martedì 23 marzo 2010

Esemplarità poetica della parabola ungarettiana di Carmela Alfano

Ungaretti visse nel periodo in cui la borghesia, dopo aver realizzato in Italia il capitalismo, non portò avanti gli ideali di giustizia e di libertà ma, si chiuse in se stessa, temendo di perdere la propria egemonia ed affidò la risoluzione delle proprie contraddizioni sociali prima al colonialismo-imperialismo, poi alla guerra mondiale, al Fascismo ed infine alla II guerra mondiale.
Giuseppe Ungaretti nacque il 10 febbraio 1888, «in una notte – scriverà – burrascosa» ad Alessandria d’Egitto da Antonio Ungaretti e da Maria Lunardini, entrambi lucchesi, che vi erano emigrati sia per motivi di lavoro sia per le loro idee anarchiche: il padre, che lavorava come operaio nel canale di Suez, morì, quando Giuseppe aveva appena due anni: Ungaretti, infatti, fu allevato da sua madre, da una balia sudanese e da Anna, un'anziana croata, adorabile narratrice di favole. Sua madre continuò a gestire un forno alla periferia della città, ai confini con il deserto. Ungaretti potè comunque fare gli studi superiori in una delle più prestigiose scuole di Alessandria. Nella prima giovinezza, Ungaretti frequentò le associazioni anarchiche e socialiste dei nostri emigrati.
Il soggiorno africano lasciò ad Ungaretti un patrimonio di ricordi esotici: la balia sudanese, i racconti favolosi della domestica croata Anna, la varietà cosmopolita, caratteristica del quartiere in cui abitava: la casa della sua infanzia distava «quattro passi dalla tenda del beduino, in una zona di subbuglio». Il periodo africano fu inoltre fecondo di intense amicizie: con il compagno di scuola Moammed Sceab e con il conterraneo Enrico Pea che, emigrato ad Alessandria all’età di sedici anni, commerciò in marmi e fondò un circolo anarchico, la Baracca rossa, cui aderì anche Ungaretti: insieme collaborano a molte riviste ed a giornali anarchici, con prose di ispirazione sociale, novelle, traduzioni e poesie.
Dagli otto ai sedici anni, Ungaretti frequentò il Collegio salesiano, dove soffrì la pesante disciplina e poi la scuola migliore della città, la Ecole Suisse Jacot, per studiare diritto.
Nel 1912 Ungaretti si trasferì a Parigi, dove studiò per due anni alla Sorbona, seguendo tra l’altro le lezioni del filosofo Bergson, senza tuttavia laurearsi. Intanto Ungaretti frequentava i maggiori esponenti delle avanguardie: Apollinaire, Picasso, Braque, De Chirico, Modigliani e, nei loro frequenti soggiorni a Parigi, Marinetti e Boccioni. Lo interessavano anche le esperienze di rinnovamento della forma e della parola poetica, operate dai crepuscolari e dai futuristi, attestati dagli scambi epistolari con Soffici, Papini, Palazzeschi. Gli anni parigini furono segnati anche da un evento tragico, che turbò fortemente il giovane Ungaretti: il suicidio dell’amico Moammed Sceab, che si era trasferito con lui dall’Egitto a Parigi. Moammed Sceab si uccise perché si sentì senza radici: esule in Francia e lontano dal proprio paese, Moammed subì una crisi di identità, rimanendo come sospeso tra la tradizione, che aveva lasciato alle spalle, ed il nuovo orizzonte culturale, che non aveva sufficientemente interiorizzato. La condizione di dericinè di Moammed rispecchiò molto da vicino quella di Ungaretti che, pur di origine italiana, era nato in Egitto, da dove era successivamente emigrato in Francia. Anche il poeta si era sentito senza patria in Rue des Carmes. Per Moammed, Ungaretti scrisse una delle sue liriche più intense.
Giunto in Italia nel 1914, ungaretti entrò subito in contatto con i giovani intellettuali che facevano capo alle riviste La Voce (anti-dannunziana) e Lacerba (su quest'ultima – di indirizzo futurista – egli pubblicò le sue prime poesie, anch'esse influenzate dai modi crepuscolari e futuristi). Ungaretti rientrò in Italia anche per un titolo di studio: l'abilitazione all'insegnamento della lingua francese. Ungaretti diede l'esame a Torino con Farinelli, ma si preparò in Versilia. Pea rientrò con la famiglia in patria, ragione per cui Ungaretti fu in quella zona. Ungaretti Si spostò poi a Milano, dedicandosi all'insegnamento della lingua francese in una scuola secondaria e scrive le sue prime poesie che faranno parte della sezione Ultime che apre L'Allegria.
Ungaretti partecipò alla campagna interventista ed infine si arruolò volontario, combattendo sul Carso.
Nel 1915, pubblicò le prime liriche su Lacerba nel febbraio, in aprile e in maggio. Ungaretti fu richiamato e inviato sul fronte del Carso e su quello francese dello Champagne. Ungaretti era di idee interventiste e fu, infatti, nel corso della guerra, che maturò i temi fondamentali della sua poesia. Egli maturò la convinzione che, essendo la sua un'epoca tragica, la poesia doveva fornire una conoscenza a-logica, a-razionale, intuitiva, che aiutava a ritrovare l'originaria purezza-innocenza.
È l'esperienza della guerra che rivela al poeta la povertà dell'uomo, la sua fragilità e la sua solitudine, ma anche la sua spontaneità e semplicità (primitivismo), che è ritrovata nel dolore. L'esistenza è un bene precario, ma anche prezioso. In guerra egli si è sottratto ad ogni vanità ed orgoglio; nella distruzione e nella morte ha però riscoperto il bisogno di una vita pura, innocente, spontanea, primitiva. Ha acquisito compassione per ogni soldato coinvolto nell'assurda logica della guerra: ha maturato, per questo, un profondo senso di fraterna solidarietà. La sua visione esistenziale è dolorosa perchè Ungaretti pensa che l'uomo non abbia la possibilità di concretizzare le sue aspirazioni conoscitive e morali.
Ungaretti non crede nelle filosofie razionali e cerca di cogliere la realtà attraverso una poetica che s'incentri sull'analogia, cioè sul rapido congiungimento di ordini fenomenici diversi, di immagini fra loro molto lontane che la coscienza comune non metterebbe insieme.
Nel 1916, Ungaretti pubblicò in pochissime copie la sua prima raccolta di poesie, Il porto sepolto, che confluiva poi nell' Allegria di naufragi del 1919.
Il Porto Sepolto era un volumetto in versi uscito nel 1916, stampato ad Udine in ottanta esemplari dall’amico Ettore Serra, che sostenne le spese della pubblicazione. Una nuova edizione comprendente le poesie dell’Allegria ed altre liriche, uscita nel 1923 con prefazione di Benito Mussolini. Il titolo si riferisce ad un porto reale nei pressi di Alessandria, ma ha soprattutto un significato simbolico, infatti, il porto sepolto è il mistero, l'assoluto, alla cui ricerca il poeta si pone con la speranza di approdarvi come in un porto di pace.
In quest'ultima raccolta è evidente lo stretto legame tra poesia ed esperienza autobiografica. Per Ungaretti esiste un profondo legame tra la vita e la poesia: ogni opera poetica nasce dall’esperienza individuale, ma deve poi staccarsene, per diventare valore universale: “Egli (il poeta) si è maturato come uomo in mezzo ad avvenimenti straordinari ai quali non è mai stato estraneo”. La sua stessa scelta di raccogliere le poesie e i saggi più significativi per ricostruire la sua vicenda umana ed artistica in Vita di un uomo testimoniarono questa convinzione (che condivise con Saba, ma non con Montale).
Nel 1917, Ungaretti combatté in Francia sul fronte della Champagne, e, tra il 1918-21 visse ancora a Parigi, lavorando presso l’ambasciata italiana e come corrispondente per il giornale Il Popolo d’Italia, il giornale di Mussolini. L’adesione di Ungaretti al Fascismo fu spontanea, nella convinzione che il nuovo movimento politico potesse rappresentare la soluzione ai mali e alle contraddizioni sociali.
Il 13 novembre 1919, Ungaretti, in un articolo de Il Popolo d'Italia scriveva: "Patria e rivoluzione: ecco il grido nuovo. (...) Aderisco ai fasci di combattimento, il solo partito che intende la tradizione e l'avvenire, in modo genuino."
Non si ha alcuna notizia di un ripensamento di Ungaretti sulla sua adesione al Fascismo, neppure dopo la sua caduta: egli, infatti, mantenne sostanzialmente invariata questa concezione anche dopo la sconfitta del Fascismo e la vittoria della Resistenza, riuscendo comunque ad ottenere il rispetto delle nuove generazioni di intellettuali di sinistra del dopoguerra nonostante il suo precedente collaborazionismo con il regime fascista. L'adesione al Fascismo da parte di Ungaretti è un problema notevole della critica letteraria e biografica che andrebbe indagato a fondo e che non è mai stato preso seriamente in considerazione. Le sue poesie contro la guerra e poi la sensibilità e l'umanità dimostrata dal poeta, sono in stridente contraddizione con l'adesione ad un movimento, che faceva della persecuzione politica e poi dell'alleanza con il nazismo (anche avallando e praticando direttamente le persecuzioni ebraiche), i suoi mezzi di lotta correnti. Contraddizione fu (evita sempre le frasi ellittiche) ancor più evidente, se si pensa al nuovo massacro del secondo conflitto mondiale del tutto simile a quello cui si riferiva e che condannava lo stesso Ungaretti nelle sue liriche del 1915 - 1916.
Ungaretti visse personalmente questo periodo. Sposò Jeanne Dupoix.
Ungaretti pubblicò con Vallecchi, a cura di Ettore Serra, l'edizione provvisoria della raccolta Allegria di Naufragi (quella definitiva uscì a Preda nel 1931) che comprendeva Il Porto Sepolto e i versi del '17, '18 e '19, oltre alla sezione Ultime.
Nel 1923, la difficile condizione economica indusse Ungaretti a trasferirsi a Marino nei Castelli Romani; egli si impiegò presso il Ministero degli Esteri, pubblicò a La Spezia, con il titolo Il Porto Sepolto, una nuova edizione de L'Allegria, includendovi le liriche composte tra il 1919 ed il 1922 e la prima parte del Sentimento del Tempo. La prefazione è di Benito Mussolini.
Nel 1926, morì sua madre e nel 1928 è l'anno della piena conversione alla religione cattolica, dopo un periodo passato a Subiaco, nella settimana di Pasqua; Ungaretti aveva quarant'anni. Nel monastero di Subiaco, maturò la sua conversione religiosa, poiché egli si rese conto che, scoprire il mistero dell'animo umano, significò, in ultima istanza, scoprire Dio. Ungaretti Scrisse gli Inni, che sono il cuore del suo secondo libro, Sentimento del tempo, pubblicato nel 1933.
Il superamento dell'autobiografismo e la modificazione dello stile ermetico avviene in Sentimento del tempo. Qui il poeta ha consapevolezza che il tempo è cosa effimera rispetto all'eterno e la poesia aspira a dar voce ai conflitti eterni, ad interrogativi drammatici: solitudine ed ansia di una comunicazione con gli altri, rimpianto di un'innocenza perduta, ricerca di un'armonia col mondo, ecc. In questa raccolta Ungaretti ritrova i metri ed i moduli della tradizione poetica italiana e crea un ritmo totalmente libero, con versi scomposti, brevissimi, scarni, fulminei, dove la singola parola acquista un valore assoluto, dove il titolo è parte integrante del testo. La poetica qui è frammentaria, allusiva, scabra, anche perché il poeta non ha una realtà ben chiara da offrire.
Questa esperienza lo portò a rifiutare – soprattutto nell' ‘Allegria’ – ogni forma metrica tradizionale: rifiuta il lessico letterario, le convenzioni grammaticali, sintattiche e retoriche. Ne Il porto sepolto Ungaretti lasciò intendere che poesia significa possibilità di contemplare la purezza in un mondo caotico e assurdo, ma la poesia dev'essere espressione di un'esperienza particolare, intensamente vissuta. La ricerca del vocabolo giusto è faticosa, perché l'uomo deve liberarsi del male che è in lui e fuori di lui. Ne L'allegria il poeta non accetta le illusioni e preferisce star solo con la sua sofferenza. Ungaretti tuttavia non è ateo, ma, si limita semplicemente a chiedersi che senso ha Dio in un mondo di orrori e perché gli uomini continuano a desiderarlo, quando ciò non serve loro ad evitare gli orrori. Il contrasto è fra una religiosità tradizionale, superficiale, ed una religiosità più intima e sofferta, che in Fratelli si esprime come profonda umanità, partecipazione al dolore universale. È solo negli Inni che Ungaretti ripone nella fede religiosa la soluzione delle contraddizioni umane. La successiva raccolta Sentimento del tempo del 1933, presenta un'evoluzione nella poetica di Ungaretti. Gli spunti autobiografici, così numerosi nell' Allegria di naufragi, diminuiscono, lasciando posto ad una riflessione più esistenziale. L'uomo Ungaretti tenta ora di farsi Uomo, cercando nelle proprie emozioni e paure il riflesso di quelle che sono comuni a tutti. Inizia qui il tormentato recupero della fede, la quale può forse rappresentare per l'uomo smarrito un'ancora di certezze. Il cammino, tuttavia, non è lineare e non mancano situazioni di conflitto tra il sentimento religioso e le esperienze dolorose nella storia del singolo o della comunità. Parallelamente a questi cambiamenti tematici, ne avvengono altri a livello stilistico; in particolare il recupero di una metrica più tradizionale rinnovata però dal precedente lavoro di scoperta della parola.
Nel 1931, Ungaretti diventò corrispondente del La Gazzetta del Popolo e, come tale, compie numerosi viaggi in Europa ed in Egitto; in questo stesso anno fu pubblicata definitivamente L’Allegria.
La raccolta, che subì molte modifiche, uscì per la prima volta nel 1919, presso l’editore Vallecchi di Firenze con il titolo Allegria di Naufragi. Il primo nucleo di questa prima edizione è costituito da Il porto sepolto. Nel 1931 la raccolta portò il titolo definitivo: L’Allegria. La forma definitiva fu raggiunta solo nella successiva edizione del 1942, al termine di un iter correttorio lungo e difficile. Anche questo titolo è allusivo: la guerra è come un naufragio della vita, i superstiti del naufragio sono presi da una sorta di ebbrezza per lo scampato pericolo e superano lo sgomento ed il dolore con la fede e alla speranza di un domani migliore.
Nell’opera, che ha struttura diaristica, Ungaretti, poeta–soldato, racconta una vicenda storica particolarmente traumatica: la prima guerra mondiale, che egli visse in prima persona. Nella guerra l’uomo è posto di fronte a situazioni, esigenze e sentimenti elementari, e sente la presenza costante della morte, ma nonostante questo, egli riesce ad attaccarsi ad un insperato e disperato vitalismo, a compiere una riscoperta primordiale dell’innocenza e della natura, per la quale l’individuo si sente docile fibra dell’universo (Mengaldo).
Le due raccolte contengono in gran parte le impressioni della prima guerra mondiale, cioè il sentimento dell'attaccamento alla vita che spinge il poeta a scrivere lettere piene d'amore, che un giorno è costretto a passare un'intera nottata vicino a un compagno massacrato in Veglia; il cuore impietrito dal dolore, divenuto simile alla pietra refrattaria del San Michele, indurita dal sole in Sono una creatura; il cuore ancora più straziato delle case sbriciolate dalla guerra, per la morte di tanti che gli corrispondevano in San Martino del Carso; il sentimento della precarietà della vita in Soldati; il sentimento di sentirsi docile fibra dell'universo, quando, ne I fiumi, durante un momento di pausa, nella guerra, il poeta si bagna nelle acque dell'Isonzo e ricorda altri fiumi ed infine il disperato anelito ad un paese innocente in Girovago di uomini degni, liberi e fraterni.
Il fatto di condividere con gli altri soldati un’esistenza al grado minimo ed il costante pericolo di morte, comporta un sentimento di fratellanza che è un tema sul quale la poesia dell’ Allegria insiste particolarmente. Una condizione esistenziale così scarnificata, essenziale come le pietre del Carso che fanno da sfondo agli eventi bellici, non può trovare espressione che in una lingua altrettanto essenziale e in una metrica frantumata fatta di versicoli che spesso coincidono con una sola parola.
L’adozione di versi brevissimi ha importanti conseguenze: nella pagina, lo spazio bianco diventa dominante quasi a sottolineare l’importanza delle pause e, quindi il fortissimo rilievo delle poche parole che interrompono il silenzio. Acquistano nuovo significato anche le parole semanticamente poco rilevanti e la sintassi è scardinata dall’eliminazione dei nessi logici e dall’abolizione della punteggiatura (suggerita a Ungaretti dall’esempio dei futuristi e di Apollinaire).
La poesia procede per accostamento di frammenti e immagini, per analogie, e, tutto contribuisce a dare alla parola il massimo rilievo e un valore quasi magico di rivelazione.
La poesia dell’ Allegria è tutt'altro che ingenua e immediata, benché lo sgranarsi dei versicoli sulla pagina, può dare l’impressione di uno spontaneo stillicidio poetico, secondo l’espressione di Eugenio Montale. In realtà siamo di fronte ad una studiata e calibrata reinvenzione della parola poetica privata di corredi descrittivi e narrativi.
La frantumazione metrica e la mancanza di punteggiatura sono compensate dalla coincidenza della pausa versale con una pausa sintattica e dal rispetto dell’uso delle maiuscole che consente di individuare gli impliciti punti fermi. Inoltre, spesso riunendo due o più versicoli consecutivi, è possibile ricomporre la misura di un verso tradizionale.
Per illustrare brevemente la poetica di Ungaretti si può partire proprio da quest'ultimo titolo: Vita di un uomo. Poesia e biografia sono, infatti, per Ungaretti strettamente legate, tanto che sono proprio le esperienze di vita a determinare alcune precise scelte di stile e al contenuto assolutamente innovative per la poesia italiana. La prima, è l'esperienza di soldato che sepolto in trincea tra fango, pioggia, topi e compagni moribondi, il giovane poeta scopre una nuova dimensione della vita e della sofferenza, che gli sembra imporre, per poter essere descritta, la ricerca di nuovi mezzi espressivi. Nasce così la raccolta Allegria di naufragi, nella quale il lavoro di scavo, comincia dalla parola. Dall'analisi delle proprie emozioni, Ungaretti trae enunciazioni essenziali e fulminee che comportano la distruzione della metrica tradizionali; i versi sono spezzati e ridotti talvolta a singole parole e quest' ultime si stagliano isolate o accostate tra loro con lo strumento dell'analogia, senza punteggiatura, intervallate da spazi bianchi che assumono a loro volta un preciso significato. Una poesia, dunque, che per dare il meglio di sé, deve essere recitata, come magistralmente faceva l'autore stesso, o almeno pensata ad alta voce.
Nel 1933, fu pubblicata l’edizione definitiva di Sentimento del Tempo. Le poesie di Sentimento del Tempo segnano una svolta fondamentale nella direzione di un ritorno alla tradizione. La parola poetica reinventata attraverso l’esperienza dell’ Allegria, è immessa nella tradizione letteraria che ha i suoi nomi–guida in Petrarca ed in Leopardi. Terminata la guerra, Ungaretti aveva continuato la sua meditazione sulla poesia e sulla condizione dell'uomo. La prima, lo portò al recupero dell'endecasillabo e del settenario che non si ridusse ad una pura esercitazione stilistica e metrica, ma rispose all'esigenza morale, che avvertì il poeta di comunicare agli uomini le sue arcane scoperte cioè di essere il poeta veggente teorizzato dai simbolisti. Quanto alla meditazione sulla condizione dell'uomo, il titolo della nuova raccolta Sentimento del tempo è molto allusivo: sentimento del tempo, significa sentimento del veloce scorrere del tempo, del rapido fluire delle cose, delle persone amate, che produce, per contrasto, la nostalgia del passato ed un più tenace attaccamento alla vita. Accanto a questo sentimento del fluire delle cose appare l'altro tema della raccolta, scaturito da un avvicinamento del poeta alla fede: il sentimento di Dio, in cui solamente si placa l'angoscia esistenziale del poeta. Ungaretti recupera dunque i versi tradizionali, rinunciando alla frantumazione in versicoli, e li organizza in strofe costruite su una sintassi, che può anche essere molto complessa, con inversioni e molte subordinate: è ripristinata la punteggiatura.
Tutti questi elementi fanno sì che la parola non sia più isolata, ma inserita in un discorso, con una struttura metrica e sintattica. Inoltre Ungaretti ricerca ora un lessico più alto, preferibilmente con autorizzazione letteraria (per essere stato usato dai poeti del passato). Altre importanti differenze di stile fra l’ Allegria ed il Sentimento del Tempo sono suggerite da Mengaldo: mentre l’ Allegria privilegiava la prima persona del presente indicativo (a marcare un’esperienza – quella della guerra – attuale e vissuta in prima persona), ora domina l’indicativo imperfetto, con valore evocativo; la tendenza all’analogia espressa attraverso il come lascia il posto ad una netta prevalenza dell’analogia implicita (per esempio Amore, salute lucente, (...) Morte, arido fiume nell’Inno alla Morte); alla lapidarietà degli enunciati subentra una tendenza allo sfumato, al non finito. Sarà la grammatica di questo secondo Ungaretti (molto più di quello dell’Allegria) a fare da base all’imminente Ermetismo. Al Sentimento del Tempo gli ermetici guarderanno come al loro vero libro–guida, per il suo linguaggio alto e prezioso, e per la sua ricerca di analogie complicate, singolari, spesso ellittiche e criptiche.
Nel 1936, a causa di ristrettezze economiche, Ungaretti accettò l’incarico di insegnare Letteratura italiana all’Università di San Paolo in Brasile, dove restò, con la famiglia, fino al 1942, cioè fino a quando anche il Brasile entrò nella II a guerra mondiale.
Nel 1939, in Brasile ungaretti fu colpito da un grave lutto: la morte del figlio Antonietto, di soli nove anni, dovuta ad un’appendicite mal curata. Due anni prima era morto suo fratello Costantino e, di queste e delle altre dolorose esperienze di quegli anni, lasciò una profonda traccia nella prima raccolta poetica del dopoguerra Il dolore del 1947.
Nel 1942, Ungaretti rientrò in Italia, dopo che il Brasile dichiarò guerra all'Asse, di cui l'Italia faceva parte.
Ungaretti fu nominato Accademico d'Italia (la sua adesione al fascismo fu tempestiva e non subì mai grossi ripensamenti) e gli fu conferito un insegnamento universitario a Roma per chiara fama. Mondadori, iniziò la pubblicazione delle sue opere sotto il titolo generale Vita d'un uomo.
Nel 1944, Ungaretti scrisse nuovamente contro la guerra: Non gridate più e la raccolta del Dolore. Tuttavia mantenne i suoi rapporti con il Fascismo ed addirittura le sue relazioni personali con Mussolini, che gli fece avere la cattedra universitaria Roma. L'adesione di Ungaretti al fascismo rimane dunque, una grande ombra sulla sua vita e sulla sua integrità morale. D'altra parte la sua poesia e le sue riflessioni, cariche di umanità, testimoniano la genuinità della sua lirica, che non era certo al servizio del regime. Resta, in sede biografica, l'interrogativo: “Come si conciliava in Ungaretti l'alta valenza morale ed umana delle sue poetiche con la propria posizione politica? È possibile che il dissidio tra poetica e prassi giunga fino a limiti così estremi? E se sì, perché?”
Nel 1947, Ungaretti fu sottoposto a procedimenti di epurazione presso l'Associazione degli scrittori. Iniziò anche un procedimento per l'abolizione della cattedra di chiara fama (avuta anche da De Robertis) che dopo una lotta tra il Consiglio Superiore ed il Ministro Gonella, favorevole alla permanenza in cattedra dei due maestri, e sentite le rispettive Facoltà, l'insegnamento fu confermato. Ungaretti pubblicò con Mondadori Il Dolore (poesie scritte tra il 1937 e il 1946).
‘Il Dolore’ comprende le poesie scritte per la morte del figlio Antonietto ed altre, composte a Roma nel 1944, che esprimono l’angoscia per l’occupazione nazista. Qui il discorso diventa più composto, quasi rasserenato. Toni e parole paiono affiorare da un'alta saggezza raggiunta al prezzo di una drammatica sofferenza. Il poeta esprime un’inappagata ma inesauribile tensione alla pace e all'amore universali. La biografia irrompe nuovamente nella poesia in seguito alla tragica morte del figlio Antonietto, cui sono dedicate le liriche della prima parte; nella seconda parte, invece, Ungaretti si sofferma sulle vicende drammatiche della guerra. C'è dunque un rapporto tra le due sezioni; il dolore individuale e quello collettivo, danno la misura di un cammino umano, segnato dalla sofferenza e dalla difficile riconquista della fede negli imperscrutabili disegni divini. E tra questi due piani, quello personale celebrato nel Dolore e quello corale, collettivo, che ha trovato le sue più alte espressioni nel Sentimento del tempo, si muove tutta la successiva produzione di Ungaretti.
Alla raccolta facevano seguito le due edizioni della Terra promessa (1950 e 1954), Un grido, Paesaggi del 1952 ed Il taccuino del vecchio del 1961.
La Terra Promessa doveva essere un poema, un libretto d'opera che non fu condotto a termine. Il tema era la storia del viaggio avventuroso di Enea. Del progetto restano solo alcuni frammenti, come i Cori descrittivi di stati d'animo di Didone, che contengono le meditazioni sulla morte, sul tempo e sull'amore.
Negli ultimi cori dell’ultima edizione della Terra promessa, si avverte la sorda riflessione sulla natura di un Ungaretti fiaccato dalle terribili vicende personali. Il testo del coro quarto dice:
Verso meta si fugge:
Chi la conoscerà?
Non d’Itaca si sogna
Smarriti in vario mare,
Ma va la mira al Sinai sopra sabbie
Che novera monotone giornate.
E il coro dell'atto quinto dice:
Si percorre il deserto con residui
Di qualche immagine di prima mente,
Della Terra promessa
Nient’altro un vivo sa.

Nel 1970, dopo una vecchiaia attivissima – costellata di viaggi, di premi, di conferenze – nella quale Ungaretti recitò volentieri la parte di protagonista e di simbolo enfatico del poeta, morì a Milano nella notte fra il I ed il 2 giugno al ritorno da un viaggio negli Usa. Poco prima, Mondadori aveva pubblicato in un unico volume tutta la sua produzione letteraria: Vita d'un uomo.

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