lunedì 1 marzo 2010

Edward George Earl Bulwer-Lytton e ‘Gli ultimi giorni di Pompei’ di Antonio Iovino, Peppe La Mura, Marisa Mascolo e Giusy Morrone.

Edward George Earl Bulwer-Lytton (1803-1873), primo barone Lytton, è stato uno scrittore e drammaturgo molto conosciuto nell’Inghilterra dell’800 ormai dimenticato ai giorni nostri, nonché politico che ebbe un ruolo importante nella politica inglese, del tempo in quanto membro del parlamento a meno di trent’anni e segretario di Stato per le colonie dal 1858 al 1859.
Personaggio molto popolare al suo tempo, Bulwer-Lytton coniò alcune espressioni che sono rimaste nell’uso comune, come “la penna è più potente della spada” ed il celeberrimo “era una notte buia e tempestosa” (originariamente, It was a dark and stormy night) incipit del racconto ‘Paul Clifford’, del 1830, molto diffusa per l’ampio uso che ne fece ‘Snoopy’, il personaggio disegnato da Charles Schulz, come ‘incipit’ dei suoi numerosi racconti; nel 1985 il regista Alessandro Benvenuti ha diretto un film omonimo e la frase è stata inoltre ripresa da Andrea Camilleri ne ‘Il birraio di Preston’, dove la inserisce all’inizio di uno dei capitoli ed Umberto Eco ha dichiarato che l’inizio de ‘Il nome della rosa’ è un’allusione a questa famosissima frase.
Bulwer-Lytton visse della sua attività di scrittore, cimentandosi in ogni genere letterario, dai romanzi a tesi sociale: ‘Pelham’ nel 1828, ‘Paul Clifford’ nel 1830, ‘Eugenio Aram’ nel 1832, ‘I pellegrini del Reno’ nel 1834, a quelli storici come ‘Gli ultimi giorni di Pompei’ nel 1834, che raggiunse un’enorme popolarità, ‘Rienzi’ nel 1835, ‘L’ultimo dei baroni’ nel 1843, ‘Lucrezia’ nel 1847, ‘Aroldo, l’ultimo dei re sassoni’ nel 1848, al genere realistico: ‘I Caxton’ nel 1848-1849, affresco umoristico della vita in Inghilterra. Altre opere: ‘Una strana storia’ nel 1862, ‘La ragazza futura’ nel 1871. Bulwer-Lytton Scrisse anche lavori teatrali di successo: ‘La signora di Lione’ nel 1838, ‘Richelieu’ nel 1839, ‘Danaro’ nel 1840.
Edward Bulwer-Lytton nacque a Londra nel 1803, figlio minore del generale William Earle Bulwer di Heydon Hall e Wood Dalling e di Elizabeth Barbara Lytton, figlia di Richard Warburton Lytton di Knebworth, nell’Hertfordshire; dei suoi due fratelli, William intraprese la carriera militare ed il maggiore Henry, futuro Lord Dalling, fu anch’egli politico, drammaturgo e romanziere. Suo figlio Robert fu viceré dell’India dal 1876 al 1880.
Suo padre morì quando Edward aveva quattro anni e la sua famiglia si trasferì a Londra: il bambino si dimostrò subito molto fragile di nervi, ma altrettanto precoce. A quindici anni, su esortazione di un istitutore, pubblicò la sua prima opera: ‘Ishmael and other Poems’.
Nel 1822, Bulwer-Lytton entrò al Trinity College di Cambridge ma presto si trasferì al Trinity Hall, dove nel 1825 vinse il premio Chancellor per la poesia.
Nell’anno successivo, Bulwer-Lytton si laureò e pubblicò un altro piccolo volume di poesie, ‘Weeds and Wild Flowers’.
Nel 1827, Bulwer-Lytton sposò, contro la volontà di sua madre, la scrittrice Rosina Doyle Wheeler: dopo il matrimonio gli fu così tolta ogni rendita ed Edward si trovò in seri problemi economici.
Nel 1828, Bulwer-Lytton pubblicò ‘Pelham’, uno studio sul fenomeno dei ‘dandy’, ossia su quegli eccentrici che si divertivano a stupire il pubblico, con atteggiamenti e gesti provocatori, con il loro modo di vestire e di vivere: è probabile che ‘Pelham’ sia invece stato ispirato dal romanzo ‘Vivian Grey’ di Benjamin Disraeli, col cui padre, Isaac D’Israeli, rimase a lungo in corrispondenza.
Nel 1833, Bulwer-Lytton aveva già raggiunto l’apice della sua popolarità con ‘Godolphin’, seguito nel 1834 da ‘The Pilgrims of the Rhine’ e da ‘Gli ultimi giorni di Pompei’ (The Last Days of Pompeii) e da ‘Rienzi’ del 1835: ‘The Last Days of Pompei’ gli fu ispirato da un dipinto del russo Karl Briullov, che Bulwer-Lytton ebbe modo di ammirare a Milano nel 1833.
I suoi impegni in letteratura ed in politica, per guadagnare un sostentamento per la famiglia, minarono il rapporto con sua moglie ed essi si separarono nel 1836: tre anni dopo, nel 1839, pubblicò un romanzo dal titolo ‘Cheveley, or the Man of Honour’, in cui era fatta una feroce caricatura di Rosina.
Nel 1842, Bulwer-Lytton pubblicò ‘Zanoni’, un romanzo d’amore con una forte componente esoterica.
Nel 1848, Bulwer-Lytton pubblicò ‘Harold: Last of the Saxon Kings’.
Nel giugno 1858, Bulwer-Lytton fu segretario di Stato per le colonie fino al 1859. Durante la sua candidatura al parlamento per l’Hertfordshire, la moglie fece una comparsa in aula e lo denunciò pubblicamente: fu rinchiusa per squilibrio mentale, ma rilasciata qualche settimana dopo, come scrisse successivamente nel suo ‘A Blighted Life’.
Nel 1871, Bulwer-Lytton scrisse, tra cui ‘Vril, The Power of the Coming Race’, che risentì profondamente dei suoi interessi per l’occulto e che contribuì alla nascita della fantascienza: è opinione comune che l’opera abbia contribuito a creare l’immaginario misticheggiante del nazismo, oltre ad aver probabilmente influenzato La macchina del tempo di Herbert George Wells per la sua tematica di una razza sotterranea che attende di conquistare il proprio posto al sole.
Bulwer-Lytton morì a Torquay, Devon, il 18 Gennaio 1873, solo dopo la sua morte fu pubblicata la sua ultima opera, incompiuta, a soggetto storico: ‘Athens: Its Rise and Fall’.
“Gli ultimi giorni di Pompei” fu pubblicato nel 1834 e portò alla fama ed al titolo di barone lo scrittore londinese e da allora è stato letto da milioni di persone con un clamoroso successo di critica e di vendita.
Tradotto in italiano nel 1871 e pubblicato da Valsecchi con prefazione e note dello storico Francesco Cubani, il romanzo divenne subito un grande successo, che avvinse lettori di ogni estrazione sociale e culturale, trascinandoli alla scoperta di una civiltà affascinante negli anni del suo declino. Declino reso metaforicamente evidente dalla distruzione di una delle più ricche ed effervescenti città dell’Impero.
Il quadro storico nel quale si inserisce la tragedia di Pompei può riassumersi nelle parole di Tacito, che così comincia il secondo capitolo delle sue Storie: «Metto mano ad un lavoro denso di eventi, tremendo per gli scontri in armi, lacerato da rivolte, tragico perfino nella pace. Quattro principi eliminati col ferro, tre guerre civili, parecchie esterne e per lo più fra loro connesse; successi in Oriente, situazione compromessa in Occidente: l’Illirico in piena confusione, le Gallie inclini al tradimento, la Britannia conquistata ma subito abbandonata, gli attacchi subiti da Sarmati e Svevi, il prestigio dei Daci, cresciuto per i rovesci inflittici e da loro patiti, anche i Parti sull’orlo della guerra per l’impostura di un falso Nerone. E poi l’Italia afflitta da disastri mai accaduti o ricomparsi dopo lungo giro di generazioni: città della fertile costa campana inghiottite o sepolte, Roma devastata da incendi e quindi crolli di antichissimi templi e anche il Campidoglio bruciato da mani di cittadini; profanazione di riti, scandali ad alto livello; confinati politici in ogni mare, coperti di sangue gli scogli. [...]. Corrotti gli schiavi contro i padroni, contro i patroni i liberti, e per chi non avesse nemici, c’era un amico a colpirlo».
Questa la situazione della grande Storia, nella quale si intrecciano amore, gelosia, dedizione, odi, passioni cruente, riti magici e misterici si consumano nel romanzo, tra splendori antichi di case e banchetti, feroci combattimenti di gladiatori e i primi messaggi del credo cristiano. Questa atmosfera magica, rivive nel romanzo di Bulwer-Lytton, che, con maestria e cura di particolari, racconta le ultime tragiche giornate di Pompei, città meravigliosa e multietnica, che scomparve nel giro di poche ore, all’alba del 24 agosto del 78 dopo Cristo.
Quando il romanzo inizia, colpisce la descrizione particolareggiata degli ambienti, per come erano affrescate le dimore dei patrizi romani e i templi. Oltre alla città di Pompei, ignara della sua tragica sorte, anche la vita quotidiana degli abitanti sia dei nobili sia della plebe è molto dettagliata, ma non risulta noiosa come spesso accade alle descrizioni molto meticolose soprattutto degli scrittori inglesi; alla descrizione ben fatta del periodo storico si unisce una trama ben costruita.
L’autore piuttosto è stato abilissimo nel ricreare fin dalle prime pagine la magica atmosfera della Pompei dei primi anni dopo Cristo. Fin dall’inizio e da quanto sono presentati i protagonisti, aleggia l’incombente pericolo che minaccia la città: il lettore sa che la tragedia colpirà Pompei e che la città sarà distrutta dall’eruzione, e tutti i personaggi sono visti come dei condannati a morte, che dovranno subire l’ira del Vesuvio. C’è l’attesa del lettore e l’ansia che dovrà accadere qualcosa che sconvolgerà e che metterà a tacere tutti i vani progetti degli uomini.
Il romanzo ruota intorno a un giovane greco Glauco e ad una nobile fanciulla di nome Ione, protetta da un sacerdote egiziano Arbace, che comportandosi apparentemente da tutore, in realtà è attratto molto da lei e fa di tutto per averla anche a costo di ingannare, di tradire e naturalmente di uccidere. Prova per lei un amore decisamente molesto. La ragazza ama invece Glauco, ma per conquistarla dovrà combattere disperatamente.
Arbace, che incarna il male, l’uomo misterioso che con i suoi poteri occulti domina la scena è un personaggio malvagio, ma affascinante, incute paura ma anche curiosità, incarna il genio del male, con le sue scelleratezze e i suoi vizi.
Le figure dei due giovani greci, Glauco, il protagonista, e Jone, l’aiutante, appaiono un po’ più sbiaditi e superficiali, sembrano personaggi “di maniera”, costruiti a tavolino dall’autore in quanto incarnano il prototipo del greco classico dell’epoca.
Altro personaggio di spicco è la schiava cieca Nidia, figura di grande spessore, poiché analizzata sia nei risvolti psicologici sia nelle emozioni, anch’ella innamorata di Glauco, ma non ricambiata, che, ad un certo punto rischierà la vita per il suo grande amore. La sua passione, il suo amore, in una fanciulla cresciuta nel vizio, ma sostanzialmente pura, gracile ed innamorata, appassiona fin dal primo momento in cui la ragazza appare sulla scena.
Nel libro incontriamo lo schiavo gladiatore Lidone, la perfida e viziata Giulia, capace di siglare un patto con il malvagio Arbace per ottenere quello che desidera, il patrizio Clodio, impegnato solo a soddisfare la sua voglia di divertirsi.
Tutte le storie di questi personaggi e di altri si svilupperanno nel bene e nel male, con il loro scioglimento soltanto nella tragedia finale del 79.
Sullo sfondo di questo microcosmo, il Vesuvio, che si prepara a seppellire con la sua forza devastante Pompei e finisce per essere il vero protagonista di una vicenda per causa sua elevata dalla contingenza del quotidiano a simbolo della precarietà dell’esistenza.
Il lettore partecipa al susseguirsi degli eventi che incalzano i protagonisti della storia, emblemi dell’impotenza dell’uomo di fronte alla dirompente forza della Natura.
Bulwer-Lytton è riuscito a raccontare Pompei, una delle più belle città dell’intero impero romano, ricca di divertimenti e di piaceri, al punto da destare talvolta l’invidia della stessa Roma, città multietnica, con personaggi di spicco della cultura e del commercio, con un clima mite e temperato, e un paesaggio incantevole, un’autentica perla, una città invidiata e sognata da tutti.
Come con una “macchina del tempo” Bulwer-Lytton mostra una Pompei viva e palpitante, popolata di esseri umani e di passioni prima di mostrarcela sconvolta e sepolta dall’eruzione dello “Sterminator Vesevo” che troneggia dall’alto, che scruta ed osserva le umane vicende per poi decidere di porre fine alle stesse con un’eruzione, rimasta drammaticamente famosa nella storia e che spazzò via la città nel giro di poche ore.
«La nube che aveva sparso una così profonda oscurità sulla luce del giorno era consolidata in una massa densa e impenetrabile: più che alla fitta oscurità di una notte all’aria aperta, faceva pensare alla chiusa e cieca tenebra di qualche stretto locale. Ma in proporzione all’infittirsi del buio cresceva intorno al Vesuvio la luce abbacinante dei lampi la cui tragica bellezza gareggiava con tutti i colori dell’iride; ora di uno splendido azzurro come le più azzurre profondità del cielo meridionale, ora di un verde livido come le spire palpitanti di un rettile gigantesco, ora di un rosso tragico, spaventevole, che sgorgando dalle colonne di fumo si spargeva ampio e lontano illuminando da arco ad arco l’intera città, per spegnersi a un tratto in un pallore spettrale, simile al suo stesso fantasma! Nelle pause delle piogge infuocate si udivano rombare le viscere della terra e scrosciare le onde del mare sconvolto; o, più in basso ancora e percepibile solo all’orecchio teso allo spavento, lo stridere e il sibilare dei gas che sfuggivano dalle fessure della montagna lontana. Talvolta sembrava che la nuvola spezzasse la sua solida massa, e alla luce dei lampi assumesse strane e gigantesche forme umane o mostruose che lottavano nel buio scagliandosi le une sulle altre e svanendo rapidamente in un turbine di ombre; sì che agli occhi e alla fantasia degli spettatori atterriti, quegli immateriali vapori sembravano le forme corporee di giganteschi nemici venuti a portare il terrore e la morte». È l’inizio del VII capitolo del romanzo che non si discosta molto dalle descrizioni di Plinio il Giovane e di Dione Cassio, che hanno descritto l’evento catastrofico.
Il libro è stato un gran successo fin dalle prime stampe e tutt’ora è molto letto da chi ama il genere del romanzo storico, ma anche da chi ama una buona lettura: “Gli ultimi giorni di Pompei” non è solo un momento di evasione, ma anche di riflessione su come tutte le umane vicende alla fine devono sottostare agli eventi della natura. Non a caso due anni dopo, Giacomo Leopardi ne ‘La ginestra’ rifletterà, anche se con accenti diversi, sulla natura e sul suo rapporto con il mondo e con l’uomo, miti fondanti dell’Ottocento:
«Torna al celeste raggio
dopo l’antica obblivion l’estinta
Pompei, come sepolto
scheletro, cui di terra
avarizia o pietà rende all’aperto;
e dal deserto foro
diritto infra le file
dei mozzi colonnati il peregrino
lunge contempla il bipartito giogo
e la cresta fumante,
che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell’orror della secreta notte
per li vacui teatri,
per li templi deformi e per le rotte
case, ove i parti il pipistrello asconde,
come sinistra face
che per vòti palagi atra s’aggiri,
corre il baglior della funerea lava,
che di lontan per l’ombre
rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
così, dell’uomo ignara e dell’etadi
ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno
dopo gli avi i nepoti,
sta natura ognor verde, anzi procede
per sì lungo cammino
che sembra star. Caggiono i regni intanto,
passan genti e linguaggi: ella nol vede:
e l’uom d’eternità s’arroga il vanto»
olo e Giusy Morrone.salotto culturale stabia di massimo capuozzo

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