amica e sorella.
Anche in Campania, come in tutte le regioni europee, non mancano episodi di questo affascinante momento dell’arte medievale.
La chiesa primitiva di
Sant’Angelo in Formis presso Capua, fu fondata
dai Longobardi nella seconda metà del VI secolo, dove sorgeva
il Tempio di Diana Tifatina, e fu dedicata all’Arcangelo Michele. In stato
di abbandono, nel 1072 fu donata ai monaci di Montecassino, che dovevano
costruirvi anche un monastero.
Desiderio (1027-87), abate di
Montecassino divenuto poi papa con il nome di Vittore III, a partire da quella
data, riedificò ed ampliò la chiesa,
dotandola degli affreschi che ne decorano l'interno e che
costituiscono uno tra i più importanti e tra i meglio conservati cicli
pittorici romanici d’Italia: questi affreschi, in cui, come sosteneva Silvia
Dall’Orso, la “tendenza ad una narrazione più libera e corsiva” si affianca
all’evidente influenza bizantina, forniscono il meglio conservato esemplare di
Bibbia illustrata dell’XI secolo.
Desiderio, beneventano di
nascita, fu una delle più vivaci personalità dell’epoca e svolse – oltre che un
ruolo politico importante in seno alla lotta per le investiture ed in seno al
crollo del potere longobardo nel mezzogiorno e della relativa affermazione del
potere normanno – una sistematica azione di riorganizzazione della disciplina
monastica ed una programmazione architettonica ed urbanistica che, alla luce
dei risultati raggiunti in tutto il territorio circostante, maturò in un
contesto di grande attività collettiva della quale egli fu il perno. Intorno a
lui fiorirono straordinarie personalità della cultura: gli storici Amato di
Montecassino e Leone Marsicano, il poeta-arcivescovo di Salerno Alfano, il
fisico ed erudito enciclopedista Costantino Africano con i suoi allievi Attone
e Giovanni, l’esperto di retorica Alberico, l’astronomo Pandolfo di Capua, lo
scienziato Lorenzo di Amalfi. Grazie all’impulso dato alle attività dello scriptorium di Montecassino in questo
periodo si trascrissero, e perciò si conoscono oggi, importanti testi della letteratura
classica.
Nei
trent'anni in cui Desiderio fu alla guida del monastero, si assistette ad un
immenso sviluppo delle risorse materiali dell'abbazia. Grazie alle cospicue
donazioni di terre e chiese, la Terra
Sancti Benedicti raggiunse un'estensione di circa 80.000 ettari. A ciò si aggiunga l'intensa attività costruttiva di
Desiderio, che avrebbe trovato la sua esplicazione più alta nella ricostruzione
della basilica di S. Benedetto. L'edificio, alla cui consacrazione nel 1075
presero parte le più alte personalità del mondo politico ed ecclesiastico del
momento, fu realizzato grazie anche alla cooperazione di maestranze di origine bizantina
esperte nell'arte del mosaico, e, attraverso la sua proposta di recupero di una
dimensione paleocristiana ed antichizzante in linea con i contenuti ideologici
della Riforma, era destinato a svolgere funzione normativa per la successiva
vicenda artistica del Sud della penisola.
Ma
Desiderio svolse anche un ruolo politico fondamentale: negli anni del suo
abbaziato, Montecassino riuscì a svolgere anche un ruolo di primo piano nel
contesto politico dell'Italia meridionale, dove il tramonto della potenza
longobarda, l'affermazione dei Normanni, e, in un contesto più ampio, le
vicende connesse con la riforma della Chiesa e i rapporti tra questa e
l'Impero, stavano creando le condizioni per un'evoluzione dei tradizionali
assetti politici di quest'area. Desiderio seppe inserirsi attivamente in tale
processo e assecondarlo, proponendosi tra i promotori più attivi di un'intesa tra
Normanni e papato.
Fulcro
degli interessi di Desiderio fu comunque sempre l'abbazia di Montecassino, che
rese centro di cultura e vita spirituale, nonché uno dei più insigni monumenti
della cristianità. La sua intensa attività portò Montecassino a diventare
un avamposto della liturgia romana nell’Italia meridionale e la cerimonia di
inaugurazione della nuova basilica nel 1071 ne fu la prova più tangibile.
Quando
era diventato abate, il monastero era cadente: egli lo rinnovò dalle
fondamenta, edificando in particolare una nuova basilica, la cui pianta,
notevolissima per l'epoca, e rimasta praticamente invariata sino ai giorni
nostri. La nuova chiesa aveva il pavimento completamente rivestito di mosaici e
porte di bronzo e di argento fatte fondere a Costantinopoli. Lo splendore delle
arti si affiancava ad una intensa vita monastica, con oltre duecento monaci ed
una fiorente tradizione eremitica nei dintorni e ad una grande dedizione alla
cultura: sotto Desiderio lo «scriptorium» monastico conobbe i vertici del suo
splendore.
Divenuto
papa nel 1086 con il nome di Vittore III, volle rimanere nella sua
Montecassino, dove si spense il 16 settembre 1087.
In questa opera di grande ricostruzione
e di operazione culturale rientra anche la Basilica di Sant’Angelo in Formis.
Il possente campanile quadrato
a bifore, il cui alto basamento è costituito da materiale dell’antico Tempio di
Diana, è staccato dalla Basilica fu aggiunto nel XII secolo: esso presenta una fascia
inferiore in blocchi di travertino e la parte superiore in cotto.
Il portico, ricordo del nartece
paleocristiano, fu realizzato su colonne con archi acuti dallo stile arabo a
cinque arcate, con quella centrale molto più alta delle altre: gli affreschi delle
lunette, preludio del ciclo decorativo dell’interno, raffigurano l’arcangelo Michele, la Madonna regina e degli episodi delle vite degli eremiti Antonio e
Paolo.
L’architettura della Basilica, nella
sua armonica completezza, appare con le caratteristiche comuni alle basiliche
desideriane. Le tre navate sono divise da 14 colonne con bei
capitelli corinzi di materiale di spoglio, molto facilmente provenienti
dal tempio di Diana, e terminano con absidi semicircolari.
Il pavimento è in parte lo stesso
dell’antico tempio di Diana e in parte medievale. Altri elementi romani,
reimpiegati dopo una lavorazione che li hanno adattati alle nuove funzioni: le
acquasantiere ed il fonte battesimale attestano il forte legame col
passato, caratteristica comune a tutto il romanico.
Le straordinarie
pitture all’interno della Basilica sono uno dei più completi cicli
narrativi dell’XI secolo ed è confrontabile con le miniature realizzate nello scriptorium dell'abbazia di Monte
Cassino: un programma decorativo che occupa le navate, le absidi e la
controfacciata.
Sulla base del presupposto di un
inizio dei lavori di costruzione avvenuto intorno al 1072, poiché gli affreschi
erano eseguiti dopo l’innalzamento delle murature, è possibile ritenere che la
loro stesura sia stata avviata poco dopo la fondazione dell’edificio nella zona
absidale, per poi estendersi alle pareti perimetrali, alla controfacciata, e a
quelle interne del cleristorio.
Gli affreschi furono
probabilmente realizzati da alcune botteghe locali, che operarono ispirandosi a
modelli bizantini. Va infatti osservato come l’uso di schemi bizantini,
evidenziato dalla suddivisione dell’intero ciclo pittorico in pannelli mediante
colonnine dipinte, e dalla disposizione delle figure all’interno dei singoli
riquadri, sia attenuato da un primo, seppur timido, tentativo di caratterizzazione
delle figure, reso evidente dal rosso che colora le guance dei personaggi, e
dalle rughe che, con tratti fortemente marcati, ne segnano i volti.
Il contesto culturale e
stilistico in cui tali botteghe operarono, risulta ancora più chiaro se si confrontano
gli affreschi di Sant’Angelo in Formis con le coeve miniature di produzione
cassinese e, in particolare, con quelle che ornano il codice Vat. Lat. 1202 meglio
noto come Lezionario di Desiderio, donato al convento dall’abate Desiderio. Le
botteghe in questione risentirono, dunque, di quel clima stilistico che affonda
le sue radici nella cultura artistica bizantina, e che risulta strettamente
legato alla presenza di quegli artisti bizantini, che l’abate Desiderio chiamò
a lavorare nel cantiere della nuova abbazia di Montecassino.
Le scene dell'Antico Testamento
delle navate laterali e quelle del Nuovo Testamento nella navata centrale,
costituiscono un insieme unico, il cui legame è sottolineato dalla presenza dei
Profeti[1] nei pennacchi
delle arcate saldano l’antico ed il nuovo testamento e rispondono alla volontà
di esplicitare e dimostrare che l’Antico Testamento non era altro che il «Nuovo
coperto di un velo», come affermava Sant’Agostino.
Il tema della Concordanza tra i Testamenti negli
affreschi della basilica vaticana di San Pietro, sicuramente dovette
rappresentare il modello di tutte le decorazioni successive di questo genere.
La disposizione delle scene in Sant’Angelo è tuttavia insolita: in genere,
infatti, gli episodi dell'Antico e del Nuovo Testamento erano raffigurati
entrambi nella navata centrale ciascuno su una delle pareti o su due registri
sovrapposti. La disposizione di Sant’Angelo può essere dovuta invece alla
volontà di far risaltare il ciclo cristologico rispetto a quello
veterotestamentario: come l’Antico Testamento è ombra del Nuovo, così gli
episodi che lo illustrano vanno visti nell’ombra delle navate laterali, per
preparare l’osservatore alla Rivelazione, dispiegata invece nella piena luce
della navata centrale.
Le pareti della navata centrale presentano
scene del Nuovo Testamento su due registri, tranne per la Crocifissione e l’Ascensione, che li occupano entrambi. Le
pareti delle navate laterali presentano storie dell’Antico Testamento, molto
danneggiate, di cui rimangono quattordici scene, tratte dai libri della Genesi e dell'Esodo, e la storia di Gedeone,
tratta dal libro dei Giudici. Al di sotto, medaglioni con i ritratti degli
abati di Montecassino rivelano ancora l'influenza dei principali monumenti
romani: i ritratti degli abati hanno tutto il sapore di una citazione dei
ritratti dei pontefici nei tondi della basilica di San Paolo fuori le mura.
Il tema centrale svolto dagli
affreschi è quello dell’abolizione dei sacrifici dell’Antico Testamento operata
da Cristo per mezzo della Crocifissione: al tema si riferiscono gli episodi della
cacciata dei progenitori, di Caino e Abele, di Noè, di Abramo e Isacco, la cui
comprensione è facilitata dal fatto che tali scene erano ripetute spesso negli
edifici e commentate altrettanto spesso nei testi. Tuttavia sono presenti anche
scene meno frequenti, come quella di Gedeone, che a Sant’Angelo in Formis è per
la prima volta rappresentata nell’arte monumentale, sebbene esempi precedenti
possano essere rintracciati nelle illustrazioni dei manoscritti.
Il Giudizio Universale della controfacciata – con i Santi, i Beati,
gli Angeli e la rappresentazione delle
pene infernali – ci dà una visione completa di un Medioevo mistico e
fantastico e ricalca lo schema iconografico bizantino, particolarmente diffuso
in quel periodo: anche in questo caso le scene si suddividono, infatti, in
fasce sovrapposte. In alto, tra le finestre, sono raffigurati i quattro angeli
con le trombe del Giudizio; nella fascia centrale vi è rappresentato Cristo
Giudice con la mandorla apocalittica, tra gli Apostoli seduti sui troni; più in
basso i Beati, ed infine i Dannati. Si deduce, pertanto che, basandosi sul
dogma dell’Incarnazione, questo ciclo di affreschi tende ad evidenziare il
piano provvidenziale di Dio per la redenzione finale e la salvezza eterna
dell’umanità, attuato mediante il sacrificio di Cristo, suo figlio.
Tra le scene quella della Maiestas Domini, schema pittorico con il
quale Gesù era rappresentato in trono, spesso in mandorla, è
comunque uno dei brani pittorici in cui è maggiormente evidente la formazione bizantina
degli autori. Essa occupa l’abside centrale e rappresenta, con chiara
iconografia bizantina, Cristo in
trono tra i quattro simboli degli Evangelisti, mentre, nel registro
inferiore, Desiderio con l’aureola quadrata usata per distinguere i personaggi
viventi, offre a Cristo il modello della chiesa, gli arcangeli Michele,
Gabriele e Raffaele san Benedetto. Tipico dello stile bizantino è infatti lo
schematismo geometrico: ciò si nota a partire dal volto e dalla raffigurazione
dei panneggi, in cui la linea spezzata e i cerchi concentrici in corrispondenza
delle ginocchia sono unico elemento dinamico dell'immagine. Forte è il
contrasto fra le tinte: sia nel Cristo sia negli arcangeli i volti sbiancati
sono ravvivati dal rosso sanguigno delle gote e dagli aspri contrasti delle
vesti che accostano azzurri intensi, gialli e rossi. A questi contrasti
cromatrici corrispondono le espressioni concitate dei personaggi.
Anche nell’abside destra
l’affresco è diviso in due fasce sovrapposte: in quella superiore vi è
raffigurata la Vergine col Bambino fiancheggiata da due angeli ai quali si
aggiungono, nella fascia inferiore, sei santi.
Le figure di Santi, dipinte nei
pennacchi delle navate laterali, sono successive all’XI secolo. Tale
ipotesi potrebbe essere confermata dal confronto con i Profeti dipinti nei
pennacchi della navata centrale. Risulta, infatti, evidente dal confronto non
solo la posizione statica, ma anche la maggiore imponenza di queste figure, che
presentano caratteristiche affini agli affreschi che ornano le lunette del
portico, la cui realizzazione è datata dagli studiosi tra il XII ed il XIII
secolo.
[1] (a
sinistra: la Sibilla Persica o
Eritrea; Davide, Salomone, Crocifisso (perduto), Osea,
Sofonia, Daniele, Amos e un altro profeta perduto; a destra: Isaia, Ezechiele, Geremia, Michea, Balaam, Malachia, Zaccaria, Mosè, Abdia)
Grazie per aver creato questa "recensione" della chiesa, accuarata e precisa. Mi è servita per un tema, faccio seconda superiore artistico se ti interessa sapere che qualche giovane ha la scintilla della cultura ;)
RispondiEliminasempre
Eliminamassimo capuozzo
questo è bellissimo mi piacerbbe che collaborassi con me
RispondiEliminamassimo capuozzo
Ho letto (in italiano) il libro interessante di Paolo Rumiz "Annibale, un viaggio" e ho apprezzato molto di trovare il vostro sito per ottenere notizie e foto sulla chiesa di Sant’Angelo in Formis che lo scrittore ammirava ma che, sfortunatamente, non ho visitato quando sono andadato nella Puglia e la Campania.
RispondiEliminaGrazie mille per il vostro aiuto.
Cordiali saluti.
Claudio (dalla Francia)
è un vero piacere
Eliminamassimo capuozzo