lunedì 27 luglio 2009

La vecchia signora sconosciuta: ritratto di Maria Sofia l’ultima regina di Napoli di Maurizio Delle Donne

Una vecchia signora, ancora bella, girava nei campi di prigionia italiani. La vecchia signora cercava di alleviare le sofferenze dei soldati italiani specialmente di quelli meridionali, regalando loro i suoi libri italiani e parlando con loro soprattutto di Napoli.
I soldati italiani erano stupiti davanti a questa misteriosa signora, e cercavano di capire che cosa volesse dire, ma le loro domande non trovavano mai risposta precisa sull’identità di questa signora di una bellezza appena invecchiata dal tempo. Le uniche risposte poteva darle lei, esprimendo in un italiano appena mescolato con un dolce accento tedesco la sua vera identità. E se qualcuno dei giovani soldati appena più intraprendente le chiedeva chi fosse, ella rispondeva semplicemente: ”Sono una signora che conosce bene Napoli“. Oppure: ”Sono una signora che imparò da giovane a parlare italiano”.
Ma chi era quest’anziana signora, stravagante, carica di classe e di ricordi che si aggirava in un campo di prigionia italiano dell’Impero austro-ungarico?
La sua storia comincia da lontano nel tempo, non nello spazio infatti l’anziana signora era nata a Possenhofen un paesino della ridente campagna bavarese nel 1841 da Max, duca di Baviera, e da Ludovica di Wittelsbach, entrambi membri della famiglia reale di Baviera di cui Ludovica era una delle nove figlie del re.
Da piccola la chiamavano affettuosamente Spatz cioè passerotto ed il suo nome era Maria Sofia.
Nota per la sua indole avventurosa e per le sue stravaganze, Maria Sofia aveva trascorso la sua giovinezza in Baviera. Da suo padre aveva ereditato l’amore per la natura, per la caccia, per cavalli, cani e pappagalli. Ella ebbe un’educazione liberale: amava lo sport, l’equitazione, il nuoto, la scherma e il tiro con la carabina. Diversamente dalla sua più celebre sorella Elisabetta d’Austria, Maria Sofia cercava la felicità. In un’intervista dichiarò: “Noi, le cinque figlie del duca Max, ci chiamavano da giovani die Wittelsbacher Schwestern, le sorelle Wittelsbach. Portavamo tutte e cinque le trecce nere, ricondotte a giro appena al di sopra delle orecchie e sulla fronte, al modo delle contadine dello Oberbayern. Poi tutte pigliammo il volo: Elisabetta diventò imperatrice d’Austria, Elena diventò principessa di Thurn und Taxis, Matilde sposò Luigi conte di Trani, Carlotta il duca di Alençon: ma di tutte e cinque, io ero quella più predisposta dalla natura a godersi la vita”. Come sua sorella Elisabetta, Maria Sofia aveva un carattere ribelle: fumava, cosa eccezionale per una donna di quei tempi.
Nel 1858, a 17 anni, fu promessa in sposa a Francesco di Borbone, duca di Calabria ed erede al trono delle Due Sicilie del già sofferente Ferdinando II. Il matrimonio avrebbe dovuto rafforzare i legami con l’impero austriaco. Maria Sofia non conosceva Francesco di persona, aveva avuto solo l’opportunità di vederlo raffigurato in una sua miniatura nella quale appariva d’aspetto gradevole.
Dopo la cerimonia di fidanzamento, avvenuta il 22 dicembre 1858, il matrimonio fu celebrato per procura la sera dell’8 gennaio 1859. Dopo qualche giorno, accompagnata dalla sorella imperatrice d’Austria, Maria Sofia si recò a Trieste, dove la aspettavano i rappresentanti della Real Casa delle Due Sicilie con le fregate Tancredi e Fulminante, su cui il 1° febbraio s'imbarcò per Bari. Nella città, in cui erano stati preparati grandiosi festeggiamenti, l'attendevano Francesco e il re Ferdinando II, sempre più ammalato e sofferente.
Maria Sofia era molto bella: aveva il corpo alto e snello, gli occhi ridenti, i lunghi capelli neri e l'espressione dolce. Partì per Napoli il 7 marzo 1858, mentre le condizioni del Sovrano si aggravavano sempre più e il suo anticonformismo contrastava con il clima tradizionalista della corte borbonica. La sua bellezza e la sua personalità riuscirono però a conquistare il popolo meridionale.
Francesco, di temperamento mistico, era cresciuto nel culto di sua madre, la regina Maria Cristina detta dai napoletani la regina Santa. Il principe aveva studiato diritto ecclesiastico e non era stato educato all’aggressività, non usava armi, non faceva esercizi fisici, non frequentava coetanei, ma non mostrava neppure attenzione ai fermenti politici di quegli anni, perché per lui tutto era rimesso alla volontà di Dio. Magro, alto e con il volto pallido, lo sguardo basso, piuttosto impacciato, non era certo il principe che Maria Sofia avrebbe desiderato sposare.
L’esuberanza di Maria Sofia influì però positivamente sul marito che si affezionò a lei.
Quando Ferdinando II morì il 22 maggio 1859, lasciò al figlio inesperto un trono traballante e circondato da una moltitudine di cortigiani piuttosto incapaci e disonesti.
Maria Sofia, diventata regina di Napoli a soli 18 anni, entrò subito in contrasto con la suocera, alla quale Francesco II invece si mostrava sempre più sottomesso. Maria Sofia non soffrì di questa sua condizione e viveva comunque allegramente: riempiva la casa di animali, faceva il bagno in mare, si faceva fotografare, diventando in breve una delle tre donne più in vista d’Europa e il 7 luglio 1859 dimostrò il suo coraggio, trattando con alcune Guardie Svizzere in rivolta, chiamate dai napoletani Titò.
Dopo la morte di Ferdinando II e l’ascesa al trono di Francesco II, Maria Sofia esercitò su di lui un forte ascendente anche nella gestione degli affari familiari e politici. Fu punto di riferimento del partito costituzionale ed ottenne la nomina a capo del governo per il liberale Carlo Filangieri.
L'aumento di popolarità di Maria Sofia che aveva progettato, in accordo con Filangieri, di instaurare un regime costituzionale su modello bavarese, spinse forse la regina madre Maria Teresa ad ordire un complotto per detronizzare Francesco II a favore di Luigi, conte di Trani. Nonostante il fallimento del complotto, la compattezza della classe dirigente del Regno, quella ancora fedele, si dimostrò incrinata. Anche Filangieri, di età ormai avanzata, rassegnò le dimissioni. A Maria Sofia non restò altro che far rifiorire la vita di Corte, fino a quel momento abbastanza oscura.
Durante la seconda guerra di indipendenza, Maria Sofia avrebbe dunque voluto che si concedesse la costituzione, ma era ostile ad ogni accordo con i Savoia e respingeva ogni ipotesi di guerra con l’Austria di cui sua sorella era imperatrice. Cavour sognava invece nella penisola la creazione di tre stati indipendenti e alleati fra loro: il Regno sabaudo, lo Stato della Chiesa ed il Regno delle due Sicilie.
Mentre Cavour stava conquistando territori nel centro Italia Garibaldi sbarcò in Sicilia e la liberò.
Francesco II concesse la costituzione, ma ormai era troppo tardi perché Garibaldi aveva attraversato lo stretto e si dirigeva verso Napoli.
Per evitare inutili spargimenti di sangue, i sovrani si rifugiarono a Gaeta, dove Francesco II difese, eroicamente quanto inutilmente, la piazzaforte borbonica. Nella sua ritirata a Gaeta il re non portò con sé nessun bene di sua proprietà. Don Giovanni Rossi, impiegato della Real Casa e custode del borderò di quattro milioni di ducati, proprietà privata del Re, fu presentato a Garibaldi, appena costui entrò a Napoli, per farsene merito. I Savoia, dopo che ebbero annesso il regno di Napoli, non usarono alcun riguardo verso i Borbone, sovrani legittimi come loro. Vittorio Emanuele II sapeva che i quattro milioni di ducati venivano dalla dote di Maria Cristina di Savoia, madre di Francesco II, ed erano il frutto della vendita dei beni allodiali del primo ramo dei Savoia in Piemonte, e di palazzo Salviati a Roma e sapeva che la villa di Caposele non aveva nulla a che fare con i beni della corona, come ad esempio i palazzi reali di Portici e di Capodimonte, ma erano stati proprietà personale di re Ferdinando II e da questi era stata lasciata in testamento a suo figlio Francesco II, come bene libero. Ma neppure Vittorio Emanuele II come Garibaldi fece alcuna distinzione. Fu un re che si comportò come un predone e per questo Maria Sofia fu ostile ai Savoia fino alla morte.
Maria Sofia insistette con il marito Francesco II per attuare la resistenza ad oltranza.
Dopo la sconfitta dell'esercito borbonico nella battaglia del Volturno ed il trasferimento del 6 settembre della corte a Gaeta, Maria Sofia entrò con decisione ancora maggiore nella dimensione politica e militare. Fece un uso efficace dei simboli e della sua stessa immagine: distribuì ai soldati medaglie con coccarde colorate da lei stessa confezionate, adottò un costume calabrese di taglio maschile, affinché il popolo la sentisse più vicina.
Partecipò personalmente ai combattimenti contro i piemontesi, incoraggiando i soldati e visitando i feriti negli ospedali fin quando, il 13 febbraio 1861, fu firmata la resa. Fu in questo periodo che Maria Sofia conquistò l'attenzione e la simpatia di cronisti e letterati di tutta Europa.
Dopo la caduta della piazzaforte di Gaeta, la Corte Reale si rifugiò a Roma: nel frattempo lo Stato italiano comprendeva l’intera penisola tranne il Veneto e lo stato della Chiesa di cui Francesco II e Maria Sofia erano ospiti in Palazzo Farnese.
Il Palazzo Farnese di Roma era uno dei monumenti più significativi del Rinascimento italiano ed era uno dei più bei Palazzi Romani. Per l'occasione fu necessario realizzare dei lavori di restauro e di abbellimento per rendere degna la residenza dell'esilio degli ex-sovrani. I lavori furono affidati all'architetto Antonio Cipolla che per gli affreschi scelse uno stile retrò che richiamava motivi figurativi rinascimentali con grottesche ed amorini.
Maria Sofia si mise allora a capo di un’imponente organizzazione di anarchici e di terroristi per il ripristino del potere Borbonico: ella voleva radunare gli scontenti di tutta Europa per organizzare un’insurrezione armata contro i Savoia. Organizzò così insurrezioni armate che durarono anni.
Nel 1862 a Roma ci fu un clamoroso processo: erano state distribuite in mezza Europa fotografie che rappresentavano Maria Sofia, in pose scandalose. In quegli anni la fotografia nasceva e non si sapeva che esistessero i fotomontaggi.
Fra tante avventure, Maria Sofia improvvisamente lasciò Roma per andare in Baviera dai genitori: la Regina era rimasta incinta del conte belga Armand de Lawayss. Dopo un breve soggiorno a Possenhofen, fu ospitata in un monastero dove il 24 novembre del 1862 partorì due gemelle, Viola e Daisy. Maria Sofia cadde in uno stato di cupa prostrazione: dal convento scrisse al marito una lettera dove raccontava la verità, anche se diceva, di aver partorito una sola bambina, Daisy. Francesco II fu molto tollerante, così Maria Sofia tornò a corte. La notte di Natale del 1869, Maria Sofia ebbe una bambina, Maria Cristina. Sembrava che un po’ di felicità dovesse allietare la ancor giovane coppia, ma il destino non fu clemente con loro: la piccola morì dopo appena tre mesi, nel marzo del 1870.
Quando le truppe unitarie occuparono Roma, Maria Sofia e Francesco II si trasferirono a Parigi. La coppia non disponeva di grandi mezzi, avendo il governo unitario confiscato i beni dei Borbone, e, quando Vittorio Emanuele offrì a Francesco II la possibilità di rientrarne in possesso purché rinunciasse ad ogni pretesa sulle Due Sicilie, gli rispose: "il mio onore non è in vendita".
Dalla morte della bambina la coppia Reale visse per sempre separata.
A Parigi Maria Sofia allevava cavalli, ma organizzava anche una rete di rapporti con terroristi ed anarchici, fra cui figurava lo stesso Enrico Malatesta, organizzatore dell’assassinio di Umberto I; di questa organizzazione facevano parte anche alti prelati che rifiutavano l’unità d’Italia.
Dagli anni '80 in poi, per Maria Sofia fu un susseguirsi di sciagure familiari, culminate con la morte di Francesco il 31 dicembre del 1894 ad Arco di Trento.
Nonostante le traversie sofferte, dalla sua residenza a Neully-sur-Seine, Maria Sofia continuò a sperare nella restaurazione del Regno, si legò anche ad esponenti dell'estrema sinistra. Accolse socialisti, esuli anarchici e il prete Bruno Tedeschi, condannato da un tribunale italiano.
Nell’1900 con la cattura dell’anarchia Gaetano Bresci che aveva attentato alla vita di Umberto I di Savoia il movimento anarchico subì una dura sconfitta, Maria Sofia aveva 70 anni, ma continuava ad organizzare attività sovversive, continuamente sorvegliata dai servizi segreti. Nel 1904 il governo italiano arrestò ed espulse un suo agente e chiese ai governi d’Austria e di Francia di ammonirla.
Durante la prima guerra mondiale, Maria Sofia trascorse gli ultimi mesi di guerra nei campi di prigionia italiani.
Dopo la guerra, Maria Sofia andò vivere a Monaco: la vecchia regina aveva solo due servitori che indossavano con estremo decoro la livrea bianco azzurra dei Wittelsbach e che introducevano con dignità in un’anticamera sobria, con poche poltrone in raso giallo, ma senza tutto l’apparato degli appartamenti privati dei re. La sua corte era costituita due vecchi servitori pensionati, due cameriere ed il segretario: il conte de La Tour, il barone Carbonelli, il conte di San Martino, gli ultimi gentiluomini che circondavano la vecchia Maria Sofia erano morti prima della guerra.
Nonostante le sue non floride condizioni economiche ulteriormente aggravate alla fine della guerra perché il suo patrimonio era tutto investito in fondi austriaci Maria Sofia faceva molta beneficenza, pagava delle piccole pensioni. Una la voleva pagare anche al vecchio Giovanni Tagliaferri, di Caserta, che fu con lei a Gaeta: era colui che ricordava più cose di quando la regina era giovane e guidava sei cavalli con mano salda per i viali di Capodimonte.
Maria Sofia, sempre più vecchia e sola, disponeva di mezzi sempre più limitati, morì nel 1925 a Monaco ad 84 anni.
Dal 18 maggio 1984 Francesco II, Maria Sofia e la loro figlia Maria Cristina riposano nella Chiesa di Santa Chiara a Napoli.
L’anziana signora era stata l’ultima regina del Sud, l’ultima testimone del Regno delle due Sicilie.
Maurizio Delle Donne

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