezzi a metodi più clientelari e meno efficienti di pubblica amministrazione.
Quest'incomprensione fu tale che d'Azeglio sarebbe giunto a raccomandare che il sud fosse nuovamente separato dal resto dell'Italia, per il solo fatto che i plebisciti erano stati evidentemente un vero trucco.
In ogni caso il 18 febbraio del 1861 si riunì il primo parlamento italiano ed il 17 marzo fu proclamato il Regno d'Italia[5], in un nuovo parlamento i cui membri erano stati eletti in tutta la penisola; la sessione fu guastata da un al­terco fra Garibaldi e Cavour a proposito della decisione presa dai comandi dell’esercito di sciogliere i corpi dei volontari.
La maggior parte degli urgenti e com­plessi problemi posti dall'unificazione non era stata ancora risolta quando, in giu­gno, Cavour fu colto da una violenta febbre: i medici lo salassarono molte volte così che le sue ultime resistenze cedettero; poi fra' Giacomo, mosso da spirito di carità, sfidò l’interdetto ecclesiastico per concedergli gli estremi sacramenti. Cavour moriva pochi mesi prima del suo cinquantunesimo compleanno: moriva con lui il principale artefice dell'unità italiana e il solo uomo preparato a compren­dere i complessi problemi che dovevano accompagnare la ricostruzione.
NOTE
[1] il 18 maggio il principe di Castelcicala fu sostituito dal generale Lanza come luogotenente del Re a Palermo, il 21 maggio dopo un breve scontro tra le avanguardie garibaldine e la brigata napoletana di von Mechel nei pressi di Monreale, Garibaldi deviò la marcia verso Parco, il 24, dopo un breve scontro tra la retroguardia garibaldina e la brigata napoletana di Colonna a nord di Parco, Garibaldi si ritirò a Piana dei Greci, il 25 maggio Garibaldi divide le sue forze e manda Orsini verso Corleone, mentre lui, col grosso delle forze, prese la strada di Palermo: fra il 27 ed il 29 maggio a Palermo Garibaldi sfondò le barricate ed entrò in città, dove la popolazione appoggiò i garibaldini.
Il 29-30 maggio tregua di 24 ore chiesta da Lanza e concesse da Garibaldi, Il 30 maggio la brigata di von Mechel attaccò e sfondò le barricate garibaldine di Palermo, ma fu fermata dagli ordini di Lanza. Il 31 maggio l’armistizio fra garibaldini e borbonici durò tre giorni, poi fu prorogato a tempo indeterminato.
Nel frattempo a Catania ci furono combattimenti fra insorti e borbonici: il 3 giugno i borbonici abbandonarono Catania.
Il 5 giugno giunsero a Palermo gli ordini di Francesco II per trattare lo sgombero della città. Il 6 giugno fu firmata una convenzione fra Lanza e Garibaldi in cui fu stabilito l'abbandono di Palermo dalle truppe borboniche: Garibaldi costituì il governo dittatoriale e fra il 18 e il 19 giugno le truppe borboniche lasciarono Palermo.
[2] Il 25 giugno Francesco II concesse la costituzione e formò il nuovo governo con a capo il principe di Scaléa.
Nel luglio 1860 Garibaldi costituì l'Esercito Meridionale e lo divise in tre colonne, inviandole verso est, in direzione di Messina, Castrogiovanni e Girgenti.
Il 20 luglio ci fu una sanguinosa vittoria dei garibaldini a Milazzo sulle truppe del colonnello Bosco: il 23 luglio il forte di Milazzo capitolò, il 26 luglio il generale Clary concesse Messina a Garibaldi, tranne la Cittadella, e si ritirò con le truppe sul continente.
Il 2-6 agosto la rivolta contadina di Bronte fu soffocata nel sangue da garibaldini di Bixio.
Dall’8 al 13 i garibaldini sbarcarono in Calabria.
Fra il 16 ed il 30 agosto ci furono insurrezioni antiborboniche in vari centri della Calabria e della Basilicata: il 21 agosto Bixio conquistò Reggio, dopo un confuso combattimento notturno, il 22 agosto la brigata borbonica di Briganti si arrese a Villa S. Giovanni, il 23 agosto la brigata borbonica di Melendez si arrese sul campo di Piale. Con la resa dei forti sullo stretto, iniziò lo sbandamento delle truppe borboniche in Calabria.
Il 26 agosto il generale Vial, comandante delle truppe borboniche in Calabria fuggì verso Napoli. Il 29 agosto ci furono le dimissioni del governo napoletano di Scaléa.
Il 30 agosto con la resa della brigata borbonica di Ghio, Garibaldi entrò a Cosenza.
[3] Il 4 settembre sbarcò garibaldino a Sapri.
Il 6 settembre Garibaldi entrò a Salerno. Francesco II lasciò la capitale per rifugiarsi a Gaeta ed ordinò al suo esercito di ritirarsi al nord del Volturno, affidandolo al maresciallo Ritucci. A Gaeta costituì un nuovo governo con a capo il generale Casella. La flotta borbonica rimasta nel porto di Napoli e si consegnò al nemico.
Il 7 settembre Garibaldi entrò a Napoli e costituì un nuovo governo.
[4] Nel frattempo il 10 settembre Regno di Sardegna dava l’ultimatum allo Stato Pontificio: l’11 settembre l'armata piemontese invase lo Stato Pontificio conquistando Pesaro e Fano, il 13 Senigallia e Perugia, il 14 Foligno, il 17 settembre i piemontesi conquistarono Spoleto, il 18 settembre il IV corpo d'armata di Cialdini sconfigge i pontifici di la Moriciére a Castelfidardo ed iniziò l'assedio di Ancona che si concluse il 29 settembre con la resa di Ancona con cui cessò la resistenza dell'Esercito Pontificio.
Nel frattempo il 16 settembre c’erano stati i primi combattimenti sul Volturno fra napoletani e garibaldini: il 19 i garibaldini avevano preso Caiazzo, ma ferano stati respinti a Capua e a Gradillo ed il 21 i Napoletani avevano vinto a Caiazzo. Il 30 settembre i garibaldini furono respinti a Triflisco.
Il 1 ed il 2 ottobre ci fu la Battaglia del Volturno: l'offensiva napoletana su tutta la linea fu fermata dai garibaldini.
Il 5 ottobre i Napoletani scacciarono i garibaldini da Isernia, l’8 respinsero un attacco garibaldino a Capua, il 17 ottobre i garibaldini di Nullo tentarono inutilmente la riconquista di Isernia, ma furono sconfitti e massacrati, il 18 e il 19 un nuovo attacco garibaldino fu respinto a Capua. Il 20 i Napoletani del generale Scotti furono sconfitti sul Macerone dalle truppe del generale Cialdini: Ritucci ordinò la ritirata generale dal Volturno, lasciando, però, una guarnigione a Capua.
Nel frattempo il 12 ottobre Vittorio Emanuele, con la sua armata, era entrato nel Regno delle Due Sicilie: il 14 ottobre il forte borbonico di Baia si arrese. Il 23 ottobre Francesco II sostituì Ritucci con Salzano. Ci fu l’instaurazione della legge marziale nei territori occupati dai piemontesi. [5] il 20 marzo, con la resa di Civitella del Tronto, il Regno delle Due Sicilie cessa di esistere dopo 126 anni
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